Il Governo italiano ha chiesto di reintrodurre la pesca a strascico entro le 3 miglia: le associazioni ambientaliste insorgono.
Una cura peggiore del male: conseguenze devastanti per l’ecosistema, con ricadute anche sulla pesca artigianale: il WWF, Greenpeace Italia, Legambiente, Marevivo e MedReAct esprimono forte preoccupazione rispetto alla richiesta del governo italiano all’Unione europea di aprire una pesca a strascico sperimentale entro le 3 miglia, come risposta all’emergenza granchio blu.
L’introduzione del divieto alla pesca a strascico entro le 3 miglia da parte dell’UE in tutte le sue acqua risale al 2006. Il motivo è il forte impatto di questa tecnica di pesca nelle zone costiere. La situazione, seppur di emergenza, non giustifica secondo le associazioni questo ritorno al passato. La comunità scientifica nazionale ha espresso la stessa preoccupazione su iniziativa dei ricercatori del Nord Adriatico, in una lettera congiunta inviata alla Commissione europea.
Le associazioni sono ben consapevoli dell’impatto socioeconomico dell’aumento del granchio blu lungo le coste italiane. E stanno lavorando a livelli diversi durante questa fase di emergenza, ma vogliono esprimere congiuntamente la propria ferma contrarietà riguardo alla richiesta del Governo italiano alla Commissione europea e alle conseguenze che provocherebbe l’utilizzo della pesca a strascico sull’ecosistema costiero, tra cui, la cattura di novellame di specie ad alto valore commerciale, con impatti negativi a medio e lungo termine per tutto il settore della pesca.
Pesca a strascico, solo problemi e nessuna soluzione
L’utilizzo dello strascico entro le tre miglia potrebbe inoltre causare conflitti con la pesca artigianale, operante nelle stesse zone. La complessità della situazione richiede che qualsiasi misura proposta atta a gestire questa emergenza deve essere condivisa con tutti gli stakeholders. Va inoltre valutata dalla comunità scientifica, al fine di evitare ulteriori danni a livello di ecosistema. L’emergenza granchio blu è già stata affrontata in altri paesi del Mediterraneo come Tunisia, Spagna, Grecia, e anche in Italia (caso della laguna di Lesina) senza ricorrere allo strascico, bensì adattandosi alla pesca con nasse, strumenti efficaci e più selettivi, e aprendo con successo nuove filiere e linee di commercializzazione.
È fondamentale che l’Italia eviti di compiere errori gestionali, come l’utilizzo di questi sistemi non selettivi, imparando a gestire questa nuova risorsa alieutica che può fornire una fonte di guadagno alternativa a pescatori e agli operatori di tutta la filiera, trasformando così l’emergenza in opportunità. Questa situazione si sarebbe potuta prevedere, ma risulta ora indispensabile gestirla in maniera appropriata senza arrecare ulteriori danni ad un ecosistema già fragile e compromesso, ed avendo una visione a lungo termine che non può prescindere dagli altri fattori che contribuiscono alla perdita di biodiversità, in particolare il tema del cambiamento climatico che amplifica gli effetti della presenza di specie aliene.
Granchio blu, da dove proviene
Specie originaria delle coste atlantiche del continente americano, dalla Nuova Scozia all’Argentina, il granchio blu è stato introdotto in Europa, presumibilmente tramite le acque di zavorra delle navi, sin dagli inizi del XX secolo. Si è poi progressivamente diffuso lungo le coste orientali dell’oceano Atlantico e del Mar Mediterraneo. Dopo una prima segnalazione in Laguna di Venezia nel 1949, questa specie si è diffusa lungo le coste italiane già dagli inizi degli anni duemila. In questi ultimi anni ha manifestato un aumento esponenziale delle popolazioni, principalmente negli estuari e lungo le coste dell’Adriatico nord-occidentale.
Ciò sta causando crescenti problemi socioeconomici al settore della pesca. La causa principale è la predazione del granchio blu sui molluschi bivalvi, derivanti dalle attività di acquacoltura estensiva negli estuari e nelle lagune delle zone. Allo stesso tempo, questa specie rappresenta una potenziale minaccia per gli ecosistemi marini delle aree interessate. Ecosistemi già duramente impoveriti e danneggiati dalle attività umane e dal cambiamento climatico.