In Corea del Sud il suicidio di Lee Sun-kyun ha creato un dibattito sulle indagini e gli interrogatori della polizia.
La notizia della morte dell’attore Lee Sun-kyun ha sconvolto il mondo intero. Soprattutto perché l’interprete era noto anche al di fuori della Corea del Sud dopo essere apparso (nei panni del ricco padre di famiglia) in Parasite, pellicola di Bong Joon-ho vincitrice di quattro Premi Oscar. Le voci sul suicidio di Lee Sun-kyun si sono diffuse in men che non si dica, complice la giovane età dell’attore (aveva appena 48 anni) e le vicende giudiziarie che lo avevano recentemente coinvolto, rovinando in parte in patria la sua reputazione e immagine.
Una storia tragica, che sta sollevando in Corea del Sud indignazione e dibattito. La nazione non è nuova del resto agli scandali che travolgono le celebrità. Il caso più eclatante – tra quelli recenti – è quello del club Burning Sun che ha colpito nel 2019 soprattutto l’industria K-pop, con idol costretti a ritirarsi dalle scene e gravi perdite da parte delle agenzie di intrattenimento. In quel caso, le accuse erano di sfruttamento della prostituzione e di diffusione non consensuale di sex tape. L’attore Lee Sun-kyun stava invece fronteggiando accuse sull’uso di stupefacenti. Imputazioni che lo avevano posto al centro di un ciclone mediatico contro cui oggi la società coreana sta puntando il dito.
Lee Sun-kyun: le vicende giudiziarie
Lee Sun-kyun è stato trovato senza vita nella sua auto mercoledì 27 dicembre nei pressi di Waryong Park, a Seoul. La moglie dell’attore e il collega Jeon Hye-jin ne avevano denunciato la scomparsa, dopo aver trovato un biglietto preoccupante e aver notato che mancasse anche l’auto. Appena pochi giorni fa – sabato, per l’esattezza – la polizia aveva interrogato l’interprete per la terza volta, accusandolo di uso illegale di droghe. In quell’occasione, Lee Sun-kyun si era dichiarato innocente e aveva richiesto il test del poligrafo.
Era da ottobre che Lee fronteggiava interrogatori. L’accusa era quella di aver usato sostanze illegali come marijuana e droghe psicotrope a casa di una conoscente, una donna di circa 20 anni. Dopo il primo interrogatorio a ottobre, l’attore è stato richiamato dalla polizia in due occasioni: il 4 novembre e – l’ultima – il 24 dicembre. Ogni volta Lee ha ribadito la propria versione: di essere innocente e di aver fatto uso di droghe, sì, ma con l’inganno. Sembrerebbe un’accusa tutto sommato lieve, eppure l’ultimo interrogatorio è durato ben 19 ore. Il caso, poi, è ancora più complicato di quanto si potrebbe pensare. L’attore ha infatti denunciato la donna in questione per ricatto e estorsione (le avrebbe dato in totale 350 milioni di won, circa 245.000 euro) per questioni legate all’indagine in corso.
La versione di Lee Sun-kyun era chiara. Ha ammesso di aver incontrato la ragazza quattro volte e di aver inalato una polvere attraverso una cannuccia, pensando si trattasse di una pillola per dormire frantumata. Per avvalorare la propria versione (la donna insisteva invece che fosse ketamina e che l’attore lo sapesse), a novembre Lee si è sottoposto a dei test, risultati negativi alle droghe.
Polizia vs celebrità: la Corea del Sud protesta
Una delle prime conseguenze del suicidio di Lee Sun-kyun – oltre alla cancellazione di conferenze stampa nel paese per onorarne la morte – è un dibattito insorto in Corea del Sud che punta il dito proprio contro i metodi della polizia. Secondo il Korea Herald, in patria sono molte le accuse di interrogatori eccessivi nei confronti delle celebrità. Non solo: l’intero caso il 19 ottobre è stato reso pubblico attraverso i media locali, quando le indagini erano ancora in fase confidenziale. Il che ha chiaramente causato un danno inimmaginabile alla reputazione dell’attore.
«Non è così comune vedere i nomi delle persone indagate resi pubblici in una fase così precoce dell’indagine. – avrebbe dichiarato al Korea Herald un ufficiale di polizia – Se le informazioni trapelano, il caso diventa inevitabilmente più difficile perché viene rivelata anche la strategia d’indagine». Sembrerebbe inoltre che Lee avesse richiesto interrogatori privati: richiesta prontamente respinta dalla polizia. E sotto accusa è finita anche la pratica di indagare personaggi pubblici sulla base delle dichiarazioni di un unico individuo.
La donna in questione aveva precedenti penali e il mese scorso aveva già fatto il nome di G-Dragon. Il rapper è stato interrogato, sembrerebbe senza conseguenze, anche perché risultato negativo ai test anti-droga. Un finale che si preannunciava simile per Lee Sun-kyun, travolto tuttavia da una valanga mediatica che l’ha presumibilmente messo alla berlina prima ancora di qualsiasi verdetto. La polizia – per dovere di cronaca – ha pubblicamente rigettato qualsiasi argomentazione, sostenendo di aver condotto un’indagine lecita. E – subito dopo il ritrovamento dell’attore – ha arrestato la donna coinvolta nel caso e denunciata da Lee Sun-kyun per estorsione.
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