‘Rabbia’, il saggio di Roberta Milanese sull’emozione più contagiosa che non conosciamo abbastanza

Se nell’universo emotivo dell’essere umano esiste un’emozione che il pensiero comune etichetta con una connotazione sempre e solo negativa, quella è la rabbia. Ed è proprio a questa che la psicologa psicoterapeuta Roberta Milanese ha dedicato il suo ultimo saggio per Ponte alle Grazie. Disponibile nei formati cartaceo e digitale, Rabbia vuole portare per mano il lettore attraverso uno spazio che spesso fa paura o ci si rifiuta di attraversare. Perché la tanto bistrattata ira funesta – di cui la cronaca ci riporta sempre più spesso esiti drammatici – è un’emozione che può diventare risorsa.

Cover da Ufficio Stampa Ponte alle Grazie

Non a caso, il sottotitolo del saggio (con prefazione di Giorgio Nardone) recita Un’emozione da addomesticare (e cavalcare). Il primo passo per riuscire a gestire la collera per poi trasformarla da nemico in alleato nella propria vita non può essere che conoscerla. E, in questo senso, il volume di Milanese è un ottimo manuale d’approccio, che si fa leggere con scorrevolezza anche senza competenze specifiche in materia. Ce lo siamo fatti raccontare meglio dall’autrice per capire le motivazioni di questo libro e allargare anche lo sguardo alla società che ospita (spesso alimenta) quella stessa rabbia.

Le ragioni di un saggio: rabbia esplosiva e rabbia fredda

Perché un volume dedicato alla rabbia? È questa la domanda che inaugura la conversazione con la professionista. “Questo libro è nato dal lavoro con le persone”, esordisce Roberta Milanese. “L’idea di trattare la rabbia è nata in gran parte perché è un tema che molti pazienti portano e che tutti noi possiamo sperimentare. Si tratta di un’emozione molto intensa, la più energetica che esista ed è anche una delle emozioni più bistrattate, anche culturalmente. Se della paura e dell’ansia si parla tanto, e la persona addolorata ci intenerisce perché forse ha anche un po’ ragione, la persona arrabbiata è sempre considerata sgradevole. E viene anche molto spesso giudicata, non solo dagli altri ma anche da se stessa”.

“Quindi – prosegue l’autrice – la mia idea è stata quella di portare un messaggio con cui ridare una sua dignità a un’emozione primaria fondamentale. Perché ogni emozione che abbiamo è orientata a obiettivi importanti. Quindi, volevo sottolineare il fatto che la rabbia è un’emozione che ci aiuta a strutturare i nostri obiettivi e ci dà le energie per superare gli ostacoli. Quindi, se utilizzata bene, è molto utile. In secondo luogo, volevo anche dare qualche indicazione su come gestirla nella versione più disfunzionale”.

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Certo, occorre fare una distinzione e, infatti, “c’è una cosa che tengo a sottolineare”, specifica Milanese. “Generalmente, pensando alla rabbia, pensiamo all’aggressione esplosiva ma, soprattutto in ambito di terapeutico, la rabbia più difficile da gestire non è quella calda che si risolve con le urla. È la rabbia fredda, che diventa risentimento e rancore. È la rabbia che coviamo, quella per cui non perdoniamo i nostri genitori per quello che hanno fatto o per non averci amato abbastanza. Quella di sottofondo che coviamo magari per il nostro partner e che non si manifesta magari con litigi, ma diventa indifferenza e critica. Quindi il tema della rabbia come emozione da imparare a gestire è molto più ampio rispetto all’immaginario comune”.

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“Una parte importante del libro è proprio dedicata a come far pace col nostro passato e con quel tipo di rabbia che è continuamente covata nel rimuginio secondo meccanismi che neanche sono percepiti come rabbia in senso proprio. In realtà – spiega ancora – è una rabbia che divora da dentro. E allora, quella rabbia, se incanalata e gestita può essere anche usata come risorsa terapeutica, per sollecitare e sbloccare altre cose. Molte volte evitiamo di ascoltare quest’emozione, perché è sgradevole, ma se accettiamo di rimanerci un po’ dentro possiamo anche intuire i motivi del nostro essere arrabbiati. E il terapeuta diventa come un interprete che aiuta a tradurre una lingua a molti sconosciuta”.

Aggressori e aggrediti: riconoscere i pulsanti della rabbia per disattivarli

Con uno stile narrativo semplice nella descrizione ma non semplicistico nell’intervento, Roberta Milanese snocciola alcuni casi esemplificativi che diventano spunti di riflessione in cui ci si può anche riconoscere. “In generale, a maggior ragione con la persona esplosiva, è importante capire quali sono i propri pulsantini della rabbia, quali sono i trigger. Perché la rabbia può avere vari elementi scatenanti, che funzionano proprio come dei pulsanti. Ognuno di noi ne ha qualcuno: può essere l’ingiustizia, il vedersi non considerati, il sentirsi ignorati… Il punto è che se io non capisco che cos’è che mi fa saltare, allo stimolo corrisponderà sempre quella risposta”.

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Per disinnescare quel pulsante, bisogna lavorare in varie direzioni depotenziando il trigger arrivando a capire, per esempio, che potrebbe esserci un altro modo di vedere la stessa cosa”, osserva la psicologa. “È un lavoro difficile da fare da soli perché la rabbia si genera sempre da una nostra percezione ma occorre ricordarsi sempre che tendiamo a dare attribuzioni a ciò che gli altri fanno sulla base della ‘trappola delle aspettative’. Ognuno, infatti, si aspetta che l’altro pensi e agisca come faremmo noi nel loro caso. Ma sappiamo tutti che non è così, perché siamo tutti diversi”.

Ma come fare, invece, quando ci si trova ad essere nei panni dell’aggredito e non dell’aggressore? “La rabbia è l’emozione più contagiosa che esiste”, puntualizza Milanese. “Se qualcuno ci aggredisce o è arrabbiato con noi, prima reazione è rispondere subito con altra rabbia. Perché la rabbia genera altra rabbia. Come evitare l’escalation? Quando una persona è ormai esplosa, in quel momento non c’è modo di placarla, è come un fiume in piena e deve sfogarsi. La cosa più efficace e più sana da fare, se qualcuno è arrabbiato e aggredisce verbalmente, è stare in silenzio e, quando la persona è arrivata in fondo, allora lì può avere di nuovo orecchie per sentire. Durante lo sfogo, invece, la persona travolta dall’emozione non ascolta, è offuscata e non è in grado di ascoltare ragioni”

“Al netto della nostra emozione, dopo che la persona ha fatto la sua sfuriata, la prima cosa da fare sarebbe parafrasare rispecchiando quello che l’altro ha vissuto. Si attiva, così, una comunicazione in cui io ti rimando quello che ho capito della tua rabbia. Il fatto che l’altro si senta compreso stempera la situazione e permette di spostare il piano. Quindi, il modo migliore è accogliere la rabbia altrui, parafrasarla e poi aggiungere il proprio punto di vista. Se l’altro se sente accolto nella sua rabbia non si genera altra rabbia e la persona si sgonfia e spesso si scusa. Anche perché poi, il più delle volte, molti si vergognano di loro stessi per quella sfuriata e il fatto di rispondere in silenzio è già il 90% della gestione”.

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Dall’individuale al sociale: la rabbia come sentimento comune

Impossibile, poi, non allargare lo sguardo a una società che sempre più di frequente testimonia forme di rabbia violenta e assassina. A questo proposito, Milanese affronta un caso clinico interessante “che ha in sé anche un piccolo aspetto provocatorio”, osserva. “Ovviamente vado oltre il caso drammatico dell’omicidio che è appena capitato (quello di Giulia Tramontano, ndr) e di violenze o aggressioni fisiche che sono tutto un altro discorso. Spesso capita che arrivi in terapia una donna, più raramente un uomo, che vive una relazione che non sta funzionando. E la tendenza automatica è dire ‘non funziona perché lui è un narcisista’. Premesso che io non posso sapere se l’altra persona abbia o meno quel disturbo, quello su cui mi concentro è il mondo in cui la donna sta cercando di gestire la relazione”.

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“In quel caso, era un uomo che continuava a criticare e squalificare la compagna mentre la donna cercava di assecondarlo”, prosegue la psicoterapeuta. “La donna deve riappropriarsi della propria responsabilità e anche del potere di cambiare il suo atteggiamento rispetto a un uomo. Nel momento in cui il copione non solo non funziona ma alimenta l’atteggiamento adolescenziale, dell’altro, prendere una posizione di rifiuto freddo ha permesso alla donna di cambiare la relazione. Chiaro bisogna distinguere se stiamo parlando di una relazione disfunzionale e basta o se abbiamo una relazione in cui ci sono degli agiti pericolosi. Riappropriarsi del potere personale che abbiamo – anche con la decisione di andarsene o di denunciare – cambia la situazione. Troppo spesso, invece, assisto a questa deriva diagnostica per cui si decide che l’altro sia un narcisista e sia aspetta aspetto che qualcuno lo curi”.

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Infine, entriamo nel mondo degli adolescenti. “I giovani che vedo, anche in contesti non necessariamente clinici, hanno una grandissima difficoltà a leggere le proprie emozionie a riconoscerle anche gli adulti. Molti mi parlano di ansia ma spesso non si tratta solo di agitazione ma di vera e propria rabbia. Dobbiamo aiutare i ragazzi a riconoscere quello che sentono, a dare un nome alle emozioni e a riconoscere quei pulsantini di cui si parlava. Troppi agiti, invece, passano attraverso il ‘non riconosco, non so, non so. Nessuno può gestire qualcosa che non conosce: prima occorre saperla nominare per poterla comprendere e, poi, gestire”.  Una lezione, questa, che vale a ogni età.

L’autrice

Roberta Milanese, psicologa e psicoterapeuta, è ricercatore associato presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, diretto da Giorgio Nardone, e docente della Scuola di specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica. È responsabile organizzativo del Master in Comunicazione Strategica, Problem Solving, Coaching, e Scienza della Performance di Milano, dove vive e lavora. Ha pubblicato con Ponte alle Grazie: La mente ferita; Il tocco, il rimedio, la parola; Coaching strategico; Cambiare il passato; Psicopillole; Il cambiamento strategico; L’ingannevole paura di non essere all’altezza. Da anni insegna in master clinici e organizzativi in Italia e all’estero.

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