Si intitola ‘NUOVOSPAZIOTEMPO’ il progetto discografico di Emma Nolde disponibile dall’8 novembre. La cantautrice ci racconta questo viaggio.

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È una dimensione nuova, o forse semplicemente diversa, quella nella quale Emma Nolde si muove con le canzoni del suo terzo disco. Il titolo racconta molto, ‘NUOVOSPAZIOTEMPO’, a metà fra neologismo e augurio di una realtà che ridefinisca se stessa e i suoi ritmi. Una visione e un modus vivendi che tanto ereditano dalla toscanità della cantautrice, lontana dalla frenesia delle città e abbracciata a un’umanità che sa concedersi il tempo di fermarsi e pensare. Ce lo spiega la stessa artista.

Terzo album, primo con Carosello Records: che viaggio è stato per te e che viaggio inizia ora per ‘NUOVOSPAZIOTEMPO’?
‘NUOVOSPAZIOTEMPO’ è stato un viaggio tra amici. L’abbiamo lavorato a Livorno insieme ai musicisti che suonano con me; siamo sempre stati lì e ci siamo presi i nostri tempi, passando anche giorni in cui non succedeva assolutamente niente. Poi arrivavano, invece, giorni in cui accadevano tutte insieme cose importanti. Abbiamo fatto molto con calma in modo che fossimo sicuri che fosse tutto bello, quantomeno per noi.

Emma Nolde cover
Cover album da Ufficio Stampa

E adesso che siamo arrivati all’uscita, spero che per ‘NUOVOSPAZIOTEMPO’ si apra un capitolo nuovo e che sia un periodo il più lungo possibile. Sicuramente per noi inizia il viaggio live per il quale portiamo in giro tre dischi. Abbiamo, quindi, modo di costruire una scaletta con le spalle coperte perché con tante canzoni puoi giocare in termini di intensità tra pezzi ballabili e meno ballabili. La speranza è di divertirci ai concerti e poi spero che questo album non risenta troppo della velocità dei tempi e che resista il più possibile.

In che modo spazio e tempo definiscono nuove coordinate nel neologismo che dà il titolo al disco? Che dimensione è quella che racconti?
Non ricordo precisamente il momento in cui mi è venuto in mente non ma il punto era esprimere quello che faccio nelle canzoni. Ovvero il fatto di andare un po’ avanti e un po’ indietro nel tempo, quasi in un universo parallelo. Per esempio, immagino di incontrare il mio babbo quando aveva la mia età in Sconosciuti ma penso anche a come saremo io e la persona che amo tra 10 anni. A questo aggiungo il fatto che, secondo me, stiamo vivendo un momento in cui non c’è solo la dimensione del reale ma anche tanto quella dell’irreale coi telefoni, i computer. Gli schermi che guardiamo forse per la maggior parte della nostra giornata. Quindi racconto anche la sofferenza di questo presente

È un album che contiene e alimenta tante domande, più numerose di quanto non siano le risposte che probabilmente neanche vuole fornire. Come si resta in equilibrio? Per te la musica è una forma di equilibrio?
Più che altro nella musica trovo l’ordine, forse, perché con le parole riesco a mettere un po’ in fila i pensieri e quello che passa per la testa. A volte basta sintetizzare i problemi su un foglio per rendersi conto, alla fine, che non erano poi così tanti o così tanto ingombranti. Proprio il fatto di buttar fuori un problema, di guardarlo e di ascoltarlo aiuta a capire meglio un pensiero.

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In questa cornice, scorre la vita e nei tuoi testi c’è un racconto personale ma nel quale non si fatica a riconoscersi. Questo artisticamente è un valore importante (crea empatia e condivisione) ma dall’altra parte svela il rischio che, complice la velocità, le esperienze di tutti finiscano per assomigliarsi. Abbiamo smesso di andare in profondità, esplorare una terza coordinata?
Sicuramente il fatto di non andare in profondità sia qualcosa che accomuna davvero tutti perché c’è un grande desiderio di far vedere le proprie conoscenze ma non un vero desiderio di conoscere. Siamo un po’ accomunati da questa voglia di farsi vedere, sembrare bravi e preparati però poi, magari, non lo siamo davvero. Manca la curiosità in tempi che ci spingono a metterci vetrina perché tutti, anche chi non lo fa di lavoro, si mette in mostra sui social. Penso che la velocità non abbia troppo a che fare con la superficialità, ma proprio con un modo di andare più o meno a fondo negli argomenti. Come modo di vivere che abbiamo, un approccio pratico alle giornate.

Emma Nolde
Foto di Lorenzo Stefanini da Ufficio Stampa

Pensi che caratterizzi solo i giovani?
Lo vedo tanto nelle giovani generazioni ma c’è in tutti, si è sempre parlato di velocità. Quando ne parlo con mia nonna, lei mi dice che anche loro pensavano di vivere un mondo estremamente veloce. E probabilmente è veramente così, ma la cosa che ci differenzia è proprio questo oggetto che ci è piombato in mano, lo smartphone, che ha reso davvero impossibile trovare dei momenti in cui siamo costretti a non fare e a metterci lì a pensare al niente. Questo è diventato impossibile… poi uno si può creare quel momento, ma è come se non ce l’avessimo mai.

Quanto il fatto di essere nata in una regione come la Toscana, che riesce a conservare un’abitabilità a misura d’uomo, ha influenzato il tuo approccio alla vita? Rispetto anche alla scelta, per esempio, di non vivere a Milano che è capitale – fra le altre cose – della discografia italiana?
Probabilmente sì. Penso sia una delle regioni in cui questa abitabilità di cui parli effettivamente è stata conservata. Saranno il mare e la natura, chi lo sa… però sicuramente ti mette nella condizione perfetta per creare, immagino.

Quindi, ad oggi, che rapporto hai con la grande città?
È un rapporto distaccato. Ci vengo poche volte all’anno e quando vengo è sempre una resa dei conti, per ricevere pareri rispetto a quello che uno fa. Diciamo che non è certo un rapporto confidenziale, mi mette molto in guardia. Non sono così rilassata nei confronti della grande città.

Tornando al disco, già al primo impatto, arriva la verità dell’album anche sul piano musicale. Come hai lavorato da questo punto di vista?
Abbiamo lavorato mettendoci dei limiti e decidendo che non dovevamo registrare nessun altro strumento tranne quelli che poi ci sarebbero stati live. L’idea era quella di puntare ad avere una coesione sonora che a me interessava tantissimo in questo disco.

Nella tracklist accogli tre ospiti molto diversi tra loro, sia per generazione sia per ispirazione. Partiamo da Niccolò Fabi, come è stato lavorare con lui?
È stato bello e ho percepito da parte sua anche molto coraggio, perché non è scontato andare da una persona che ancora ha fatto poco e proporle di scrivere insieme. Dalla sua posizione, a me sembra un’azione coraggiosa, e l’ha fatto pienamente, dall’inizio alla fine della canzone. Ha pensato a cosa io volessi dire e mi ha chiesto tante volte della persona di cui volevo parlare, di come era fatta… lui voleva prendere i panni di questo mio amico e anche difenderlo in qualche modo nella canzone. Abbiamo parlato tanto e ci siamo visti molte volte… Lui, per me, è una persona e un cantautore che ammiro molto. Miro a essere come lui un giorno, mi piacerebbe tantissimo.

Poi ci sono Mecna e Nayt.
Siamo in pratica coetanei per quanto Mecna sia un pochino più grande di noi. Io e William, poi, non siamo poi così teen nel modo di pensare, quindi tutti e tre siamo molto allineati. E siamo accomunati dal fatto di mettere al centro il testo, è la prima cosa a cui mettiamo attenzione.

Parte tutto dalla da quello che voglio, dalla volontà di raccontare una cosa precisa come succede nei film: probabilmente non nasce la sceneggiatura esattamente per come poi gli attori la avranno ma prima c’è l’idea della storia da scrivere. Insieme a Fabi, Menca e Nayt mi piaceva ritrovarmi un po’ in mezzo a questi punti e non a caso le due canzoni con loro si intitolano Punto di vista e Punto di domanda. C’è una retta e io voglio stare proprio esattamente a metà.

Capitolo live, cosa c’è in programma?
Partiamo il 29 novembre da Livorno per fare tappe, in ordine sparso, a Milano, Bologna, Roma, Caserta. Saranno aggiunte date anche in Sicilia, per fare un giro completo. Sul palco ci saranno le persone che hanno registrato per portare non solo una sequenza di canzoni ma uno spettacolo che colleghi queste canzoni, creando dei momenti con il pubblico. Spero che si possa vivere un’esperienza completa più che un concerto.

C’è un  palco che sogni di calcare?
In modo molto pratico ti direi l’Alcatraz di Milano, sarebbe proprio un gran sogno. Potrei dirti chissà quale palco ma non è nella mia natura dirti ‘Ah, mi piacerebbe fare San Siro’. Non ha senso. Per l’Alcatraz sarebbe davvero un passo da sogno, importante.

Immagini da Ufficio Stampa