Il base jumping raccontato nel documentario ‘FLY’ di National Geographic, disponibile dal 4 ottobre su Disney+.
Dal 4 ottobre su Disney+ è disponibile FLY, documentario originale targato National Geographic che esplora la vita quotidiana di chi pratica il base jumping. Girato da Shaul Schwarz e Christina Clusiau nell’arco di circa otto anni, il documentario racconta la vita di una community che ha fatto del volo la propria ragion d’essere, pur con tutti i rischi che questo sport spesso comporta. In fondo – interrogandosi su cosa spinga i base jumper a lanciarsi da vette altissime – FLY finisce per essere il racconto quasi di una filosofia di vita, di un punto di vista differente (sempre ben accetto) su cosa realmente significhi essere felici.
«Quando ho conosciuto per la prima volta Shaul e Christina era tanto tempo fa, 8 anni fa. – ci racconta Scotty Bob Morgan, che abbiamo intervistato insieme alla moglie Julia Botelho – Non conoscevo neanche Julia, l’avrei incontrata dopo 4 anni. Non sapevamo dove sarebbe arrivato il progetto e credo che fosse uno degli aspetti più belli. La storia si è rivelata nel tempo e grazie alla dedizione di Christina e Shaul. Il finale era aperto e credo che nel film si veda: è la storia di un amore verso uno sport da parte di un gruppo di persone, ma c’è voluto tanto per svilupparlo».
«Hanno fatto un ottimo lavoro e non ce l’aspettavamo. – aggiunge Julia – Ovviamente è la nostra quotidianità, viviamo giorno per giorno e non sai mai cosa possa succedere. Ogni giorno è una sorpresa. Quando abbiamo visto il documentario, abbiamo pensato che non fosse possibile fare un lavoro migliore. Hanno mostrato esattamente com’è la nostra community e in che modo viviamo. Questo è il messaggio bellissimo che hanno regalato al mondo: forse tutti dovrebbero essere un po’ come noi e vivere la vita al massimo. Spesso siamo fraintesi da coloro che chiamiamo persone normali. E credo sia bellissimo aver fatto capire che non siamo pazzi o malati di adrenalina. Amiamo la vita».
FLY: il dolore e il tema della sicurezza
Nel documentario, a colpire è in effetti il susseguirsi di tragedie che costellano la vita di chi pratica questo sport di dolore e lutti. Eppure, nello stesso tempo, ad emergere è anche la consapevolezza che bisogna sempre – a dispetto di tutto – essere fedeli a se stessi. Rincorrendo la propria idea di felicità. «Le conclusioni negative che il pubblico generale può trarre, anche solo guardando il film, hanno una base di verità. – dice in proposito Scotty – Come community noi siamo aperti alle critiche, perché ci sono tante cose brutte, tante tragedie e lo sappiamo. Ciò che forse le persone non capiscono, e noi non possiamo neanche spiegarglielo, è il perché lo facciamo. Perché continuiamo a farlo e continuiamo a saltare? Non sappiamo rispondere a questa domanda, né spiegarlo alle persone che non capiscono. Siamo fatti così ed è ciò che ci piace fare: ci piace volare e il gioco vale la candela. Vale la pena nonostante la tragedia. Alcune persone non capiranno mai e va bene così. Come si dice? Vivi e lascia vivere».
C’è un mondo tuttavia al di sotto dell’apparente superficie. Julia sottolinea infatti che c’è un massivo studio delle fatalità, per imparare a prevenirle. «Se ci pensi, però – aggiunge – la gente muore ogni giorno guidando. E i decessi causati dagli incidenti stradali sono maggiori rispetto a quelli causati dal jumping». Sottolineo che ogni passione nasconde sempre un lato oscuro, in fondo. «Se vai troppo a fondo e ti lasci assorbire dalle tue passioni ci sono sempre dei rischi», concorda Scotty. «Accettare le paure e affrontarle ti aiuta a prendere decisioni nella vita in generale. – aggiunge Julia – La vita è questo: progredirsi, evolvere. Credo sia bello che FLY mostri alla gente che forse vale la pena cambiare e prendersi qualche rischio. Non abbiate paura di cambiare e di abbracciare il nuovo».
Base jumping: la tecnologia e le donne nello sport
Il base jumping è, del resto, continuamente in evoluzione. In FLY si vede chiaramente come sia cambiato l’approccio allo sport in otto anni. E ora la situazione com’è? «Quando abbiamo iniziato, lo sport era molto meno rilevante, c’erano meno informazioni e meno persone a farlo. – ci dice Scotty – Noi dovevamo capire tutto da soli ed era estremamente più pericoloso. Ora ci sono vari gradi di rischi per chi vuole provare». E se è vero che la tecnologia rende l’attrezzatura più sicura, Julia sottolinea che «le tragedie dipendono sempre da errori umani». Il prossimo step – secondo Julia e Scotty – è proprio lavorare sulla mentalità degli atleti: «La parte bella è stare con gli amici e volare, non fare colpo sulla gente in internet. – dice Scotty – C’è molto altro, ma oggi le persone iniziano perché lo hanno visto su YouTube. È la mentalità che vorremmo cambiare nello sport».
Un altro dettaglio appena tracciato in FLY (ma ben visibile) è lo scarso numero di donne che si avvicina a questo sport. «Ce ne sono molte di più rispetto al passato. – dice Julia – Ci sono più corsi e informazioni e sono certa che ne arriveranno altre. Succede spesso, tuttavia, che qualcuno non abbia le migliori intenzioni. Non si preoccupano della tua sicurezza. E, inoltre, noi insegniamo anche il base jumping e a volte le persone non prendono bene che sia una donna a dare loro lezioni». C’è ancora un forte pregiudizio, quindi. Ne approfitto per chiedere a Julia della scena del documentario in cui si lancia da una vetta incinta del suo futuro figlio. «Sapevamo – dice Scotty – che tante persone avrebbero sofferto con quella scena, ma eravamo molto preparati. In quel periodo facevamo solo salti molto sicuri». «Tante donne – conclude Julia – mi hanno scritto piangendo e dicendomi grazie. In molte hanno smesso di saltare perché hanno avuto un figlio ed è come se avessero perso loro stesse».
Foto di Reel Peak Films