L’album ‘illumina’, la ricerca sonora, la libertà creativa: Anzj ci racconta il suo debutto discografico tra suoni e testi.

loading

Dopo una serie di singoli e quella che lui stesso definisce una «lunga gavetta», Anzj pubblica illumina (Columbia Records/Sony Music Italy), il suo primo album. Undici tracce – senza featuring – che mostrano il vero volto dell’artista e la sua passione per la ricerca sonora, mischiando brani editi e inediti in una sequenza che funziona alla perfezione. «Quando lavoro ad un brano in studio, cerco sempre di raggiungere la stessa potenza e intensità di un singolo. A prescindere dal fatto che venga poi inserito in una compilation o meno. – ci dice Anzj – Questo mi mette in difficoltà nella selezione dei singoli. Ad esempio, Surf l’abbiamo scelto anche se non eravamo sicuri, perché tutti i brani risultavano validi. La coerenza che è venuta fuori, secondo me, è data dal fatto che se una persona è realmente fedele alla propria visione e ai propri principi il concept c’è già. Al contrario di quel che si pensa, e cioè che devi avere il concept in mente per fare un concept album».

«La tracklist è composta da tanti pezzi di un puzzle. – aggiunge poi – Mentre li scrivevo, non mi davano una visione completa. Poi li ho fatti maturare e mi sono astratto dalla creazione. A quel punto ho capito che, per questa coerenza che ho mantenuto rispetto alla mia individualità, c’era già un concept. La tracklist è stata compilata a interpretazione, è molto libera. Ho dato un Ingresso e un’Uscita ma si può percorrere in qualsiasi direzione».

Anzj: il suo vero debutto

In realtà, abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare Anzj proprio per questa visione e coerenza. «Ho fatto molta gavetta con gli altri EP pubblicati. – ricorda – Il primo EP con Columbia non è stato difficile da lavorare, ma stavo ancora prendendo le giuste misure con queste realtà. Sono sceso a compromessi più spesso e, anche per questo, non considero Cammino un album. Prima di questo progetto, non ho mai realmente sentito di aver debuttato con completa coerenza nei confronti del mio gusto. Anche per circostanze esterne auto-imposte, la libertà avuta nella scrittura di questo progetto mi ha fatto dire Questo è il mio debutto, così voglio essere rappresentato».

Da qui anche il titolo – illumina – che ha un’accezione assolutamente positiva. «Dico spesso che non sarei in grado di ottenere la stessa efficacia comunicativa se scrivessi su produzioni a tavolino. – commenta Anzj – Le voci e la produzione non possono essere scorporate. Quando mi metto al computer, penso già alla voce e agli spazi che dedico a una cosa e all’altra. È un aspetto importante che mi distingue dalla dinamica produttore-cantante. Con illumina volevo quindi esprimere quello di cui ho fatto io esperienza nella stesura del progetto: affrontare con creatività la quotidianità. Nella mia disciplina è semplice perché è già arte e creatività, ma spero di lasciare anche l’idea che la creatività sia ovunque. Bisogna cercare di prendere la propria luce, portarla fuori per illuminare ciò che ci circonda e, tramite il nostro atto creativo, modellare la realtà senza subirla».

Gli è capitato di sentirsi in questo modo? «Sì – risponde – ultimamente sentivo Milano opprimermi e mi sentivo sbagliato. Al posto di illuminarmi, venivo illuminato. La luce, però, mi deformava. Il concept è stato questo: tirare fuori la propria luce per modellare la realtà attorno a sé. Lo scopo è sempre essere più sereni».

Complessità sonora e produzioni

Se c’è qualcosa che in fondo caratterizza questo debutto di Anzj è la complessità sonora, ma anche come l’artista riesca a modellare suoni e voce per creare un mondo unico. «È spontaneo. – ci dice in proposito – Quello che un po’ percepisco è che ci siamo disabituati a un certo grado di complessità nella musica. Siamo abituati a sentire dei compitini: il loop, il tempo e i BPM non cambiano mai. La chiave rimane sempre in 4/4. Credo sia un errore. Quello che faccio io è il minimo necessario per sfruttare al massimo tutti gli strumenti che la musica ti dà per poterti esprimere. A me viene molto naturale, anche per i generi che ascolto. Di teoria musicale so poco, ma ascolto quello che i produttori fanno e mi influenza. Come se mi fossi abituato ad un grado di complessità e, se non lo ritrovassi nelle mie produzioni, mi sentirei di essere banale e di non riuscire a esprimermi».

Non c’è nessuna arroganza in Anzj ed è bene sottolinearlo. Parla di altri mercati – rispetto a quello italiano – meno schematici. «C’è gente, anche più piccola di me come numeri, che fa ciò che provo a fare io e lo fa meglio. – precisa – Ma il gusto degli italiani non è ancora pronto. Il reale augurio che faccio a illumina è che sia un ponte tra i due mondi. Non sono così avanguardista come la reale avanguardia, sono ancora tra mainstream ed elettronica. Però posso essere un tramite per chi si è abituato a un genere ad ascoltare altre sonorità che a me piacciono perché hanno altre intensità». 

Anzj tra compromessi e vocalità

Del resto, per Anzj «fare musica per pubblicarla è già un compromesso». «Se dovessi fare musica che sento solo io, la farei diversa. – aggiunge – Ma non significa che ciò che faccio non venga da me. Cerco di massimizzare il messaggio. È importante il compromesso, perché devi comunicare con altri esseri umani». Anche per questo illumina non ha featuring, «è uno contro uno, io e l’ascoltatore. Siamo la stessa cosa».

Va bene dunque essere liberi, ma anche arrivare, «altrimenti finisce lì». Lo dice un artista con «centinaia di brani nel cassetto». Talmente tanti che arriva a confessare di non essere assolutamente «legato alle mie opere»: «Non sto dietro ai miei brani, piuttosto ne inizio un altro e questo mi dà incredibile libertà. Se viene una hit, non voglio che sia per una formula che ho utilizzato, ma perché ho catturato un’emozione che le persone vogliono sentire più volte e condividere». Attenzione, poi, a definirlo cantautore perché per Anzj la voce è tuttora un’insicurezza. «Solo negli ultimi tre anni ho acquisito un po’ di fiducia e consapevolezza. – commenta – È stato un percorso. Sono introverso e non amo parlare in pubblico, ma sembra quasi che a tavolino abbia preso la cosa più lontana dalla mia comfort zone per crescere. Era cantare, ovviamente. Facevo fatica a dire i miei pensieri davanti agli altri e cantare mi ha dato tantissimo».

In fondo, illumina è davvero «un punto di partenza». «Questo sono veramente io, il resto era gavetta che mi serviva. – dice Anzj – Prima c’era la prefazione, questo è il primo capitolo. Non voglio togliere quello che ho fatto in precedenza, perché è assolutamente necessario per capire l’organicità del percorso. C’è sempre una miticizzazione degli artisti: si dice che quando iniziano sono già bravissimi. Non è vero. Ora la sfortuna e fortuna della nostra generazione è che, appena abbiamo il singolo, lo pubblichiamo e questo un po’ ci macchia. C’è sempre un’evoluzione. Questo album mi ha permesso di capire realmente su cosa devo scendere a compromessi e su cosa posso permettermi di essere completamente me stesso».