È stato lungamente annunciato e finalmente Tulsa King, la nuova serie originale con Sylvester Stallone, arriverà su Paramount+ il 25 dicembre. Un vero e proprio regalo di Natale, magicamente confezionato da Taylor Sheridan, produttore esecutivo dello show insieme a Terence Winter (anche showrunner e scrittore). Prodotta da MTV Entertainment Studios e 101 Studios, Tulsa King racconta la storia del capo della mafia newyorkese Dwight The General Manfredi (Stallone), appena uscito di prigione dopo 25 anni. The General viene esiliato senza tanti complimenti dal suo boss e si stabilisce a Tulsa, in Oklahoma. Rendendosi conto che la sua famiglia mafiosa potrebbe non avere a cuore i suoi interessi, Dwight costruisce lentamente una banda composta da un gruppo di personaggi improbabili, per aiutarlo a stabilire un nuovo impero criminale in un luogo che per lui potrebbe anche essere un altro pianeta.
«Ho sempre voluto far parte di un film sui gangster. – ci dice Stallone, che abbiamo l’occasione di incontrare a Roma – Non perché voglio essere un gangster, ma per dare al ruolo una diversa interpretazione. E non è mai successo! Sono andato a chiederlo anche a Scorsese, ma niente! Quindi, quando è arrivata questa opportunità, ho detto subito di sì. Anche se non sapevo cosa sarebbe successo, volevo farlo! Volevo interpretare un gangster completamente diverso».
The General, di fatto, non è propriamente un gangster. «Appena abbandona New York, diventa un comune cittadino. – ci dice Sly – Un uomo solo che non conosce nessuno in questa nuova città. O muore o ricostruisce la sua famiglia. E amo il messaggio della serie, perché in questa nuova famiglia ci sono persone normalissime. Credo sia un aspetto interessante e divertente perché c’è tanto umorismo, mentre lui cerca di comprendere questo mondo a lui nuovo. È sempre America, ma è come se fosse Marte. Un altro pianeta».
Sylvester Stallone in Tulsa King: gangster ma anche tanto umorismo
L’umorismo è un elemento fondamentale in Tulsa King. I ruoli canonici del gangster e dei suoi sottoposti vengono completamente stravolti, giocando anche sul confronto generazionale. Un aspetto che ha particolarmente intrigato Sylvester Stallone, circondato sul set da giovani talenti (Andrea Savage, Max Casella, Martin Starr, Vincent Piazza, per citarne alcuni).
«Penso che si possa raccontare di più con un po’ di umorismo che picchiando le persone per dare una lezione. – ci dice in proposito Stallone – O sforzandoti troppo per una predica. La commedia viene fuori in situazioni con cui tutti possono relazionarsi. Ogni personaggio della serie si veste a modo suo, parla a modo suo. Dwight cerca di capire, anche se nessuno sa nulla. A ogni cosa che dice, gli rispondono di non averla mai sentita. Hai presente Marlon Brando?, e rispondono di non averlo mai sentito nominare. È incredibile, come vivere su un altro pianeta con gente che non conosce i Beatles. È un aspetto molto divertente».
Ma per Stallone è stato divertente anche lavorare con attori molto giovani, a cui poter «insegnare i trucchi del mestiere». E, in particolare, l’attore riserva solo belle parole per Tatiana Zappardino, che interpreta Tina Manfredi.
«Non aveva mai recitato e lo studio non la voleva, era categorico. – ci racconta – Ma l’ho vista in uno spot che è andato in onda per due anni. Quando vedo uno spot il più delle volte lancerei la tv fuori dalla finestra. Penso Perché sto vedendo questa persona?. Ma con lei vedevo solo la faccia e pensavo Qui c’è qualcosa. Quando lo studio mi ha chiesto chi volessi nella parte di mia figlia mi ha fatto tantissimi nomi, ma io ho risposto che volevo lei. Sapevo che in lei c’era qualcosa. Hanno replicato Assolutamente no e io ho detto Allora mi licenzio. Ha fatto un provino e lo studio l’ha adorata! C’è un aspetto che non ti fa distogliere lo sguardo da una persona. E la bellezza o l’altezza non c’entrano nulla, è qualcosa che differenzia l’attore dalla star».
Piattaforme e cinema: come cambia lo storytelling
Infine, cogliamo l’occasione per chiedere a Stallone come sia cambiato l’approccio al mestiere con l’avvento delle piattaforme.
«Nel business lo storytelling è cambiato in modo drammatico. – ci risponde – Ora è molto più tecnico, è brutale ed è anche molto caro, quindi devi adattarti. Non si può più sperimentare. Devo dire che mi piace, perché ti permette di essere molto concentrato. È come se avessi una pistola con solo due proiettili: devi stare molto attento, perché non puoi sprecarli. In passato perdevamo tempo e, senza dubbio, sparavamo a caso. Ora no, e questo ha cambiato il mio concetto di fare film, è molto più dura fisicamente».