Secondo la scrittrice e giornalista romana, autrice di un bel libro sulla filodrammatica della famiglia De Velo, il teatro fu il punto di partenza di quella “sfasatura” patriottica individuata da Gustavo Modena che possedeva le sue radici nella vita di corte rinascimentale descritta da Baldassarre Castiglione e, in seguito, riconosciuta da Antonio Gramsci
I De Velo furono una famiglia esemplare di attori. La loro esperienza familiare ci racconta l’organizzazione teatrale presente prima dell’avvento dell’Accademia nazionale di Arte drammatica ‘Silvio D’Amico’ ed è una testimonianza di come, in Italia, si sia sviluppato il pensiero e l’identità culturale attraverso l’arte. La filodrammatica dei De Velo è stata una compagnia di giro veneta dalla forte personalità, formatasi interpretando tutte le opere ‘goldoniane’ e avente, come unici maestri, il palco e il pubblico. Una ricerca storica esemplare, per restituire una cultura teatrale, familiare e imprenditoriale senza tralasciare il lascito dell’attore nei confronti del testo e il suo impegno nella sintesi della magia del teatro: lo spettacolo. Tutto questo e molto altro risulta ben spiegato e raccontanto da Valentina Ughetto, giornalista e scrittrice livornese,autricedel libro ‘De Velo: 4 generazioni di artisti alla ribalta’.
Valentina Ughetto, perché ha voluto dedicare un saggio alla famiglia De Velo e al loro sforzo d’imprenditoria teatrale?
“Per non perdere una memoria importante della nostra cultura e della nostra società, legata alle compagnie di giro e al loro valore, come riconosciuto anche dal premio Nobel, Dario Fo. La famiglia De Velo è l’espressione stessa di com’erano organizzati gli spettacoli di un tempo e quale serietà imprenditoriale concorreva nel costituire la maglia del teatro”.
Tuttavia, sembra quasi che lei abbia voluto richiamare alcuni elementi identitari della cultura itaiana in quanto già presenti e radicati nell’arte teatrale: è così?
“Il teatro, così come la pittura, la letteratura e le altre arti, ha definito le nostre radici e peculiarità riconoscibili nel mondo. In Italia, esisteva una tradizione di teatro ‘girovago’ già nelle compagnie che erano composte, oltre che dai ‘figli d’arte’ che si tramandavano l’esperienza della scena di generazione in generazione, anche di nuovi attori provenienti da ogni ceto sociale. Questa circostanza permise a molti cospiratori politici del XIX secolo di nascondersi alla polizia, aggregandosi alle compagnie teatrali. Si determinò così un fenomeno di partecipazione politica attuata con la scritturazione di attori politicizzati e l’adozione di testi inneggianti al patriottismo: un fenomeno definito da Gustavo Modena: «La sfasatura»...”.
Insomma, in Italia prima si è formata la cultura e soltanto dopo la nazione? E cosa comporta tutto ciò? Che gli italiani sono, fondamentalmente, tutti artisti?
“L’Italia è un Paese che ha prodotto moltissime opere d’arte, d’ingegno e di tecnica, attraverso una scuola di pensiero sempre presente. Per Leonardo Da Vinci, l’artista era “l’artigiano ispirato e preparato”. Il primo ‘influencer’ alla corte di Urbino lo troviamo grazie a Baldassarre Castiglione, con il suo testo intitolato ‘Il Cortigiano’: un pretesto per testimoniare la vita di corte rinascimentale dilettandosi di eleganza, di raffinatezza e del bello. Un’opera primaria del rinascimento italiano, riconosciuta nei suoi ‘Quaderni dal carcere’ anche da Antonio Gramsci”.
La famiglia De Velo era specializzata nel rappresentare sul palco soprattutto i testi ‘goldoniani’: è da lì che deriva, secondo lei, quest’identità italiana di campanili e gonfaloni?
“In realtà, i testi di Goldoni rappresentano l’Italia tutta “serva di due padroni”. L’entusiasmo era partecipe e divertito dalle Alpi alla Sicilia: lo ‘spirito’ italiano di Goldoni era così amato da essere scritturato anche in Francia, presso la casa reale di Parigi, godendo di maggior fortuna che a Venezia stessa. Il teatro è un elemento unificante, che pone al centro l’uomo e il suo pensiero”.
Tutto è teatro, secondo lei?
“Non tutto è teatro, ma molto è rappresentazione. Il teatro è un’aspetto sociale, di costume, che rende possibile elevare la vita della cittadinanza. È il luogo dove vengono discussi i temi esistenziali della vita, che ci permettono di creare novazione e democrazia, sin dai tempi di Omero”.
I De Velo erano una compagnia veneta, mentre lei oggi vive a Roma: da cosa deriva questa scelta di voler approfondire le vicende e la filodrammatica di questa famiglia?
“Io sono nata a Livorno, ma solamente per caso, in quanto mia madre studiava medicina a Pisa e mio nonno aveva costituito una scuola di teatro per scelte logistiche. I De Velo erano veneti amati in tutto il mondo: basti pensare al mio prozio Tellini, sposo di Leopolda De Velo, che insegnò il mestiere dell’attore a Konstantin Sergeevič Stanislavskij a Mosca. Sono tante le famiglie che si intrecciarono, rendendo grande il teatro di prosa e non solo, poiché molteplici generi e stili si sono creati, mescolati e diffusi”.
Quanto è importante avere delle buone idee, in Italia? Si è in grado di realizzarle, oppure è sempre necessario il sostegno di qualcuno?
“Le buone idee sono importanti. E i contenuti fanno sempre la differenza. Sicuramente, è indispensabile trovare i giusti interlocutori e saper promuovere il proprio operato. In ogni epoca, il talento non è mai bastato se non supportato dalle capacità di comunicazione, di organizzazione e di promozione. Sempre ricordando Leonardo Da Vinci, a me particolarmente caro come visionario, lui fu il primo a farsi conoscere come architetto, presentando a Milano le sue opere in un ben formulato curriculum vitae”.
Il suo impegno nel voler pubblicare un volume sull’arte teatrale, riportando alla luce una vicenda praticamente inedita per il panorama letterario italiano, è stata un’idea encomiabile: prossime pubblicazioni in programma?
“Amo le storie quotidiane che, nel tempo, tracciano un percorso. Così è nato il racconto a cui sto lavorando, dal titolo: ‘Le protagoniste del Giubileo’. Si tratta di donne che hanno fatto la differenza per quanto concerne lo sviluppo culturale, artistico ed economico della ‘città eterna’ nel corso dei secoli, anche per opera di pontefici lungimiranti e mecenati”.
Intervista di Vittorio Lussana