Su Paramount+ è disponibile la docuserie ‘L’Omicidio del Banchiere di Dio’, scritta e diretta da Tom Donahue. La nostra intervista.
In un’Italia perennemente intrisa di dibattito politico è spesso facile dimenticare il passato, ignorando forse che tutto ciò che è successo ai vertici del nostro Paese – dal secondo dopoguerra a oggi – appaia estremamente unico e interessante a un occhio esterno. È il caso di Tom Donahue – regista già noto per i documentari Casting By (nominato a un Emmy), Thank you for your service e This Changes Everything – di cui su Paramount+ è disponibile L’Omicidio del Banchiere di Dio (Murder of God’s Banker). Partendo dal caso di Roberto Calvi – ritrovato nel 1982 morto sotto un ponte a Londra – Donahue ha realizzato una docuserie in quattro episodi in cui prova a ricostruire gli eventi che hanno portato all’omicidio (inizialmente presunto suicidio) del banchiere, immergendo di fatto le mani in una storia di profonda corruzione e riciclaggio di denaro. Un compito difficilissimo, soprattutto per uno statunitense («Da americano – scherza – avevo paura che gli italiani non apprezzassero»).
La genesi della docuserie secondo Tom Donahue
Chiediamo a Tom Donahue di partire dal principio e di raccontarci come sia venuto a conoscenza della vicenda di Calvi e come mai abbia deciso di tradurla in un progetto così complesso. «Il co-produttore, Ilan Arboleda, ha studiato a Georgetown a Washington. Lì, durante i suoi studi, è venuto a conoscenza di questa storia. – ci racconta il regista – Ogni volta che dovevamo scegliere il tema per un documentario, negli ultimi dieci anni ha sempre proposto questa vicenda bocciando tutto il resto. Io alzavo gli occhi al cielo, perché è una storia troppo politica, troppo complessa. Ci sono troppi elementi per un film da 90 minuti. Poi le docuserie sono esplose in tutto il mondo e ho pensato che fosse il momento giusto per raccontare questa storia in 4 ore. All’inizio dovevano essere 6 ore, ma poi abbiamo deciso per 4. E c’è tantissima storia anche in 4 ore!».
Di fatto, ci racconta Tom, anche la pandemia ci ha messo lo zampino. «Abbiamo iniziato a lavorarci alla fine del 2020, durante la pandemia. – dice – Non avevo nulla da fare e ho pensato di tirare fuori un’idea per un documentario. Volevamo realizzare una serie in 6 episodi, poi siamo andati da Paramount e Viacom ma ci sono voluti mesi per avere il semaforo verde. Abbiamo iniziato a girare a settembre 2021 e iniziato l’editing a marzo 2022».
Calvi, Sindona, Marcinkus: personaggi e comparse
Gli strati della vicenda sono tantissimi e difficili da spiegare anche per un italiano che quegli anni li ha effettivamente vissuti («È una storia difficile da raccontare, ma è così che funziona la corruzione. – precisa Donahue – Rende complicato comprendere ciò che sta accadendo»). In gioco ci sono personaggi come Roberto Calvi e Michele Sindona, ma uno dei protagonisti indiscussi è anche l’Arcivescovo Paul Marcinkus, così come Licio Gelli, a capo della P2.
«Lo stesso Calvi alla fine non è un personaggio così interessante. – commenta il regista – È più un pesce piccolo incastrato in affari più grandi di lui. Credo che altri personaggi fossero invece tremendamente potenti, come Michele Sindona. Per me è come Obi-Wan Kenobi, un mentore ma del lato oscuro. Sicuramente è il personaggio più avvincente. C’è anche Marcinkus, che non è il prete del Vaticano che di solito ci immaginiamo. È più un mafioso di Chicago. E poi c’è anche la figura di Papa Giovanni Paolo II, la più empatica. Si può comprendere il suo astio nei confronti dei sovietici conoscendo la persecuzione che ha subito in Polonia». Ma cosa ha realmente ispirato questa storia? «È stata l’ascesa del fascismo negli Stati Uniti con l’elezione di Donald Trump. – ci risponde – Ho capito che l’Italia vive una situazione simile dalla Seconda Guerra Mondiale, perché non si è mai riconciliata con i problemi del fascismo. Volevo analizzare questa ascesa mondiale della destra».
L’importanza delle interviste
Tom Donahue si avventura dunque su un terreno molto friabile, con l’intento tuttavia nobile di comprendere il presente guardando al passato. La figura di Roberto Calvi – e il suo misterioso omicidio, la cui indagine viene seguita nella serie – diventa quindi una sorta di Cavallo di Troia: la punta dell’iceberg per indagare ciò che si cela sotto la superficie.
«Tutto era nascosto in bella vista ed era anche abbastanza ovvio. – precisa poi il regista – Nessuno poteva provare nulla ed è il motivo per cui sono stati tutti assolti. Mi sono informato grazie ai tanti libri incredibili scritti su questo tema, sia prima che dopo la morte di Calvi. Ho potuto approfondire molti aspetti, tra cui la storia della mafia siciliana e la storia dell’Italia. Per ogni aspetto di questa storia, esistono libri incredibili. Quando potevo contattare gli autori o alcuni degli esperti nominati, chiedevo loro un’intervista. Abbiamo così raccolto 22 interviste fantastiche e molto approfondite. Alcune di loro sono poi diventate le star dell’intero progetto. Mi hanno dato proprio quello che cercavo, anche da un punto di vista drammatico».
Le riprese si sono svolte in Italia e a Londra. E Donahue non può che complimentarsi con la produzione italiana, ringraziando in particolare la giornalista Chiara Spagnoli Gabardi «che parlava italiano ed è riuscita a contattare persone come Leo Sisti de L’Espresso, che mi ha aperto un mondo». «La conoscenza di fatti storici propria di persone come Leo non la trovi neanche nei libri. – dice il regista – Quel livello di passione per la politica è incredibile».
Dettagli tecnici
L’Omicidio del Banchiere di Dio (Murder of God’s Banker), per ovvi motivi, è ricco di materiale d’archivio intervallato da animazioni noir che suppliscono alla mancanza di immagini specifiche (come il racconto degli omicidi). «Non è una docuserie su Elvis Presley – ci spiega Donahue – quindi non c’è tantissimo materiale d’archivio. E stai anche raccontando la storia di istituzioni segrete. Alcune sono le più segrete al mondo. Non ci sono molte foto delle persone coinvolte. Sapevamo però che tono volevamo dare alla storia: in questa vicenda c’è tanta mascolinità tossica, mentalità patriarcali e aree grigie, corruzione. È difficile capire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Abbiamo voluto usare colori sgargianti, che potevano regalare unicità al racconto. Una scelta non banale, come lo sarebbe stata se avessimo puntato al bianco e nero».
Tom Donahue, la fine del viaggio
Come This Changes Everything usava le storie di Hollywood per denunciare il mancato riconoscimento professionale delle donne, anche questo documentario di Donahue parte da un unico evento per raccontare qualcosa di più ampio. «È una docuserie sulla corruzione portata avanti dagli anti-comunisti a partire dalla Guerra Mondiale», precisa infatti il regista.
«Dal nostro punto di vista è tutto terribile, è chiaro che ci fosse troppa corruzione. – aggiunge – Ma, dal loro punto di vista, era prevedibile. Ed è difficile per noi capire la paura del totalitarismo di questi personaggi quando interferirono con le elezioni. Avevano paura che l’Italia diventasse comunista e che tutto sarebbe finito. Io non credevo che il fascismo negli USA fosse possibile e poi abbiamo eletto Trump. È stato quindi necessario comprendere le radici del fenomeno. Non sarebbe stato così importante parlarne anni fa, quando c’era Obama».
Cosa si porta dunque dietro Tom Donahue da questo viaggio in un’Italia profondamente corrotta e folle? «Imparo sempre qualcosa. – ci risponde – Ho imparato tantissimo sulla storia italiana. E sono onorato perché, per ogni mio progetto, mi confronto sempre con le menti più preparate su uno specifico tema. Apprendo tantissimo e ciò che imparo influenza poi il mio lavoro e altri progetti. Ora sto lavorando a un progetto di sei episodi di cui non posso parlarti, ma in cui sto usando tantissimo di ciò che ho imparato con questa docuserie. Ti farò sapere appena esce».