Sarà presentato a Roma, il prossimo 26 ottobre alle ore 10.30, presso il Nuovo Teatro Orione in via Tortona 7 (metro A – fermata Re di Roma) il nuovo rapporto del ‘Dossier Statistico Immigrazione 2023’, a cura del Centro Studi e Ricerche Idos, con la collaborazione del Centro Studi Confronti e dell’Istituto di studi politici ‘San Pio V’
A dieci anni dal naufragio del 3 ottobre 2013 e a meno di un anno da quello di Cutro, il contrasto all’immigrazione irregolare si sta concentrando non sui trafficanti (da non confondere con gli scafisti alla guida delle imbarcazioni, ndr), ma sui migranti, accomunati e confusi nella categoria dell’irregolarità anche quando si tratta di persone in fuga da guerre, crisi climatiche e gravi violazioni dei diritti umani. Ecco l’intervista a Luca Di Sciullo, presidente di Idos.
Presidente Di Sciullo, preoccupa il passaggio da un modello di accoglienza basato sulla protezione e l’inclusione dei richiedenti asilo a un sistema che ne produce l’isolamento, li considera irregolari e li tratta come un pericolo sociale: un’opzione che si scontra con la realtà globale di un mondo in cui i migranti ‘forzati’ già superano i 108 milioni di persone e per il 40% si tratta di minorenni, non le pare?
“Il modello di accoglienza in Italia è stato reso sempre più duale, con una netta separazione tra centri Sai (Sistema di accoglienza nazionale), gestiti dai comuni e i Cas (Centri di accoglienza straordinaria), che per la seconda volta, dopo i decreti Salvini, sono tornati a essere riservati in maniera esclusiva ai richiedenti asilo, cioè a coloro che attendono, spesso per molti mesi, l’esito della loro domanda di asilo. Una sorta di limbo da cui il governo ha tolto, attraverso le recenti disposizioni, la possibilità di effettuare percorsi di inserimento lavorativo e corsi di lingua italiana, di ricevere assistenza legale e psicologica, nonostante questi profughi arrivino in Italia già gravemente provati da torture, maltrattamenti e stupri, sia durante la traversata del deserto nelle mani dei trafficanti, sia nei campi di detenzione come quelli libici, in cui, come sostiene anche l’Onu, avvengono violenze indicibili. Così, i centri di accoglienza straordinaria sono diventati, ormai, ordinari. E i migranti vengono ‘parcheggiati’ lì per un tempo indefinito, stigmatizzati come clandestini e irregolari mentre dovrebbe esser chiaro che chi fugge da guerre, persecuzioni e disastri – in cui spesso hanno perso casa e famiglia, affrontando un viaggio rischioso, durante il quale viene ricattato e sottoposto al sequestro dei documenti – è comprensibile che, quando ci riesce, giunga nel Paese privo di documenti. Di per sé, nessun profugo è irregolare: questa sovrapposizione è giuridicamente assurda”.
Dalle prime anticipazioni del vostro Dossier Statistico Immigrazione emerge vistosamente l’inefficacia del modello detentivo: i Cpr esistono già da 25 anni, non funzionano e costano enormemente, anche in termini di rispetto dei diritti umani: perché non si riesce a uscire da questa gabbia di pregiudizi?
“Perché purtroppo, in Italia, abbiamo una sorta di modello detentivo trasversale, che riguarda i migranti irregolari, tra i quali sono impropriamente ricompresi, come dicevo, anche i richiedenti asilo. Ne deriva che, a volte, hanno acquisito natura ‘reclusiva’ anche i centri di accoglienza straordinaria, concepiti come luoghi di isolamento sociale e di deprivazione dei diritti. Oltretutto, sappiamo che la criminalità organizzata attinge proprio dai Cas per avere manodopera da sfruttare nei campi e in altre attività, comprese quelle illecite. I richiedenti asilo sono persone giuridicamente e psicologicamente fragili, in bilico tra l’accoglienza e l’espulsione dall’Italia. Anche per questo, diventano facile preda di ‘reclutatori’ di manodopera a bassissimo costo, da far lavorare per quindici ore al giorno sottopagati, ricattati e sfruttati sotto ‘caporalato’, in una condizione di vita molto vicina alla schiavitù. La reclusione amministrativa vera e propria è legata, invece, ai Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio), dove i migranti intercettati sul territorio senza permesso di soggiorno vengono reclusi per un periodo di tempo variabile, negli anni allungato e accorciato ‘a fisarmonica’ a seconda dell’avvicendamento dei governi (quello attuale ne ha allungato i tempi di permanenza sino a 18 mesi), in cui le condizioni di vita sono altamente degradate e senza alcun presidio legale, tanto che è pressoché impossibile monitorare il rispetto dei diritti umani. Tra l’altro, nei Cpr ci risulta sia cresciuto anche il numero dei suicidi. Quanto allo scopo che si prefigge, cioè il rimpatrio dei migranti, il sistema imperniato sui Cpr è anche altamente inefficace, quindi inutilmente costoso. La quota di chim da questi centri, viene rimpatriato sfiora appena il 50%. Paradossale che, dopo questa permanenza infernale, lo Stato richieda a questi migranti di effettuare, con proprie risorse, il rientro in patria: un’operazione che nella stragrande maggioranza dei casi non avviene, sia per non vanificare il proprio progetto migratorio, sia per mancanza di mezzi economici sufficienti per compiere il rimpatrio. Ed ecco che i migranti, dopo 18 mesi di vita ingiustamente reclusa, tornano a disperdersi sul territorio italiano in condizioni di irregolarità, esattamente come prima del fermo”.
Si sente spesso richiederli a gran voce dalle associazioni che si occupano di accoglienza: cosa sono i corridoi umanitari e quale la loro fattibilità?
“I corridoi umanitari sono stati un esperimento iniziato proprio dall’Italia: si tratta di istituire dei canali di ingresso assistiti, sicuri e regolari, da Paesi d’origine o di transito, le cui situazioni mettono a rischio la vita dei profughi. Costituiscono l’unica alternativa ai percorsi, spesso fatali, dei trafficanti, che lucrano sullo stato di necessità e precarietà dei migranti. Le rotte irregolari da loro battute sono altamente rischiose, intraprese in condizioni climatiche estreme e spesso portano a respingimenti violenti, come quelli ‘a catena’ sulla rotta balcanica o lungo il Mediterraneo centrale, in cui più di 2.400 persone hanno perso la vita solo nell’ultimo anno e circa 28 mila negli ultimi 9 anni. I corridoi umanitari, in Italia, sono assistiti da organizzazioni umanitarie legate alla Chiesa valdese e alla Chiesa cattolica, che hanno stipulato accordi con le autorità competenti per selezionare profughi a cui riservare un viaggio sicuro sino in Italia, seguendone poi tutte le procedure giuridico-amministrative per la loro accoglienza e il loro inserimento. Questa pratica, copiata anche da altri Paesi europei, fa parte di un repertorio di ‘buone prassi’ italiane che, purtroppo, manteniamo bloccate e isolate: lodevoli eccezioni che continuano a rimanere tali, invece di essere promosse a ‘policy’, vale a dire trasformate in politiche ordinarie”.
Intervista di Vittorio Lussana