Arriverà il 26 aprile su Disney+ il documentario Thank You, Goodnight: The Bon Jovi Story. La docuserie in quattro episodi racconta l’epico passato e il futuro incerto di una delle band più riconoscibili al mondo e del suo front-man Jon Bon Jovi. Un’odissea di 40 anni di storia del rock, che attraversa incredibili trasformazioni sociali e discografiche, dall’esordio negli anni ’80 all’ultimo tour del 2022 in attesa dell’album Forever, in uscita il 7 giugno. Gotham Chopra – regista del doc – ha scovato numerosi filmati di repertorio che ha poi messo insieme, unendoli ai racconti di Jon Bon Jovi e della sua band.
«È interessante e strano vedere te stesso crescere sullo schermo, da quando sei giovane. – ci dice il batterista Tico Torres – Poche persone, e di sicuro non io, avrebbero pensato di potermi vedere per 40 anni insieme agli stessi ragazzi che amo e con cui lavoro. Quindi mi sento benedetto e piacevolmente sorpreso. Sono contento che siamo riusciti a fare qualcosa da poter condividere con i fan. Riguarda tutti noi». «Per me è stato fantastico vedere il lavoro di Gotham Chopra. – aggiunge David Bryan – Ha trovato tutti quei filmati e li ha messi in ordine. È semplicemente sbalorditiva la quantità di filmati che ha trovato. Quando li vedi pensi Wow, abbiamo veramente fatto tantissime cose in 40 anni. È stato un bel viaggio!».
Bon Jovi, l’importanza della legacy
C’è una parola ricorrente all’interno del documentario ed è legacy, eredità. I Bon Jovi hanno del resto cavalcato gli ultimi 40 anni sfornando musica non sempre ben accolta. E sempre in bilico tra rock e mainstream: popolarissimi da un lato, un po’ snobbati dall’altro. Eppure, a modo loro, hanno fatto la storia della musica. «La vera eredità risiede nel fatto che ancora creiamo. – dice Torres – Siamo più grandi e più maturi, ma ci mettiamo in sella e ancora facciamo la musica che amiamo. Poi la condividiamo con gli amici, perché senza un pubblico la fai solo per casa tua. Siamo fortunati a poterlo fare ancora, questa è eredità».
È pur vero che questa costanza non è stata priva di ostacoli. Il documentario lo dimostra ampiamente, mostrando anche in che modo i Bon Jovi abbiano superato la trasformazione discografica imposta dall’esplosione del web. «Vai avanti e basta in quei casi. – dice Bryan – Non puoi sapere cosa accade nel futuro. Abbiamo registrato il primo album nel 1983. Il primo computer, un Apple, è uscito nel 1984. La tecnologia era una novità. L’abbiamo scoperta e abbracciata, con tutto ciò che ne è venuto. La strada è stata lunga e tortuosa, per citare Paul McCartney. Sono successe tante cose. Non esisteva internet e non esistevano neanche i cellulari. Non c’erano i social media. L’unica cosa sociale erano gli incontri di persona. Abbiamo incassato i colpi, come si suol dire. Siamo rimasti fedeli a noi stessi. Abbiamo fatto grandi album, grandi live e spaccato sempre i cu*i a tutti ovunque nel mondo».
I live e il nuovo album
Di sicuro, a emergere nel documentario è quanto i concerti siano stati importanti nella formazione del suono della band e anche nella sua conquista di un vastissimo pubblico. «Abbiamo fatto così tanti live! E non c’è nulla che possa sostituire un concerto. – commenta David Bryan – Diventi un’unità molto legata, stretta. I live hanno dato una forma al nostro sound e a tutto ciò che siamo. È anche una questione di reputazione». «Siamo cresciuti in New Jersey. – aggiunge Torres – Lì tutte le band lavoravano duramente per conquistare il pubblico e far sì che fosse parte dello show. Credo che sia la chiave per i Bon Jovi. Sin dall’inizio è stato così. Senza il pubblico non possiamo fare nulla, abbiamo bisogno che canti, che applaudisca e balli con noi. E questo ha sempre reso speciale per noi ogni concerto. Per il nostro pubblico. Ed è ancora così».
Infine, sul nuovo album (di cui è già uscito il singolo apripista Legendary), i due musicisti ci anticipano che è pieno di «gioia»: «Ci ricorda proprio i tempi di Slippery When Wet. – dice Torres – Quell’album aveva una sinergia naturale. E anche per questo disco è così. I fan lo ameranno perché a noi piace!».