Un nuovo concetto di gioco/videogioco è possibile? Claudia Molinari e Matteo Pozzi, fondatori di We Are Müesli, ce lo dimostrano.
Un nuovo concetto di gioco è possibile, o almeno sembrano pensarla così Claudia Molinari e Matteo Pozzi, fondatori dello studio We Are Müesli. Nato «informalmente» nel 2013 dall’unione delle competenze di entrambi (Claudia era una visual designer full time e Matteo un autore e sceneggiatore televisivo), lo studio ha fatto infatti propria la mission di realizzare giochi inclusivi, culturali e approfonditi. «Abbiamo unito la matita e la penna e ci siamo lanciati nei videogiochi. – ci racconta Claudia Molinari – Il nostro primo lancio è stato Cave! Cave! Deus Videt, un videogioco ispirato alle opere di Hieronymus Bosch. Con quella visual novel ci siamo trovati a viaggiare in tutte le parti nel mondo». «Ci siamo ritrovati felicemente incastrati nella scena dei videogiochi indipendenti con un taglio artistico. – aggiunge Matteo Pozzi – Un bell’inciampo nella nostra carriera».
Ufficialmente, We Are Müesli nasce quindi nel 2018. «A proposito di matita e penna e della combinazione tra aspetto visivo e narrativo – spiega Matteo – è un qualcosa che negli anni, con l’allargarsi del team e con la sperimentazione di nuovi formati di gioco, ci siamo portati dietro. C’è sempre una radice narrativa, anche quando abbiamo allargato il campo di lavoro dal videogioco a qualunque altra forma di gioco».
Il medium del gioco e la cultura
Tra i progetti dello studio ci sono anche escape room, fino al recentessimo Madeleines, un libro-gioco digitale ad episodi. La sperimentazione sembra fondamentale per We Are Müesli, ma anche l’esplorazione dei media intesi come forme di supporto.
«Da una parte c’è una questione creativa e personale. – spiega Matteo – Ci piace confrontarci con la realtà anche di storie che già esistono, con la storia dell’arte e la storia con la S maiuscola, radicando nel mondo reale i giochi che facciamo. L’attitudine creativa è diventata la mission della nostra realtà, così come esprimere attraverso il medium del gioco un potenziale di racconto e confronto tra gioco e qualunque altra disciplina».
La moltiplicazione dei formati, tuttavia, potrebbe paradossalmente offrire un approccio confusionario. «Il mondo ludico sta lentamente cambiando dei punti di riferimento. – ci spiega infatti Claudia – Non si fanno più videogiochi puramente di intrattenimento, ma proprio come il cinema esistono varie sfumature. Puoi trovare un film noir che ti insegna qualcosa di storico, come un videogioco che oltre a tenerti incollato ti dà la possibilità di assimilare conoscenze. E dopo ti fai ambasciatore di quel titolo».
«Il mezzo sta maturando – continua la Molinari – e posso dire che in questi 10 anni siamo stati anche parte, non gli unici, di questo cambiamento. Lo abbiamo sponsorizzato. Il videogioco è anche altro». «Fa strano pensare che siano 10 anni – aggiunge Matteo – perché in qualche modo quell’attitudine e la sensazione di outsider non ce la siamo mai completamente scrollata di dosso. Spero di non scrollarmela mai. Sicuramente però, soprattutto in Italia, mi sento di dire che sono cambiate e stanno cambiando le cose. I primi passi li abbiamo mossi in contesti internazionali, già lì 10 anni fa parlare di gioco in questi termini era normale. Ora la questione si sta normalizzando anche in Italia».
«Ci percepiamo – conclude sul tema Claudia Molinari – come persone che mettono a servizio il proprio sapere di progettisti per il contenitore. Se il contenitore è una escape room, portiamo la nostra expertise in quel contenitore. E così abbiamo fatto su tutti i formati. La moltiplicazione dei formati ha i suoi pro e contro. Dato che la disciplina del culturale è molto complessa, non ci annoiamo mai. Siamo sempre un po’ studenti di noi stessi, ed è molto stimolante».
Meet&Play a Milano
Proprio nei mesi scorsi, We Are Müesli insieme a Ostello Bello ha organizzato a Milano gli incontri Meet&Play, aperti a studenti e studentesse, giovani game designer e appassionati. L’obiettivo era favorire il confronto, ma anche la scoperta.
«Si pensa sempre che, dietro a un gioco, non ci sia un processo. – precisa la Molinari – E si pensa ai giocatori e non a chi i giochi li fa. Riuscire a costruire momenti di aggregazione per provare prototipi è stata una milestone importante per far capire che c’è bisogno non di eventi per l’utente finale, ma anche per chi i giochi li fa. Sono momenti comuni all’estero e, dato che pensiamo che sia fondamentale creare la gaming culture, non abbiamo voluto fare un evento per l’utente finale ma per chi i giochi li crea». Ovviamente la speranza, come sottolinea Matteo, è che «diventi qualcosa di continuativo. Le comunità si creano attraverso l’incontro e la continuità. Ci sembra che manchi la continuità».
E così l’universo stesso di We Are Müesli ha finito per espandersi. Non solo la realizzazione di giochi, ma anche l’insegnamento attivo del game making attraverso il coordinamento di eventi. «Cerchiamo – dice Claudia – di lavorare su titoli che possano far crescere l’industria. E questo ha vantaggi e svantaggi. Sarebbe più semplice fare un gioco mainstream o lavorare per un’altra società che possa aver bisogno di figure come le nostre. Ma secondo noi manca un anello tra design, cultura e game. Abbiamo consapevolmente deciso di essere questa congiunzione».
Promuovere esperienze inclusive
Infine, We Are Müesli ha partecipato alla prima edizione a Firenze Invisibil3. «Sono stata invitata – dice Claudia – per portare un po’ la nostra visione del gioco. Abbiamo un approccio molto politico. Il festival si concentrava su tematiche di rappresentazione di genere, ma anche su tematiche apparentemente minori come la rappresentazione del corpo e di come sia lo stato dell’arte del videogioco in Italia. Ho tenuto un panel insieme ad altre creatrici per raccontare l’industria, come si sta muovendo e quali sono state per noi le battaglie più grosse sulle discriminazioni di genere».
Ma è giusto definire tossica la comunità videoludica? «Ci sono dinamiche che scoraggiano chi non conosce i giochi ad entrarci – ci risponde la Molinari – C’è la necessità che questi eventi siano frequenti e in ogni città d’Italia. L’industria del videogioco è mastodontica e ha un fatturato che supera quello del cinema. Immaginiamo quanti messaggi non sono protetti e lasciati alla libera interpretazione». Eppure, specifica Matteo, sarebbe comunque bene parlare di «comunità al plurale». «Ci sono contesti tossici – precisa – ma c’è anche consapevolezza della tossicità. Anche in eventi di massa e di alto profilo commerciale, c’è sempre più attenzione a queste tematiche. Accanto a larghe fette di utenza che fanno chiasso e rumore in maniera deteriore, ci sono tante nicchie che hanno tutt’altri valori e lavorano con logiche diverse».