Arriva su Disney+ il 24 maggio il documentario The Beach Boys, che celebra la storia della leggendaria band che ha rivoluzionato la musica pop e dell’iconico e armonioso sound che hanno creato. Il documentario ripercorre infatti il percorso del gruppo dalle umili origini familiari e include filmati inediti e interviste mai viste prima con Brian Wilson, Mike Love, Al Jardine, David Marks, Bruce Johnston dei Beach Boys e altri luminari del mondo della musica, tra cui Lindsey Buckingham, Janelle Monáe, Ryan Tedder e Don Was. Prodotto da Kennedy/Marshall e White Horse Pictures, The Beach Boys è diretto da Frank Marshall e Thom Zimny, con la sceneggiatura di Mark Monroe.
«Sono cresciuto a Newport Beach, a sud di Hawthorne, dove sono cresciuti anche i Beach Boys. – dice Frank Marshall in conferenza – Ero appassionato di surf e di surf music. Infatti andavo al Rendezvous Ballroom con Dick Dale. A quei tempi però la surf music era molto strumentale e ricordo il giorno in cui ho ascoltato per la prima volta Surfin’ dei Beach Boys. Avevano aggiunto il testo: sembrava surf music sacra, fatta apposta per sconvolgere i surfisti. Era figo. Credo che ora sia il momento giusto per un documentario sui Beach Boys quindi semplicemente perché sta per iniziare l’estate».
60 (e più) anni di Beach Boys
Va anche detto che nel 2021 – come ricorda Al Jardine – i Beach Boys hanno celebrato il loro 60esimo anniversario. «Quindi è il momento giusto. – aggiunge Jardine – Siamo fortunati perché siamo stati in grado, nel corso degli anni, di rinnovare il nostro rapporto con i fan e con un pubblico tutto nuovo. Abbiamo sempre detto di essere una band per persone di età tra gli 8 e gli 80 anni. Ora siamo noi ad avere 80 anni (ride, ndr)».
Gettarsi in questo progetto è stato tuttavia per i Beach Boys molto semplice e spontaneo. «Se la Disney vuole fare un documentario sulla tua carriera e la tua musica, è un’opportunità fenomenale. – commenta Mike Love – Soprattutto in questa fase della nostra carriera, è incredibile avere dei riconoscimenti e vedere il duro lavoro fatto per questo doc. Tra l’altro, coincide proprio con il 50esimo anniversario dell’album Endless Summer. È un miracolo che 60 anni dopo il nostro esordio ancora cantiamo queste canzoni e otteniamo grande apprezzamento. Siamo molto grati e questo documentario in questo momento è una benedizione».
Per i Beach Boys in particolare il documentario è stata una preziosa occasione per una reunion «gioiosa». «Ci sono state separazioni – commenta Mike – ma quando siamo insieme, siamo uniti dall’armonia e dalla positività. C’è una base d’amore e rispetto reciproco delle nostre individualità. Non sempre lo esprimiamo, ma c’è. In quest’epoca credo ci sia molta negatività nell’atmosfera, nel mondo, ma la nostra musica porta positività e speranza». C’è stata ovviamente un po’ di tristezza nel ripensare all’assenza di Dennis e Carl Wilson. Una «malinconia inevitabile» – per citare Mike – compensata solo dall’apprezzamento del lavoro fatto insieme e «dall’amore per la musica che a volte ci ha unito nonostante le differenze».
La musica dei Beach Boys è timeless
È innegabile che la musica dei Beach Boys abbia comunque vinto la sfida del tempo. Thom Zimny la definisce «timeless», eterna. E la speranza è che il documentario racconti «la famiglia, ma anche il modo in cui i singoli membri hanno portato la loro musica nel mondo con energia positiva». «Ogni volta che abbiamo iniziato a scrivere una canzone – ricorda Al – era già nella mente di Brian. L’arrangiamento già c’era, quindi era molto semplice. Brian metteva la mano destra sul piano e ognuno di noi lo seguiva con una nota. Io ero, potremmo dire, il secondo tenore. Carl era il terzo e Mike era il baritono. Dennis, se c’era, era nel mezzo. Era difficile solo ricordarsi la propria parte. Se sbagliavi, dovevamo ricominciare tutto da capo».
Un sistema collaudato che ha portato alla creazione di brani ormai immortali. «Noi non lo siamo – dice Mike – ma la nostra musica sì. Un paio di giorni fa abbiamo partecipato al Living Life Festival a Charlotte, in North Carolina. Era una giornata assolata e migliaia di persone cantavano e ballavano con noi. Credo sia gioia pura. La nostra musica è celebrazione della vita piuttosto che negatività. È stata una nostra scelta quella di non cantare di cose brutte, anche se ce n’erano. C’erano le dimostrazioni degli studenti negli anni ‘60, proprio come adesso, anche se per ragioni differenti. C’era l’integrazione, la guerra del Vietnam. Noi uscimmo con Good Vibrations».