Giugno è il mese del Pride, occasione non solo per conoscere meglio la comunità LGBTQ+ ma anche per portare sotto i riflettori il tema dell’inclusione. Quella più autentica, che si muove indifferente ai pregiudizi e che non conosce violenza, né fisica né verbale. A tale proposito, la psicologa Irene Raffagnini – collaboratrice di TherapyChat – ha voluto condividere alcune riflessioni sull’argomento rivolgendosi soprattutto a chi non riesce a esprimere il proprio “pride”. Ma, al contrario, sceglie di isolarsi evitando il confronto con gli altri.
La limitazione volontaria delle relazioni sociali viene riscontrata in numerosi disturbi mentali, come l’ansia sociale o il disturbo evitante di personalità. Succede soprattutto a fronte a “una società eccessivamente richiedente, fenomeni comuni per chiunque faccia parte della comunità LGTBQ+ particolarmente esposta al cosiddetto minority stress, una condizione di stress che caratterizza gli individui di una minoranza discriminata”, spiega la psicologa. “Nonostante gli apparenti passi avanti della società per essere più aperta e pronta ad accogliere l’unicità di ogni individuo, ancora oggi persistono tantissime forme di discriminazione e violenza. Il confronto su questi temi delicati richiede uno sforzo mentale notevole delle persone coinvolte, il che può portarle a rifiutare un contatto con l’esterno per evitare sofferenze”.
Stress, omofobia interiorizzata e quotidianità faticosa
A determinare questo ‘ritiro’ dalle relazioni esterne concorrono diversi fattori, tra i quali la psicologa Irene Raffagnini individua alcune micce implosive. Prima fra tutte il carico allostatico, ovverol’insieme di tutti gli eventi stressanti della vita quotidiana di cui ognuno ha un proprio limite innato. Se questo carico eccede le risorse dell’individuo, si possono innescare condizioni disfunzionali che inducono all’allontanamento dagli altri, con lo scopo di evitare la sofferenza e riassestare il proprio equilibrio.
Inoltre, si parla di omofobia interiorizzata quando ”l’altro” è interno a sé stessi. “Tale percezione derivante dall’educazione in una società prevalentemente etero normativa, che viene riscontrata molto spesso nei servizi di psicologia e terapia online, e richiede un trattamento specifico di accrescimento di autostima e individualizzazione”. Tante, poi, sono “le situazioni quotidiane in cui la propria identità sessuale può causare imbarazzo e disagio e autoemarginazione.
- Al lavoro: molto spesso gli scambi e le interazioni con i colleghi implicano la condivisione di informazioni basilari su di sé. L’isolamento sarebbe in questo caso la risposta alla paura del giudizio e della discriminazione sul lavoro.
- Le amate-odiate feste in famiglia: si tratta di occasioni in cui le domande sulla propria vita relazionale sono molto comuni. L’isolamento rappresenterebbe la soluzione per non scegliere tra il rispondere con sincerità o mentire.
- Le uscite sociali in coppia: nei ristoranti, negli hotel, con gli amici, per le persone in relazioni LGBTQ+ può risultare faticoso sentirsi continuamente esposti allo sguardo altrui. In questi casi, il coming out è “obbligato” e alcuni preferiscono evitare di porsi in queste situazioni.
Come agire per migliorare il proprio benessere mentale liberandosi da giudizi e pregiudizi
La prima via per stare meglio con se stessi e con gli altri è quella dell’ascolto. “Piuttosto che sentirsi estraniati, incastrati nelle proiezioni altrui, è fondamentale riuscire a beneficiare della ‘protezione del silenzio’ per ascoltarsi, costruendo e difendendo ogni giorno la propria identità”, spiega Ilaria Raffagnini. Quindi, serve un dialogo con gli altri rispettando i propri tempi. “La psicoterapia rappresenta uno strumento utile per coloro che faticano ad aprirsi e ad avere contatti con il mondo esterno. Questa permette di migliorare il proprio benessere mentale in un contesto privo di giudizio. Le sedute di terapia online talvolta possono accompagnare i soggetti più chiusi a una graduale apertura”.
Terzo aspetto cruciale, il ‘pride’con cuiconsolidare la consapevolezza di far parte di una comunità inclusiva come quella LGBTQ+. Un passaggio decisivo per “combattere l’isolamento ed accrescere la fiducia in sé stessi. La visibilità del gruppo a cui si appartiene è, inoltre, strettamente legata alla validazione di sé, del proprio orientamento sessuale e dei propri diritti. Sapere che non si è soli, essere visti per come si è realmente, permette di sentirsi più sicuri nei propri sentimenti coltivando un orgoglio che perdura nel tempo”, afferma la psicologa.
“Al di là del lavoro del singolo, alla collettività è affidata la responsabilità della creazione di un clima di reale accettazione”, conclude Raffagnini. Un clima “privo di discriminazione poiché pone le basi per la fiducia dell’individuo. Molto spesso i pregiudizi sono radicati nell’inconscio: il riconoscimento dei propri preconcetti e la modulazione delle interazioni sociali in base ad essi sono il primo step verso una visione degli altri e del sé maggiormente inclusiva”.
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