Massimo Ranieri, in ‘Spellbound – L’incantesimo’ su Netflix, presta la voce a Flink e Bolinar. La nostra intervista.

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Spellbound – L’incantesimo – diretto da Vicky Jenson – è già disponibile e, tra le voci italiane, troviamo quella di Massimo Ranieri nel duplice ruolo di Bolinar e Flink. Una sfida non semplice per il cantante, a cui sono toccati due simpatici personaggi, protagonisti della storia e delle avventure di Ellian, la tenace figlia dei dominatori di Lumbria che deve intraprendere una pericolosa missione per salvare la famiglia e il regno dopo che un misterioso incantesimo trasforma i suoi genitori in mostri.

«La sfida maggiore forse è stata Flink, che è il doppio, il diverso. – ci dice Massimo Ranieri – Sotto sotto c’è anche questa tematica della diversità, che è molto importante. Mi ha divertito molto perché è nevrotico. Bolinar invece è un bonaccione, è rassicurante. Mi ha affascinato Flink anche perché mi ha fatto lavorare di più per il cambio di voce proprio fisico. È tutto scattante, per cui dovevo trattenermi e non fare rumori nella sala di doppiaggio. Mi scappava ogni tanto qualche manata sul leggio». Del resto, è proprio la storia ad aver conquistato Ranieri, così come «la bellezza di queste immagini che all’epoca mia sognavamo». «Vedere queste immagini meravigliose, i personaggi bellissimi e tutti positivi – dice ancora – mi ha affascinato. Mi ha divertito tornare a essere bambino, rivolgermi ai bambini, parlare direttamente al loro cuore».

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Del resto, in Spellbound troviamo una protagonista – Ellian – che, con struggente tenerezza, si prende cura dei propri genitori. «Come dovrebbe essere. – commenta Massimo Ranieri – I giovani credono di essere immortali. Diceva Eduardo in Filumena: Ti ricordi quando io scendevo per Chiaia? Mi sentivo un Padreterno, sfidavo la morte. A quell’età, pensi che sia più forte la vita della morte. Non ci pensi all’altro, si è egoisti. Pensi che la vita è tua e non finirà mai. Invece finisce e il messaggio è meraviglioso come il messaggio di Flink. Alla fine scopriamo che è napoletano».