Per la prima volta in gara al Festival di Sanremo, Lucio Corsi porta sul palco dell’Ariston il brano ‘Volevo essere un duro’. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Dalla finzione alla realtà. Dopo aver partecipato al Festival di Sanremo nella serie tv Vita da Carlo 3 con Verdone nei panni di direttore artistico, Lucio Corsi, all’Ariston, ci va per davvero. Una serie di coincidenze hanno, infatti, convinto l’artista a partecipare tra i Big in gara nell’edizione 2025 con Carlo Conti. Il brano scelto è Volevo essere un duro, traccia che sarà inserita nel prossimo progetto discografico in fase di chiusura.
Lucio Corsi a Sanremo 2025
Intanto devo dire che sono felice di essere al Festival della canzone italiana, ci tengo a sottolineare questa cosa. Al centro ci sono le canzoni, la musica, gli strumenti e io vorrei proprio puntare il faro su queste cose. Inseguo le canzoni da quando ero bambino, con esse amo fuggire da quella realtà che poi nella vita vera amo vivere a pieno. È la cosa che mi ha sempre divertito di più fare, soprattutto con grazie a una lingua, l’italiano, che ci consente svariate possibilità per dire lo stesso concetto in più modi, magari con un ritmo diverso.
È un rebus, lo vivo come un gioco: sto giorni interi a cercare di dire un concetto in quello spazio nel modo migliore possibile. Perciò, da grande appassionato di canzoni, essere su quel palco per me è un onore. Ci sono passati musicisti che amo da sempre e penso a Rino Gaetano, Lucio Dalla, Ivan Graziani, Vasco Rossi. D’altra parte, poi, si sono tanti altri che amo e che non ci sono mai stati, come Franco Battiato… perciò è sempre stata una lotta interiore per me.
Come ti prepari a salire sulla ‘giostra’ sanremese?
Sono curioso di questa esperienza nuova che voglio vivere come tale, né come una vetta né come un traguardo. Sanremo lo vedo un po’ come una montagna, quindi è un po’ come essere al campo 2, campo 3… In un percorso di musica ci sono dei passaggi per crescere, per imparare a fare questo mestiere sempre meglio. E, per me, il festival è uno di questi: è un modo per crescere, imparare a fare questo mestiere in modo migliore. Sai qual è il mio sogno qual è? Stare in tour tutta la vita, dividendo il palco con i miei musicisti che sono i ragazzi che suonano come dal liceo.
All’Ariston ci sarà qualcuno di loro?
A Sanremo ci sarà solo uno di loro, Tommaso, che è anche il regista dei miei video ed è forse l’unico con cui che riesca a scrivere canzoni. È maremmano come me e ci inventiamo insieme le cose da una vita; fra noi c’è una sorta di fratellanza che portiamo anche nella scrittura.
A proposito di scrittura, veniamo al brano per il festival, Volevo essere un duro.
È una canzone che ho scritto pensando al disco, un anno e mezzo fa. Un aspetto che credo sia fondamentale perché le canzoni non vanno scritte per immaginarle della forma di un contenitore, sennò si ribellano. Ti fregano se le costringi a una posa, a una forma… vanno scritte perché c’è la necessità di dir qualcosa e c’è un’idea, un disco, un racconto. Che sia finita a Saremo è una cosa in più, che mi rende felice. Volevo essere un duro, quindi, doveva essere semplicemente uno dei singoli dell’album che sto preparando. È una ballata – sono affezionato a quel tipo di struttura di canzone che consente di sbizzarrirsi con le parole. E fa parte di un disco in cui ho cercato il cambiamento nella parte testuale più che nel suono o negli arrangiamenti, che pure vanno in una direzione meno rock’n’roll rispetto al precedente lavoro.
Come hai lavorati, e stai lavorando, sui testi, allora?
Cambiare è una cosa fondamentale per non ristagnare e diventare noiosi. E in musica il cambiamento per me è la cosa più bella. Ho cercato di parlare più concretamente delle persone mentre in passato ho usato spesso immagini e metafore: le onde, il vento, gli animali. È un modo di scrivere che ho cercato di imparare da tanti maestri che mi hanno ispirato e influenzato nel corso degli anni, soprattutto da Paolo Conte. Ha saputo raccontare storie senza tempo, senza riferimenti all’attualità, cosa che da più piccolo non facevo. Ci sono tanti esempi di questo tipo di musica senza epoca, e secondo me bisogna aspirare a questo, a ingannare le epoche e parlare di cose che potrebbero andare bene anche per le orecchie del passato.
Di cosa parla, nello specifico, il brano che porti all’Ariston?
La canzone parla del fatto che spesso è difficile diventare ciò che si sperava e, soprattutto, del fatto che a volte si spera di essere qualcosa che in realtà non è tanto meglio di ciò che siamo. In questo senso c’è anche una forma di accettazione, in qualche modo. A cui si aggiunge la riflessione sul fatto che il mondo ci voglia inscalfibili, perfetti, belli come dei fiori e solidi come le rocce. Ma i fiori sono appesi a un gambo, a un filo, qualcosa di sottilissimo, perciò siamo tutti molto in equilibrio precario su tutte le cose. Dal punto di vista musicale, dicevo, è una ballata e dentro ci sono il folk e un po’ di rock’n’roll, a cui si aggiunge l’orchestra sanremese.
Come sono andate le prime prove?
Suona con l’orchestra è una cosa che non capita sempre, è stato bellissimo. Una cosa, però, la devo dire: maledetti in-ear. A Sanremo li avrò, ma li detesto! Dal vivo uso le spie anche perché penso che il live debba essere un’altra cosa rispetto al disco. Altrimenti me ne sto a casa ad ascoltare il cd: quando vado a sentire un concerto, voglio sentire le spie che fischiano.
Avere problemi tecnici non vuol dire non essere professionali, anzi come li risolvi diventa un momento dello show, ti inventi cose. Quello è live, non riprodurre un cd. Le cuffie, invece, sono proprio una noia perché ti tappano in una bolla, mentre la musica è nell’aria. Come dicevo, sarà con me Tommaso che suonerà l’elettrica e farà i cori, mentre io suonerò il piano e la chitarra. Volevo essere un duro è una ballata sia dolce sia esplosiva in certi punti, mi dà gusto. E poi c’è la cover…
Cosa puoi anticipare?
Posso dire che sarà un duetto, non con un altro artista in gara, e sarà una canzone italiana del passato che, secondo me, è di quelle che vanno un po’ dove pare a loro. Per me è importante, quando proponi una cover, riuscire a farla propria in qualche modo quindi va scelta bene. Prima di tutto devi saperla cantare, non solo come intonazione, ma an che per come ne esprimi il messaggio. È una questione di abitudine ed è un esercizio che in ogni tour ho sempre cercato di fare mettendo in scaletta brani al di fuori del mio repertorio. È una scuola e servono anni di esperienza per trovarsi pronti a farsi ascoltare da più orecchie come nel caso del festival.
Cosa ti aspetti da quella settimana?
Dicono che sia un frullatore, perciò voglio vedere se riesco a evitare le lame all’interno del frullatore oppure riuscire a convivere col fatto di essere stato fatto a pezzi. Vedremo… La paura del palco ci sarà ma quella c’è sempre, è come la sensazione in moto prima di partire. Ma il bello di questo lavoro è che, in un secondo, quando sali sul palco tutto si trasforma in energia. Perciò è proprio quel momento lì che ricerchi e mi mancano i concerti per quella sensazione.
Come curerai il look?
Non avrò nessuno stylist ma farò da solo perché, come lo scrivere canzoni, credo che anche l’immaginario estetico debba venire da me. È una cosa personale ed un altro strumento per raccontarsi che non puoi lasciare in mano ad altri. Per come intendo io le cose – e vale anche per i videoclip e le copertine dei dischi – devo farlo io. Amo il glam rock e il prog: una delle prima infatuazioni di bambino è stato vedere Peter Gabriel che si trasformava sul palco. Ma il glam rock non era per niente qualcosa di chic o costoso anzi era fatto di stracci perché si trattava persone che volevano fuggire dal grigiore della propria vita con quel modo di apparire, ma non c’era niente di così patinato.
Penso, del resto, che l’occhio vada messo sulla musica, sulle canzoni, sugli strumenti. E anche la gente, secondo me, si è rotto le palle della sciccheria, della patina sulle cose. Un po’ di normalità non guasta. Detto questo, sul palco è bello trasformarsi in qualche altra cosa, è il posto giusto per farlo. Ho collaborato con Gucci nel 2017 però a me, della moda, non frega niente. La moda cambia in base a quello che fa tendenza, invece a me piace l’estetica glam rock perché è legata alla musica. È la musica che mi trasporta, non i vestiti in sé, ma le canzoni. In questo senso la mia ricerca stilistica sarà molto naturale.
E dopo Sanremo, cosa ti aspetta?
Stiamo chiudendo il disco do cui ancora non abbiamo il titolo. Succede sempre così… o mi viene subito all’inizio come ‘Bestiario musicale’ e da lì iniziamo a sviluppare l’idea, ma per gli altri è sempre arrivato alla fine. Sono nove canzoni, comprese anche quelle già uscite (Tu sei il mattino e Nel cuore della notte, la prima e l’ultima del disco). E ad aprile si parte con il tour: saremo in sei o sette sul palco, sempre i ragazzi di cui parlavo, e anche lì sarà pieno di strumenti. E soprattutto niente in-ear ma fischi nelle spie.
Foto di Simone Biavati da Ufficio Stampa