La comunicazione secondo Manuela Ronchi: «Siamo nell’era del contenuto, la community è il futuro»

Qual è il futuro della comunicazione? Al giorno d’oggi potrebbe essere una domanda troppo complicata a cui rispondere, considerando soprattutto la pluralità dei linguaggi di cui siamo protagonisti. Abbiamo quindi provato a chiederlo a Manuela Ronchi, inserita da Forbes – per la seconda volta – tra le 100 figure imprenditoriali femminili che più si sono distinte nel 2023 e che hanno contribuito alla crescita economica del nostro paese. Manuela Ronchi è esperta di marketing e comunicazione e CEO di Action Agency, agenzia specializzata nell’unconventional marketing e nella comunicazione strategica attiva ormai da ben 40 anni.

«Non sono alla ricerca di riconoscimenti, ma quando arrivano mi fa piacere. – ci dice subito – Mi ritengo un donna del fare e, con le mie forze, ho voluto portare un pensiero nella comunicazione rimanendo fuori dalle lobby e dal circolo dei poteri forti. Ho cercato un mio modo di lavorare. Non piace a tutti, ma se hai la libertà di poter lasciare un’impronta e te lo riconoscono, puoi dire ad altri di non mollare quando vogliono fare le cose in cui credono».

Manuela Ronchi: il futuro della comunicazione

Indubbiamente, lavorare nella comunicazione oggi è una sfida ardua. «La comunicazione è destinata ad evolvere. – spiega Manuela Ronchi – Credo sia arrivato oggi il momento in cui si è capito che non è aria fritta, come si diceva un po’ di anni fa. Anzi, è alla base di tutto. Oggi assistiamo a una pluralità di linguaggi e, se non conosci le grammatiche narrative, non puoi conquistare la fiducia di chi ti ascolta. Che è poi l’obiettivo principale». Se in passato l’approccio era Ti vendo un prodotto, oggi la prospettiva è mutata: «Ti formo/informo e ti lascio la libertà di scegliere. È la filosofia del nudge o della spinta gentile. Se metti le persone in condizione di fare una scelta consapevole, si affezionano a te e al brand», chiosa Manuela Ronchi.

«Credo che la comunicazione debba sempre di più essere a monte di decisioni strategiche. – continua – Non è solo parte del marketing ed è cambiata completamente. Per essere buoni comunicatori non si può non essere attenti e criticare. Perché devi analizzare, ad esempio, un gamer? Se riesce a coinvolgere i ragazzi, quella grammatica narrativa ti può aiutare a intercettarli. Devi essere sempre curioso». Un esempio può essere il successo di Twitch, che oggi rappresenta – secondo la Ronchi – «la talk radio contemporanea». «Come tutte le mode, anche quelle comunicative nascono dalla strada e da una necessità particolare. Ottengono risultati perché aggregano», conclude.

La cacofonia dei social media

In questo senso – e dopo il riferimento a Twitch – vale la pena spendere qualche parola sui social media: sempre più numerosi e sempre più complessi. «Io credo – dice in proposito Manuela Ronchi – che i social tradizionali siano in declino. Su Instagram se non paghi non ti vede nessuno e sta scemando fortunatamente anche l’ansia da follower. La tendenza ora è quella delle community verticali. C’è troppa pluralità e, in un mare di immondizia, si cerca una piscina pulita. Se sei appassionato di qualcosa, cerchi un contenitore su quel tema. Non più orizzontale, quindi, ma verticale. Prima si andava per estensione di linea. Ora prima ci si iper-posiziona e poi si pensa ad estendere la linea».

Se «la community – come sottolinea Manuela – è il futuro», il lavoro del comunicatore non diventa estremamente più complicato? «Non bastano mai le ore. – replica sorridendo – Soprattutto se ami ciò che fai. Io mi circondo di persone che mi fanno sentire stupida. Sto vicino a persone illuminate e rubo, sono una ladra. Ascoltare chi ha dedicato la vita a un argomento ti dà una visione. Ho conosciuto Luciano Floridi due anni fa. Cosa ti devo dire? Mi sento una privilegiata. Sull’intelligenza artificiale ci sono molte fake news, mentre lui è autorevole e ha una visione sociologica e politica. Meglio sentirsi stupidi di fronte a persone intelligenti che intelligenti tra persone stupide». Ma si può sopravvivere alla comunicazione da community? «È complicato – chiosa – perché non basta buttare nel mucchio un’idea creativa, ma bisogna lavorare per un target. Se non sei autorevole, ti fanno fuori in due secondi».

Il podcast

Altro case study è il mondo dei podcast: Action Agency ha intercettato il fenomeno già nel 2018 e ha fondato la prima Factory sul Digital Audio che oggi si chiama Dr Podcast. 

«Oggi il podcast funziona perché non è perfetto. – ci dice Manuela Ronchi – È un mezzo che ti permette di approfondire cose e cercare per argomento, non te lo impongono. Ricordo che mi chiamavano la sciura del podcast, dicevano che era roba da nerd. Io sono testa dura e l’ho portata nelle aziende. Poi dai branded podcast siamo passati agli original, ma l’obiettivo era usare il podcast come mezzo di comunicazione per le imprese». Come si spiega, dunque, il successo del mezzo? «Secondo me, come per tutte le cose, se c’è un’overdose poi stai male. – replica – Le immagini ormai non le vediamo neanche più, sono tantissime. Il nostro cervello non immagina, invece con l’ascolto puoi farlo. E puoi anche coprire i momenti di commuting. Ascolti e ti informi facendo altre cose. Ora è emerso anche il vodcast, ma il video aiuta a supportare mentre l’audio è prevalente. Siamo solo all’inizio. Quest’anno c’è stato il boom ma non in tutta Europa. È un mass media a tutti gli effetti».

Integrazione e strategia: gli asset fondamentali per Manuela Ronchi

A livello aziendale, è indubbio che «pensare a un’integrazione tra azienda e contenuto è fatica, non basta dire metto il mio spot». Manuela sottolinea però che – per fortuna – è «finalmente l’era del contenuto». Il che comporta un maggiore sforzo creativo. Quali sono i tre asset, quindi, che secondo Manuela oggi non possono mancare a un bravo comunicatore? «La passione è imprescindibile, come la curiosità. – risponde – E poi la competenza e le relazioni. Sono elementi che creano leadership. Se il comunicatore non è competente, lo sgamano subito. Se non gli brilla l’occhio, è banale. Senza relazioni resta nella sua nicchia. E poi serve empatia: la ottieni se sei sincero».

Sono elementi utili anche nel campo del personal branding? «Ormai siamo diventati media di noi stessi. – ci risponde – Ognuno di noi è una piccola media company: produciamo i contenuti da mettere sui social, che sono la nostra tv. C’è overbooking e anche qui serve professionalità. La malattia del secolo è purtroppo copiare chi ha avuto successo e questo crea praterie di disillusi e frustrati. Prima devi pensare alla strategia, capire l’obiettivo, analizzare le piattaforme. Ad esempio, su LinkedIn il posizionamento è da professionista, mentre su Instagram bisogna studiare le immagini. I social bisogna usarli non con l’ansia di diventare famoso, ma per comunicare ciò che si fa. E non è detto che bisogna usarli per forza. Meglio non esserci che esserci male. E non serve a nulla pagare per farsi vedere, è una scorciatoia».

La sostenibilità

Action ha fondato anche la prima società benefit consortile VALUE IN ACTION che propone format di Sport Social Responsability (trademark esclusivo) e progetti legati all’istruzione delle nuove generazioni. Per chiudere, chiediamo quindi a Manuela Ronchi quanto è importante oggi la sostenibilità in chiave comunicazione.

«La responsabilità sociale oggi non è solo un vestito della festa, devi crederci. – ci spiega – È cambiato il modo di fare impresa. Non vale più la regola di fare soldi con la mano destra e lavarsi la coscienza con la sinistra. Oggi si fa beneficenza a titolo personale. A livello aziendale, fare business è lecito e sano. Nel mentre però si migliora l’environment generando valore che viene condiviso. Essere socialmente responsabili non vuol dire aiutare i deboli, ma creare cultura affinché non ci siano più i deboli».