Eutanasia, il diritto alla dignità e il confronto generazionale: il cast e il regista de ‘L’età giusta’ (su Paramount+) si raccontano.
Arriverà su Paramount+ il 24 dicembre il film L’età giusta, diretto da Alessio Di Cosimo e prodotto da 101 Distribution. Nel cast Valeria Fabrizi, Gigliola Cinquetti, Giuliana Lojodice e Paola Pitagora nei panni di quattro donne ottantenni che decidono di uscire di nascosto dalla RSA che le ospita per risolvere un caso di truffa romantica. Più di questo, L’età giusta è in realtà la storia di quattro donne che non si arrendono al tempo che passa e che hanno due giorni per far crescere un ragazzo che non vuole diventare adulto (Alessandro Bertoncini).
«Anna sono io nella vita privata, mi sono divertita. – dice subito Valeria Fabrizi – Sono stata scelta da questo bel figliolo che ci ha diretto (Alessio Di Cosimo, ndr). Noi quattro ci conoscevamo ma non abbiamo mai lavorato insieme. Ogni tanto c’era qualcosa che non andava, perché va detto. Con affetto però ci siamo divertite con tutta la troupe. Abbiamo partecipato con tanto entusiasmo a questo progetto. È veramente un film delizioso, da vedere nel silenzio in una sala. Volevo affittare io un cinema, forse costa troppo?».
L’età giusta è «l’età della libertà»
L’età giusta è «delizioso» proprio come lo descrive l’attrice. È divertente ma, nello stesso tempo, obbliga ad alcune fondamentali riflessioni sui pregiudizi che abbiamo sulla terza età. «Nove anni fa realizzai il mio primo cortometraggio, girato in una casa di riposo. – racconta il regista – Tra i protagonisti c’era Renato Scarpa. Parlavamo molto e mi disse: Quando si è piccoli non si hanno le corazze. Non si ha nulla. Poi piano piano nella vita metti i freni e solo nella vecchiaia ce li togliamo e ci sentiamo più liberi. Io penso che la vita sia un cerchio e che i bambini e gli anziani siano molto vicini. Da adulti ci nascondiamo dietro maschere di situazioni, dietro schemi e armature. Solo dopo otteniamo la libertà di dire La vita mia l’ho fatta, ora faccio quello che voglio. Se si ha questa consapevolezza e si riesce, come loro, ad arrivare a questa saggezza di godersi ogni sensazione e ogni cosa bella, si sta vivendo nel modo giusto. E si ha l’età giusta per godersi la vita».
Una filosofia completamente sposata, ad esempio, da Gigliola Cinquetti che la definisce «l’età della libertà e del divertimento». «C’è la consapevolezza che conta il presente – aggiunge – e poi les jeux sont faits, se canti male non ti rovini la carriera. Posso andar leggera senza fardelli sulle spalle e responsabilità per me stessa. Da giovane vivevo come un peso la difficoltà di scelta davanti a un ventaglio immenso di possibilità, perché la mente umana si perde davanti a scelte che si equivalgono. Essere grandi e anziani è una grande liberazione e conquista, sempre che ci sia la salute. Ma anche qui dobbiamo tenere conto di chi la salute ce l’ha così così e perde autonomia perché fragile. Non perde però la voglia di ridere e divertirsi e il diritto a essere rispettato». Il discorso sfocia inevitabilmente sul diritto all’eutanasia.
Il diritto di scegliere
«Non voglio rovinare questa atmosfera – dice infatti Paola Pitagora – ma mi viene in mente Mario Monicelli costretto a 90 anni a lanciarsi dalla finestra dell’ospedale. Non abbiamo ancora una legge che consenta a chi non ne può più di lasciare la vita serenamente. La chiamano eutanasia o semplicemente scelta. Io vorrei serenamente scegliere di non dipendere da qualcuno e con gratitudine e dignità uscire di scena dalla vita». «Sono d’accordo – aggiunge la Cinquetti – ma anche la scelta opposta è possibile. C’è chi sceglie anche di perdere la propria autonomia e di scendere a un compromesso. C’è chi sceglie una strada e deve poterla scegliere e c’è chi ne sceglie un’altra, non per questo meno dignitosa». Al netto di riflessioni forse inevitabili visto il tema del film, le attrici ci tengono a sottolineare di essersi molto divertite sul set.
La tematica del confronto generazionale, del resto, presta anche il fianco a situazioni molto divertenti. «Il personaggio di Alessandro – dice il regista – ha dei traumi che si porta dietro da quando era piccolo. Non riesce a prendere in mano la sua vita e a capire che dobbiamo saper voltare pagina. Poi prende coraggio dalla nonna e dalle amiche e compagne di viaggio. Il film ha questo rapporto generazionale, ma è anche un testamento della voglia di vivere e riscattarsi». «Un giorno – racconta Giuliana Lojodice – stavamo girando. Ero dietro a un vetro e non facevo assolutamente niente. Finita questa scena mi vedo Alessandro che mi abbraccia. Questi anche sono i ragazzi, si commuovono nel vedere una donna semplicemente assente».