Da lasagna a cassouela, tutti i nomi delle prelibatezze italiane che mettono in difficoltà i turisti (e non solo).
I turisti stranieri che vengono in visita nel nostro paese restano incantati dalle bellezze storiche e paesaggistiche (anche se c’è anche chi ha da ridire…) ma anche dalle bontà gastronomiche che si trovano ad assaggiare magari per la prima volta: alcune di esse però possono risultare impronunciabili.
Non sempre infatti la pronuncia dei nostri piatti tipici è alla portata di tutti: vediamo in questa divertente ricerca condotta da Preply, la piattaforma dedicata allo studio della lingua, dov’è che si impiccia più frequentemente quella dei turisti al ristorante.
Lasagna, panettone e coniglio: i nomi più impronunciabili
Come fa Preply a saperlo? Partendo dagli ascolti della pronuncia dei diversi piatti fatti online. La lasagna, servita ovunque sulle tavole italiane ma in particolare in Abruzzo e nel Lazio, è il piatto delle festività più difficile da pronunciare per gli stranieri, con oltre 36.000 ascolti. Colpevole il sintagma “gn”, che soprattutto per gli aglofoni si pronuncia diversamente. Medaglia d’argento per il panettone (29.000); bronzo per il coniglio (27.000), che in Liguria si prepara alla genovese, con olive nere taggiasche, vino locale, noci e pinoli.
Al quarto posto la cassoeula (17.000), piatto tipico della Lombardia, mentre al quinto, a pari merito per ascolti, lo strudel e le sfogliatelle abruzzesi (16.000), dolcetti sfogliati ripieni di confettura di uva con cioccolato, mandorle e liquore che si preparano in Abruzzo proprio in occasione del Natale.
A seguire – dalla sesta alla decima posizione – ci sono: i tortellini (14.000), serviti in brodo in quasi tutta Italia in occasione del Natale; l’abbacchio, immancabile nelle tavole del Lazio e preparato al forno o fritto (12.000); le cozze (11.000) gratinate in Sardegna o insaporite con salsa di pomodoro se fatte alla tarantina; i ravioli (10.000), presenti sulle tavole natalizie di tutta Italia ma in versione dolce in Liguria; e i cappelletti (7.400), spesso e volentieri in brodo, come insegna la tradizione romagnola.
Tra dialetto, francese e tedesco: le pietanze natalizie difficili anche per gli italiani
Ci sono infine una serie di piatti la cui pronuncia è in grado di mandare in crisi non solo gli stranieri, ma anche gli italiani. Tanti piatti tipici delle festività hanno mantenuto nomi dialettali o derivanti da francese e tedesco.
È il caso delle (o dei) sannacchiùtele [sannakˈkjutele] appartenenti alla tradizione culinaria della provincia di Taranto: in questo caso può essere complicato capire dove cada correttamente l’accento in assenza di segni grafici, nonché se parlarne al maschile o al femminile, essendo presenti varie versioni. Il nome viene dall’espressione “s’hanno a chiudere”, cioè “si devono chiudere”, in riferimento alla forma a saccottino di questi gnocchetti fritti, nonché alla necessità di conservarli nascosti in credenza prima che arrivi Natale per tenerli lontani dai più golosi.
Val d’Aosta e Friuli, aumenta la difficoltà
In Valle d’Aosta sono tipici due pani: flantze [flɑ̃ts] e mécoulin [mekulɛ̃]. In questo caso la difficoltà è dovuta alla pronuncia francese, dove ad esempio la pronuncia di un dittongo può corrispondere a una singola vocale (come nel caso di mécoulin) e viceversa. Tra i nomi complicati anche i cuddrurieddri calabresi, dal greco κολλύρα kollura che significa ‘corona’, a ricordo della forma a ciambella della pietanza. Senza dimenticare infine i lebkuchen [ˈleːpˌkuːχən], biscotti altoatesini dalla complessa pronuncia tedesca e dall’etimologia incerta: forse dal latino libum, che significa focaccia o torta sacrificale. Infatti, in tempi antichi i cittadini sacrificavano agli dei quanto avevano di più prezioso, in questo caso il cibo, in cambio di favori. Il pane era noto con il nome laib, poi divenuto laibkuchen e quindi lebkuchen, spesso tradotto come pan di zenzero.
Completano la lista degli “impronunciabili” i cjarsons friulani in versione salata, ravioli tipici della Carnia la cui pronuncia però varia da zona a zona (chiarsons o ciarsons); e la ben più nota cassoeula [kaˈsøla], piatto unico a base di verza e carne di maiale il cui nome nasce dall’utensile da cucina per prepararla, ossia il cassoeu, ‘mestolo’ in dialetto milanese. Proprio il trittongo di derivazione francese tipico di questo dialetto rende iI suono œ pronunciabile solo dai milanesi doc.