Filippo Valsecchi, al suo debutto da regista e sceneggiatore, ci racconta il corto ‘Km9’ presentato al Torino Film Festival.

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Al Torino Film Festival 2022 c’è anche Filippo Valsecchi, al suo debutto dietro la macchina da presa e da sceneggiatore con il corto, in concorso, Km9. Un racconto breve ma intenso, girato nella Maremma laziale e con protagonisti due giovani alle prese con gli imprevisti della vita. «Devo ringraziare Davide Manca – ci dice Filippo – che si è occupato della fotografia e che ha fatto un lavoro pazzesco. Mi piace che ci sia tanta italianità in questo progetto. La Panda, la campagna… volevamo avere vibes in cui lo spettatore potesse ritrovarsi».

Km9 inizia proprio con la fotografia di due ragazzi – Cloe e Edoardo – di ritorno all’alba da una festa in campagna. Sono a bordo di una panda e, ad un semaforo, incrociano gli sguardi di due poliziotti a bordo di una volante. È la prima scena pensata a scritta da Valsecchi.

«Ho scritto la prima scena, quella del semaforo, perché stavo ascoltando il pezzo che apre il corto, Underwater Original Version 1979 di Harry Thumann. Ho capito a posteriori dove stessi andando a parare. Ripensavo a un fatto di cronaca, un incidente. Un mio coetaneo, nella mia città, a Corso Francia aveva investito due ragazze. Mi sono venuti quei pensieri banali sulla fatalità dell’attimo, un elemento che mi ha sempre messo molta ansia. Son partito da questo. L’inizio è leggero, ma poi c’è un cambio di dinamica. Il sorriso che diventa sempre più amaro fino a diventare un thriller».

Da un lato, in Km9 c’è il contrasto tra il divertito e il cringe (ma non faremo spoiler). Dall’altro, quasi inconsapevolmente, un ritratto lucido che rende le donne del corto le tristi vincitrici delle partite giocate col destino.

«Su questo – dice Filippo – non c’è stato nessun ragionamento a tavolino. È venuto spontaneo, poi ci pensi quando ti chiedono di scrivere le note di regia. Ho realizzato quindi a posteriori, o forse durante la realizzazione, che in questo corto alla fine vincono le donne. Ed è vero. Mia madre è cazzuta, ho una sorella mega-intraprendente. Sono cresciuto con esempi femminili di donne che mi hanno ispirato molto. Anche nella musica sono circondato da donne cazzute».

La musica di Km9

Underwater Original Version 1979 di Harry Thumann, come su citato, è il pezzo «da cui ho iniziato a scrivere tutto».

«Ero in aereo – racconta Filippo Valsecchi – e avevo questo pezzo in loop nelle cuffie. Da lì ho iniziato a scrivere con quella canzone nelle orecchie che mi ha dato il ritmo della scena. È rimasto il pezzo del corto perché ha battezzato questa creatività. E poi c’è una mia cover della Samba de Orfeu, che crea un contrasto. È un pezzo gioioso in una scena cruda e forte per destabilizzare lo spettatore».

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Tutto questo arriva al Torino Film Festival, non senza una giusta carica emotiva.

«È una grande emozione. – commenta Filippo – E un grande onore far parte di una manifestazione così importante. Quest’anno poi il programma è pazzesco, sono orgoglioso. Il mondo dei cortometraggi è ancora troppo filtrato. Manca un Netflix dei cortometraggi. Se ci pensi, quante volte uno torna a casa e vuole vedere qualcosa di breve per poi andare a letto? Credo che i corti debbano avere più finestre. C’è ancora tanto da fare per renderli accessibili al pubblico mainstream. Sono un neofita, ma in questi mesi mi sono reso conto che i corti esistono nel circuito dei festival, ma non c’è una fruizione. Ed è un peccato».

E la paura dell’imprevisto è stata esorcizzata? «Non so se ho avuto una catarsi risolutiva – ci risponde – non ci penso. Forse è l’unico modo per risolvere la situazione, perché l’imprevisto non puoi controllarlo. Ora che ci rifletto, non so se ho superato la paura, ma mi sono divertito ad affrontarla con questo progetto. C’è sempre un prezzo da pagare, ed è quello che mi preoccupa».

Foto: Fabrizio Cestari