Intervista a una delle protagoniste dello spettacolo ‘Be Woman’ di Antonella Salvatore: una performance da vedere assolutamente, poiché rivelatrice del talento di un’attrice e ballerina sorprendente
‘Be Woman’ è uno spettacolo prodotto dall’Istituzio teatrale europeo, riproposto nei giorni scorsi presso il Teatro ‘Zero Negativo’ di Bedizzole, in provincia di Brescia, ma che aveva già debuttato, nel giugno del 2022, al Festival del Teatro di Francoforte sull’Oder. E’ una performance di teatro fisico contemporaneo, in cui musica, luci, proiezioni e il coinvolgimento in scena del pubblico di sesso maschile giocano un ruolo fondamentale. Una rappresentazione che ha voluto ribadire quegli stereotipi di genere che resistono nel tempo: il ‘cat-calling’ (le molestie sessuali esplicite, ndr), l’oggettivazione del corpo femminile nei media, il ‘cybersesso’, l’abuso di chirurgia estetica, il bisogno ossessivo di approvazione sui social. Lo spettacolo mostra quanti ostacoli, pregiudizi e contraddizioni debba affrontare una ragazza ogni giorno, durante il proprio percorso di crescita per ‘essere donna’, in una società che viene mostrata attraverso la proiezione di immagini selezionate da trasmissioni televisive, spot pubblicitari e cartoni animati che, ancora nel XXI secolo, delineano uno standard femminile inchiodato attorno a due poli opposti: Jessica Rabbit, procace e sessualmente appetibile e Biancaneve/Cenerentola, la cui unica funzione è la sottomissione e l’accudimento dell’altro a discapito di se stessa. Non a caso, ‘Be woman’ ha aderito al manifesto femminile pubblicato dalla rivista di moda ‘Girls Girls Girls’ e affidato alla voce dall’attrice, Cynthia Nixon, attivista e politica americana impegnata per i diritti delle donne e la causa Lgbtq+: “Sii una signora, dicono. La tua gonna è troppo corta. La tua camicia è troppo stretta. Non mostrare così tanta pelle. Lascia qualcosa all’immaginazione. Non fare la tentatrice. Gli uomini non possono controllarsi. Gli uomini hanno dei bisogni. Sii sexy. Sembra attraente. Non essere così provocante. Te la sei cercata. Indossa il nero. Indossa i tacchi. Sei troppo vestita. Sei troppo svestita. Ti stai lasciando andare…”. Parole provenienti da ‘Be a lady, they said!’, il manifesto scritto da Camille Rainville, autrice del blog ‘Writings of a Furious Woman’: una provocazione a scopo di denuncia nei confronti delle pressioni sociali a cui sono sottoposte le donne ogni giorno. Durante lo show, il corpo di una figlia, interpretata da Raffaella Zappalà, giovane attrice e fulgido talento del teatro mimico ed eccellente ballerina, viene ricostruito secondo il gusto espresso dai partecipanti – scelti a caso nel pubblico – prevedendo, come premio finale, una cena in cui la portata principale sarà la ‘donna ideale’. Una madre ossessionata dai social, che si ostina a inseguire la propria giovinezza a ogni costo, entrando in competizione con la figlia stessa tramite il ricorso alla chirurgia estetica, fino a rimanere prigioniera di un’immagine artefatta, che le permette di costruire solo relazioni basate sulla mercificazione del proprio corpo. Un filo di tatuaggio sulle sopracciglia, un’iniezione di ‘botox’ nelle labbra, uno strato di ‘extension’ tra i capelli, una spalmata di gel sulle unghie, una mano di liposuzione sulle cosce e ritocchi infiniti, che prendono il sopravvento facendole perdere di vista se stessa, in una sorta di vortice paranoico di fisime e complessi. La figlia diventa lo ‘specchio’ della propria madre e, forse, l’unica che può rompere il suo riflesso. In occasione della Giornata internazionale della donna, celebratasi lo scorso 8 marzo, abbiamo voluto incontrare Raffaella Zappalà, protagonista di una performance sorprendente, che la sta rivelando al grande pubblico.
Raffaella Zappalà, con lo spettacolo ‘Be woman’ di Antonella Salvatore, andato in scena di recente sulla sponda bresciana del Lago di Garda in occasione dell’8 marzo, ci hai sorpreso con una performance di teatro fisico sperimentale: vuoi spiegare ai lettori di cosa si tratta? E’ un nuovo genere di teatro?
“No, non si tratta di un nuovo genere. Il teatro fisico sperimentale, espressivo ed esclusivamente non verbale, è un genere che in molti hanno già fatto. Insieme alla regista, Antonella Salvatore, abbiamo deciso di portare in scena uno spettacolo in cui la comunicazione non verbale fosse estremamente chiara, che fosse in grado di mandare un messaggio ben preciso a livello internazionale. Con l’ausilio di videoproiezioni e musica, tutto prende un aspetto nitido ed esplicativo”.
Il vostro è uno spettacolo importante, che ha aderito al manifesto di Camille Rainville per i diritti delle donne e la causa Lgbtq+ dal titolo ‘Be lady, they said!’, contro i modelli femminili imposti nella società: ci spieghi meglio quali sono le convenzioni che costringono la donna in una sorta di labirinto composto di condizionamenti e convenzioni?
“Il manifesto di Camille Rainville, diventato virale, è una chiara espressione di come, oggi, la donna vive nella società. “Sii una signora, dicono” è l’incipit rispetto al quale ognuna di noi si rispecchia. La nostra società, purtroppo, in molti aspetti è peggiorata a causa di un’ossessione sempre più potente da parte dei social network, in cui molto spesso le madri non sono in grado di indirizzarne correttamente il giusto utilizzo per far crescere e personalizzare una figlia, poiché sono loro stesse vittime di una ‘perfezione’ fittizia, dalla quale è difficile uscirne. E’ ormai diventata una dipendenza quasi patologica. Invito tutti, uomini e donne, a leggere il manifesto, perché il messaggio è estremamente attuale e non ci sono parole migliori”.
Durante lo spettacolo, il pubblico viene coinvolto nella costruzione della ‘donna ideale’: perché? E’ una contestazione della subcultura maschile, che vede la donna come un oggetto o una sorta di ‘bambola gonfiabile’?
“Sì: durante lo spettacolo è prevista un’interazione da parte degli uomini, che consegnano, seguendo i suggerimenti di perfezione imposti dalla nostra società, dei regali alla figlia. Ma è la madre a rendere la figlia oggetto e pasto per gli uomini, pensando di far bene perché anche lei ne è vittima”.
Vi è anche una critica feroce nei confronti degli interventi di chirurgia plastica di certe donne ‘fissate’ con un ideale di perfezione estetica: non è solo un problema di maschilismo allora? Molte donne fanno di tutto per adeguarsi a questi modelli di perfezione indotti?
“Purtroppo, sì: molte donne si rivolgono alla chirurgia plastica in modo ossessivo, trasformandosi e dimenticandosi che l’aspetto estetico non deve prevaricare quello interiore, che è ciò che siamo veramente. L’ossessione per la perfezione può portare all’isolamento e creare una dipendenza tossica, dalla quale è molto difficile uscirne”.
Parliamo un po’ di te: noi ti avevamo già incontrata a Roma, nel gruppo di ballerini dello spettacolo ‘33’ di Gianni Licata, che prendeva in giro i reality televisivi banalizzando la religione, una performance che vinse il Premio speciale della critica al Roma Fringe Festival 2015: che percorso hai fatto da allora?
“L’esperienza del Fringe Festival 2015 la ricordo sempre con gioia e la porto nel cuore. Ovviamente, da allora ho continuato a lavorare sul palco e ho avuto molte altre esperienze. Vivo sempre cercando di perfezionare e arricchire il mio lavoro di attrice, mimo e performer”.
E prima? Quali studi e percorsi hai fatto?
“Ho iniziato studiando danza classica per 10 anni da bambina, esattamente dai 4 ai 14 anni. Poi, in età adolescenziale, ho frequentato una scuola di teatro dove ho avuto l’opportunità di lavorare con maestri eccezionali, quali Hal Yamanuchi, Cesar Corrales, Laura Jacobbi e Wladimiro Lembo, che porto in modo speciale nel mio cuore perché mi scelse come sua assistente per insegnare mimo: un’arte da molti sottovalutata, ma fondamentale nella formazione di un attore. Proprio sul mimo mi sono perfezionata, studiando anche con Michele Monetta. Ho frequentato anche altri laboratori teatrali intensivi con Dario Fò e Franca Rame. Dall’età di 16 anni, non ho mai abbandonato il palco”.
Tu sei una ballerina agilissima, molto elegante: come fai a mantenerti così in forma? Solamente attraverso il tuo lavoro? Oppure segui una dieta precisa?
“Lo sport, per me, è fondamentale. Non in palestra – che odio – ma praticato all’aria aperta. Ogni giorno, tempo permettendo, dedico un’ora alla bicicletta e alla camminata veloce. Seguo un’alimentazione corretta, poiché secondo la medicina ‘ayurvedica’ siamo ciò che mangiamo e non dovremmo mai dimenticarlo. Sicuramente non per l’aspetto fisico, ma per tutti i nostri organi interni. Bevo anche tanta acqua e consiglio a tutti di farlo”.
Quel che sorprende in te, è questo tuo saper essere una ragazza come tante, quasi anonima, che al momento opportuno stupisce con un’eleganza raffinatissima: come fai a essere tante donne così diverse tra loro?
“Questa domanda mi lusinga molto, grazie. Sono semplicemente e fortunatamente cresciuta con l’amore della mia famiglia, che mi ha educato a essere una donna a 360 gradi e senza la quale non sarei la persona che sono. Devo molto alla mia famiglia e spero di non deluderla mai”.
Tu sei un’attrice e, al contempo, una ballerina, che ha scelto di utilizzare il proprio ‘corpo’ come strumento critico, perché tradizionalmente penalizzato da un certo tipo di teatro ‘ridondante’, legato a un’immagine molto ‘intellettualistica’ dell’attore?
“Ho scelto di lavorare principalmente con mio ‘corpo’, perché ho sempre pensato che per stare su un palco, bisogna sapersi muovere. Anche nei miei laboratori considero molto importante l’aspetto espressivo non verbale, molto spesso odiato e dimenticato da tanti giovani attori. Il grande Decroux diceva: “Il corpo è un guanto, il cui dito sarebbe il pensiero”. Secondo me, solo attraverso lo studio e il controllo del proprio corpo, un attore è in grado di trasmettere emozioni”.
Intervista di Vittorio Lussana.
Le foto utilizzate nel presente servizio giornalistico sono di Piero Tauro e Marco Lausi, che ringraziamo