L’attore Lee Byung-Hun è stato tra gli ospiti più attesi della 22esima edizione del Korea Film Festival a Firenze. Protagonista del film di apertura della kermesse Concrete Utopia, regia Um The-hwa, e di una masterclass molto attesa l’attore star di Squid Game (e impegnato nelle riprese della seconda stagione) ha ripercorso le tappe della sua carriera e raccontato cosa rappresenti per lui la recitazione.
Gli esordi di Lee Byung-hun e l’esperienza ad Hollywood
Oltre 20 i titoli che lo hanno visto protagonista, a partire da Gongdonggyeongbigu-yeok JSA di Park Chan-wook che nel 2000 lo fece notare nel firmamento cinematografico. La consacrazione a nuovo divo del cinema asiatico arriva nel 2005 con A Bittersweet Life del regista Kim Jee-woon. È del 2009 il primo film hollywoodiano. Si tratta di G.I. Joe: The Rise if Cobra (di Stephen Sommers).
Seguiranno poi G.I. Joe 2: Retaliation, Red 2 fino ad arrivare al western diretto da Antoine Fuqua The Magnificent Seven. Un sogno che si avvera per Lee Buyng-hun, la cui passione per il cinema gli è stata trasmessa dal padre con cui spesso andava a vedere proprio i western americani.
«Ho vissuto come attore per più di metà della mia vita e non mi ero accorto di come fosse ambivalente questo lavoro. – racconta rispondendo alla nostra domanda, su cosa rappresenti per lui la recitazione e l’essere un attore – Nel corso del tempo, sono stato influenzato dai personaggi che ho interpretato per un lungo periodo e ci sono momenti in cui mi chiedo chi sono veramente. Ma anche momenti in cui attraverso i personaggi che interpreto scopro chi sono, o imparo qualcosa di nuovo attraverso di loro».
Tornare a respirare grazie alla recitazione
La recitazione è stata anche una sorta di ancora di salvezza per l’attore. In un periodo di grande difficoltà personale, ritrovarsi sul set di fronte alla telecamera lo ha aiutato a tornare a respirare.
«Una volta stavo attraversando un momento difficile come può capitare a tutti – racconta Lee Byung-hun – soffrivo così tanto da non riuscire a respirare. Non riuscivo nemmeno a dormire. Ho attraversato un periodo infernale. Un giorno avevo un servizio e dovevo andare sul set. Mi trovavo nella peggior situazione, non avevo interessare per il set, non riuscivo a respirare. Ma sono stato così fortunato da non cadere. Era la prima volta in 10 giorni che mi trovavo davanti alla telecamere, e ne ho sentito il respiro. Ne ho sentito il movimento e senza rendermene conto per la prima volta dopo tanto tempo, ho provato un senso di libertà, ho respirato. Se hai un problema con te stesso puoi rivolgerti ad un ospedale, ma quando ho letto il personaggio e sono diventato quella persona per un momento è come se tutto fosse scomparso. Un’esperienza davvero unica».
Un amore quello che Lee Byung-hun ha per il suo lavoro, che lo ha portato nel 2012 ad essere uno dei primi attori coreani ad avere le proprie impronte sulla Hollywood Walk of Fame.
«Rispetto a produzioni americane – ha spiegato Lee Byung-hun – ritengo che il cinema coreano sia più flessibile, coraggioso e sperimentale. Non ha paura dei cambiamenti. – E sul rapporto con la Corea del Nord non credo che la divisione delle due Coree si ripercuota nel mondo del cinema coreano. Mi verrebbe da dire che nel nostro cinema questo tema è diventato quasi una categoria: ci sono tantissime produzioni che parlano della nostra divisione, ma che vanno oltre, dal romance alle storie d’amicizia. Abbiamo un’opportunità, quella di poter raccontare le due coree con produzioni cinematografiche di vario tipo».
Foto: Korea Film Festival