Emmanuel Carrère è tornato in libreria con un nuovo saggio, dal titolo V13 (ed. Adelphi), volume che raccoglie e approfondisce gli articoli dell’autore in merito al processo per la strage al Bataclan. Tre parti (Le vittime, Gli imputati e La corte) che snocciolano un racconto doloroso direttamente dalle aule in cui si tennero le udienze. Un solo sopravvissuto tra gli attentatori che il 13 novembre 2015 macchiarono di sangue Parigi e il mondo intero. Centotrenta le vittime tra Bataclan, Stade de France e i bistrot colpiti.
“La sera del 13 novembre 2015 cenavo con degli amici e mi sono in primo luogo preoccupato per i miei figli”, racconta Carrère ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa su Rai3. “Mi sono reso conto che durante il processo tutti si identificavano in un modo o nell’altro con qualcuna delle vittime. Mentre io mi identificavo con i genitori a cui erano stati uccisi i figli. Le mie probabilità di essere al Bataclan quella sera erano nulle, ma per i miei figli c’erano e questo processo ha prodotto l’identificazione da parte della gente della compassione, di questo terrore e questa pietà che compongono la tragedia”.
“C’era una parte civile che ha fatto una deposizione per parlare della sofferenza – prosegue Carrère – non ci sbarazza di una sofferenza ma la si depone e alla fine del processo si è depositata la sofferenza e si è resa giustizia”.
“Le persone che si occupano dei processi criminali, della cronaca, normalmente si interessano più dei criminali che delle vittime”, spiega ancora l’autore. “Nel caso di questo processo l’interesse è stato più verso le vittime che verso gli imputati, perché c’era una ricchezza, una grandezza umana, morale, un’intensità eccezionale nelle vittime. Si vedevano persone ordinarie che sono passate attraverso prove difficilissime con esperienza di vita e di morte incredibili. Non sono una persona che è abituata a piangere, ma durante questo processo ho pianto più volte.
Gli imputati e la propaganda
“Poi abbiamo avuto a che fare con gli imputati, queste 14 persone”, prosegue Emmanuel Carrère in merito ai terroristi alla sbarra. “Dovevamo interessarci a loro ma non erano assolutamente interessanti, perché non sono le persone che hanno preso i Kalashnikov, perché quelli che li hanno imbracciati sono saltati in aria, ma erano quelli che avrebbero potuto o dovuto imbracciarli. Erano dei cretini, degli imbecilli, immischiati con questi discorsi stereotipati. Si capiva che a monte c’era un percorso, una storia, di istituzione dell’Islam, che è appassionante, ma il modo in cui è stato trasformato è un modo povero”.
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Infine, l’autore allarga lo sguardo sul male diffuso tramite la propaganda: “Nel caso effettivamente dello jihadismo, della forma estrema che ha preso con lo stato islamico, c’è una forma di male che si esprime nella propaganda, la propaganda dello stato islamico ha qualcosa di unico. […] La propaganda dell’Isis ha mostrato delle scene di tortura, di crudeltà straordinaria, di decapitazione, c’è un piacere verso la sofferenza che è stupefacente, che non è mai stato utilizzato come propaganda e che ora si trova anche in Ucraina”.
Emmanuel Carrère, V13, Milano, Adelphi 2023 (‘La collana dei casi’, 147), pp. 267
Foto Kikapress / Ufficio Stampa Che Tempo Che Fa / Ufficio Stampa Adelphi — Video www.raiplay.it