Lasciate ogni pregiudizio, voi ch’intrate. La scottante etichetta di teen movie suona, infatti, vera solo in parte per Un oggi alla volta che di generazionale ha, certo, i personaggi e la trama. Ma solo quella di superficie. Per il resto, il film che segna il debutto alla regia di Nicola Conversa riesce a moltiplicare messaggi ed emozioni sfuggendo a certa banalità che il tag sembra necessariamente portare con sé.
A fare la differenza sono, in ordine sparso: la stratificazione delle tematiche, lo sguardo ampiamente ironico con cui si racconta la storia anche nelle pieghe meno facili e la caratterizzazione dei personaggi. Soprattutto dal minuto 50 in poi. È li che cambia (quasi) tutto. Prima pellicola da protagonista per Tommaso Cassissa alias Tommycassi, Un oggi alla volta arriva nelle sale giovedì 25 luglio ed è per tutta la famiglia. Mica solo per adolescenti.
Che esperienza è stata Un oggi alla volta?
Tommaso Cassissa È stata un’esperienza che mi ha insegnato un sacco di cose su me stesso. Anche perché era la prima volta che recitavo per così tanto tempo e in un ruolo così presente. Quindi è stata proprio una prova sia mentale sia fisica come concentrazione, nuova sotto tantissimi punti di vista. Lo dico e lo ripeto sempre: la fortuna più grande è stata trovare persone super professioniste e allo stesso tempo alla mano. Nel cast eravamo molto giovani ed entusiasti e tutti mi hanno fatto innamorare al 100% di questo mondo che per me, comunque, è ancora nuovo. Mi hanno fatto vivere tutte le ansie e le responsabilità come una forma di adrenalina per rendere ancora meglio. Credo sia qualcosa che non capiti sempre e, se anche questa fosse la mia prima e ultima volta da protagonista (sorride, ndr), è stata bellissima.
Nicola Conversa I colleghi avevano detto che il primo film da regista sarebbe stato un incubo ma non l’ho vissuto così. Abbiamo ancora una chat su Whatsapp che si chiama Gruppo gita Trentino perché, obiettivamente, ci è sembrato di stare alla gita di quinta superiore. Eravamo tutti molto giovani, anche nella troupe, ed è stato divertente. Come dicono in Brasile ho già la saudade e anche se nel frattempo ho fatto altri film non ho più trovato quell’armonia. La storia di Un oggi alla volta era quella che volevo raccontare ed è come la volevo raccontare. Questo è stato possibile grazie alla fiducia che mi è stata data, come sceneggiatore e come regista esordiente. Non è stato facile, soprattutto con un protagonista super esordiente, ma abbiamo tentato di mettere attorno attori giovani ma con esperienza.
E non c’è stato giorno in cui io abbia provato fatica. La paura sì, quella c’è stata all’inizio ma poi è stato tutto quasi naturale. La troupe ha aiutato sia me sia Tommaso là dove potevano esserci delle mancanze. Altre volte, invece, il nostro entusiasmo anche immotivato ha trascinato tutti quanti perché noi fondamentalmente non sapevamo cosa stavamo facendo ma lo stavamo facendo. Secondo me questo clima è rimasto un po’ appiccicato alla pellicola e si vede che siamo diventati veramente amici. Questa è la cosa bella.
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Un oggi alla volta ‘indossa’ un’etichetta delicatissima da trattare, quella di teen drama che rischia spesso di scadere nel generazionale fine a se stesso. Come avete lavorato anche per scongiurare questo pericolo?
Nicola Quando mi hanno commissionato il film effettivamente avevano chiesto un team movie ma mentre lo stavamo scrivendo ci siamo accorti che non lo era. Personaggi come quello di Katia Follesa e di Francesco Centorame hanno una loro tridimensionalità talmente ampia che mi veniva voglia di raccontarli anche più di quanto dovesse fare la storia di Marco. Questo film è un po’ un’altalena, perché nel momento in cui fa tanto ridere ti riporta giù e fa piangere, poi ti riporta su. Come succede nella vita normale. Sono dell’idea che non puoi avere sempre una bellissima giornata perché ci sarà sempre qualcosa che ti farà arrabbiare. E, viceversa, non potrà essere sempre brutta perché ci sarà sempre qualcosa che ti farà sorridere.
Quindi sì, lo definiscono teen movie ma è molto multistrato. I primi cinquanta minuti sono un film sulla maturità alla Notte prima degli esami però poi, anche per la bravura di Tommaso e degli altri interpreti, cambia quasi del tutto. E ci sono scene in cui Tommaso ha pescato dentro un dolore che non sapevo avesse. Così come Katia nella scena alla porta: doveva essere molto più leggera e piena di battute ma il montaggio ci ha fatto capire che da lì in poi il film poteva cambiare.
Tommaso Effettivamente il film inizialmente parla di una storia di ragazzi ma la trama principale si stratifica con tanti altri spunti su cui ragionare. In questo modo, si vanno a toccare un po’ tutti i target. Banalmente, alla prima che abbiamo fatto alla Festa del Cinema di Roma, avevo portato varie persone di vari età a cui tengo. C’erano dei miei amici di Genova, mia mamma, mio fratello e mia nonna. Una persona per target si è commossa in un punto diverso del film e ha riso per cose diverse. È stato bello perché ha aggregato un po’ tutti e il film significa che funziona.
Veniamo allora al tuo Marco. Chi è?
Tommaso Direi intanto che con Marco ho qualche punto in comune anche se sicuramente lui è molto più puro di me, va molto più di istinto. È impulsivo, completamente a-social e in un mondo che va sempre di più in quella direzione, lui a diciannove anni cerca l’amore vero. Sembra quasi una cosa da boomer perché attorno il mondo va dall’altra parte. Dicevo che io e Marco abbiamo molte cose in comune perché entrambi siamo goffi e impacciati. Lui, poi, inizialmente è molto timido, divertente, buffo e io stesso, se non avessi incontrato, l’ironia e l’autoironia lungo la mia vita sarei rimasto un po’ Marco.
Crescendo, ovviamente, devi trovare delle armi per sopravvivere al mondo e per me l’ironia è la maschera per affrontare ogni cosa. Marco, invece, è più buffo che divertente perché mantiene quella sua purezza e impulsività che gli creano anche dei problemi. È un personaggio che si fa molto amare proprio per questo però, allo stesso tempo, vivere in modo così puro in una società del genere è molto tosto. Difficile.
Il rapporto con la tecnologia e il tempo che fugge
La storia di Marco si intreccia con quella di Aria (Ginevra Francesconi) mettendo subito l’accento su uno dei temi chiave del film. Ovvero il rapporto tra mondo online e realtà offline, che può far entrare in crisi sicuramente i giovani ma anche gli adulti.
Nicola A questo proposito parto dicendo che Un oggi alla volta è veramente tratto da una storia vera. Un mio amico ha davvero sbagliato a chattare con una ragazza con la quale ha finito per sposarsi. Anzi, li ho sposati io. Ho vissuto l’avvento dei social da Facebook in poi e sono ancora figlio dell’andare a citofonare alle persone per dire loro scendere e andare a giocare a pallone. Ammetto di avere un po’ quella nostalgia alla Stranger Things per cui mi piacevano molto di più i rapporti nati prima dei social. Li trovo più puri e sorprendenti.
Adesso mi sembra veramente che tutto sia come una slot machine, a dirla come Marco, per cui scorri sperando che il contenuto successivo sia meglio del precedente. Oggi non possiamo farne a meno, e mi ci sono adattato, ma non li ho mai amati. E, nel personaggio di Marco, Tommaso è un po’ una mia versione perché anche io a diciannove anni volevo innamorarmi. Mi piaceva molto di più il vis a vis mentre adesso ci sono persone che fanno tutto su Instagram e poi dal vivo non sanno cosa dirsi. È terrificante.
Tommaso Diciamo che io ho trovato la mia fortuna sui social e li ho sempre usati come valvola di sfogo quando ero più piccolo. Penso che la tecnologia in generale adesso venga usata da qualsiasi tipo di generazione un po’ per scappare dalla realtà. La usa una madre per cercare il compagno e chattare con gente sconosciuta per sentirsi un po’ più giovane. Lo fa il l’amico che non ha voglia di impegnarsi faccia a faccia con le relazioni e usa le app di dating. Io ho sempre usato i social perché non mi sentivo abbastanza capito o amato nella realtà, quindi l’esigenza di raccontarmi nasceva in sostanza da un disagio.
Un’altra cosa è, invece, l’uso forzato della tecnologia che sia io sia Nicola – per fortuna, furbizia o talento – siamo riusciti a evitare, utilizzandola senza farci sfruttare. È una cosa che succede a molta gente e a volte ne sono vittima io stesso quando mi ritrovo a scrollare cose di cui non mi frega niente pur di scappare dai compiti che devo fare realmente. Lavorandoci, però, i social ci hanno permesso di fare tante cose ma in generale mi rendo rendo conto che, per come vengono usati dalla società, fanno molto più male che bene. Hanno un potenziale enorme però è veramente difficile da gestire; ci vorrebbe una materia a scuola, educazione ai social.
Personalmente ho avuto fortuna perché avevo qualcosa da dire e avevo tanta gente che mi seguiva. Quindi, mi alienavo dalla realtà ma nel frattempo creavo opportunità e, a un certo punto, sono riuscito a staccarmi anche aiutato dalla mia famiglia. Ho capito che cosa avevo creato e come potevo utilizzarlo. Adesso ho trovato il mio equilibrio però non nego che in passato mi alienavo dalla realtà perché utilizzavo i social contro l’ansia sociale o l’ansia per la scuola. Per fortuna a me è andata bene, ma alcune persone buttano via anni della loro vita e si estraniando completamente.
Collegato a questo aspetto, nel film emerge il tema del rapporto con il tempo, per cui si ha la percezione di essere sempre in ritardo. Un argomento che si scontra con la malattia della protagonista Aria. Come è stato, emotivamente, affrontare quell’aspetto della storia?
Nicola È stato complicato. Nel senso che, in sceneggiatura, volevamo che tutto il film girasse attorno al tempo perché è uno dei temi che mi piace di più affrontare. Come hai detto tu, vediamo un po’ una generazione in cui tutti si sentono in ritardo. Il Covid non ha aiutato ed è un tema di cui al cinema non se n’è mai parlato abbastanza perché non si vuole più ricordare quel periodo. Volevamo che ci fosse un time block nella vita di Marco e l’unico che ci veniva in mente era la malattia: il personaggio di Aria, al contrario di Marco, avrebbe più motivi di aver paura del tempo eppure non ne ha.
Lei veramente vive un oggi alla volta ed è contenta così. Quello che è stato complicato è stato il tipo di malattia da inserire: abbiamo scelto la sindrome di Steinert, rarissima, per cui puoi addormentarti e non sapere se ti sveglierai il giorno dopo. In tutto il film Marco non fa che altro chiedere ad Aria ‘ci vediamo domani?’ ma lei un domani forse non ce l’avrà. La malattia non è stata facile da trattare, quindi, ma volevo parlare di come due diciannovenni riflettessero sul tempo e di quanto fosse un importante insegnamento di vita.
Generazioni a confronto
Il cast coinvolge molti attori giovani, con alle spalle più o meno esperienza sul set, ma anche professionisti maturi a rappresentare la generazione genitoriale. Questo permette un confronto generazionale a più livelli e tutti rivelano una serie di fallimenti personali. Che tipo di relazione si instaura tra i personaggi sotto questo punto di vista?
Tommaso Il rapporto tra le generazioni, secondo me, è molto riuscito perché non è banale. Ricalca il cliché reale della mamma che rompe le scatole al figlio perché deve studiare ma non si ferma lì, va oltre. Dimostra come sia importante parlarsi faccia a faccia, ed è il caso del discorso di Marco con la madre ma anche del confronto di Marco con suo fratello maggiore (Francesco Centorame, ndr). Sono momenti che raramente vedi sviluppare all’interno di un film perché si rimane in superficialità. Qua, invece, c’è una dinamica più vera che va in profondità e questo è stato bello anche da recitare e da rendere perché ci sono scene abbastanza intime che richiedono una reale connessione. È stato davvero molto utile anche umanamente.
Ma la vostra maturità è stata così terribile come quella di Marco?
Tommaso No, non è stata così terribile però è stata tosta. Io andavo bene a scuola ma il livello di ansia e di tensione che avevo pre-maturità non me lo scordo facilmente. Sono sempre stato ansioso a scuola e lo sono stato tantissimo in fase pre-maturità. Poi è andata bene però l’ho vissuta molto male. Devo essere sincero, io tutto quel romanticismo da Notte prima degli esami che si ricorda per tutta la vita o si rimpiange non l’ho conosciuto! Mi manca tantissimo il liceo, per dire, i miei compagni, le mattinate con la sveglia alle 6 per prendere il treno. Mi manca anche l’ansia del pre-verifica ma la maturità in sé zero.
Nicola Perché sei troppo giovane! Diciamo che io ho un ricordo che diventa bello nel tempo, cioè resta come trauma ma dopo anni manca la leggerezza del liceo. Beh, ti dico anche che la battuta di Marco all’esame di maturità è quello che io stesso dissi io al professore. A Taranto la raccontano ancora! Avevo un rapporto orribile con matematica e fisica e fa ridere che tutto il film giri su quello. La maturità credo sia stato il momento di maggiore ansia della mia vita, fu un dramma vero perché come classe non avevamo le competenze per farla. Forse questo film è anche un modo per esorcizzarla.
Questa pellicola può parlare a una platea molto ampia ma c’è un pubblico in particolare a cui vorreste arrivare e quale messaggio vi augurate venga colto?
Nicola Per orgoglio direi che vorrei non ci fosse un pubblico settoriale, nel senso che questo film è veramente per tutti, poi capiremo come andrà. Il messaggio lo dà il titolo: io per primo lo ripeto a me stesso perché mi è servito. Bisogna vivere un oggi alla volta piuttosto che proiettati al giorno dopo o pensando al prima. Ho imparato a vivermi le cose molto più tranquillamente, certo sono in ansia per il film però obiettivamente non posso più controllare nulla. Quindi vada come deve andare, noi ci siamo impegnati. Vogliamo veramente esortare le persone a viversi un oggi alla volta, una frase che mi tatuerei se mi piacessero i tatuaggi e che due persone della troupe si sono tatuate dopo il film.
Tommaso Il messaggio è chiaro e semplice ma non è mai scontato. Tante volte sentiamo nella nostra vita frasi di canzoni o di libri che vogliono insegnarci a essere focalizzati sul momento presente senza pensare troppo al futuro. Ecco, secondo me, questo film ti fa veramente capire l’importanza di vivere il momento. Un oggi alla volta non è solo una frase fatta e ti fa entrare nelle ossa quanto ne valga la pena. Quindi, secondo me, dal bambino all’adulto questo film può fare bene a tutti se visto e ascoltato in maniera positiva e lucida. Può arrivare a chiunque, basta che sia pronto ad ascoltare il messaggio
Nicola Aggiungo che questo film ha due anime per cui se superi brillantemente la prima parte vieni catapultato in un altro film che secondo me merita. Perché ci sono alcuni messaggi che varrebbe la pena che le persone ascoltassero, specialmente per una generazione che crede di essere in ritardo. Centorame lo dice bene non è una gara, perché io mi devo sentire in ritardo? Quindi se questo film aiutasse anche soltanto una persona, avrebbe avuto senso farlo.
Avete altri progetti in cantiere?
Nicola Non possiamo dire niente ma questo film ha portato sia me che Tommaso a incontrarci su una cosa che probabilmente succederà. Quindi potremmo dover tornare a lavorare insieme. In generale, ecco, stanno succedendo cose molto belle che non credevo possibili. Poi, in questo momento, sto lavorando a un documentario e a una serie tv. Un sequel? Io non li amo però secondo me alcuni personaggi andrebbero esplorati di più e Marco ha ancora qualcosa da dire. L’ho raccontato ma non è stato detto tutto. Ora vediamo come va questo, però mi piacerebbe tanto poter ritornare in quell’universo perché c’è ancora qualcosa da raccontare.
Tommaso Anche a me questo film ha cambiato tutto, ha cambiato proprio la mia visione su quello che voglio fare ed essere in futuro. Si sono sbloccate tante nuove possibilità di vivere esperienze incredibili, a partire dall’incontro con Nicola. Quest’esperienza mi ha aperto la testa e ha fatto sì che si muovessero molte cose in modo genuino. Questo grazie alla stima e alla volontà di raccontare storie vere per un autentico bisogno di espressione.
Immagini da Ufficio Stampa