Quarto classificato al Festival di Sanremo 2024, Ghali è stato tra gli ospiti di Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa domenica 18 febbraio. Dopo l’ottimo risultato alla kermesse, l’artista sta raccogliendo riscontri positivi anche in termini di stream con Casa mia che conta oltre 14 milioni di streams solo su Spotify. Nel salotto sul NOVE (in streaming su discovery+), Ghali ha toccato svariati temi in una lunga chiacchierata con il conduttore.
A partire dall’infanzia e dal rapporto con la madre. “Mia mamma è elegante di suo. Tutto quello che ho imparato, tutto quello che so, l’ho imparato da lei. Da bambini non ce ne accorgiamo ma è incredibile quanto impariamo dai nostri genitori: dal parlare al flow, al ritmo, le influenze musicali, il gusto. Mia mamma si chiama Amel, significa ‘speranza’, tutto il resto è storia”.
“Da Sanremo sono successe tante cose. – prosegue Ghali – Mi ritrovo in un momento che fa parte di un processo iniziato un anno fa, o anche di più. Dopo il mio successo del 2016 ho fatto tour e ho fatto uscire tanta musica, rotto tanti record e fatto delle bellissime cose, a un certo punto ero annebbiato da tutto. Inizi a rotolare e vai avanti per inerzia. Non hai più tempo per ragionare e per fare una vita normale, perché alla fine siamo persone normali”.
“Io arrivo da un quartiere di periferia di Milano come tante persone e a un certo punto ho dovuto fare i conti con la mia vita personale. c’è stato un momento in cui mia madre si è riammalata, un momento in cui sono dovuto andare dalla psicologa, vita normale. Mi sono staccato un attimo dalla musica perché volevo smettere di rotolare, volevo fermarmi e ragionare, tornare alla mia essenza, che dopo un po’ ho perso sotto i riflettori tutti i giorni. Ho iniziato davvero molto giovane e il successo che ho avuto in quegli anni era senza precedenti, non avevo le spalle larghe abbastanza per poter reggere tutto”.
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La frase pronunciata a Sanremo
Quindi, Ghali commenta il suo appello contro il genocidio pronunciato proprio sul palco del teatro Ariston. “[la pace è per tutti] è quello che abbiamo imparato a scuola, è strano ritrovarsi oggi in un mondo così. Ci hanno insegnato una cosa per tutta la vita e ad un certo punto sentiamo che non si può. Per me è la cosa più importante: qualsiasi cosa è da condividere. Il successo, tutti i beni che abbiamo su questo pianeta, non sarebbero delle ricchezze se non fossero condivisibili. Sono condivisibili solo se stiamo tutti bene e se c’è pace, se in una stanza siamo in 10 e 7 persone stanno male pure le altre 3 staranno male. Se in una stanza di 10 persone 7 stanno bene, le altre 3 anche se stanno male inizieranno a riprendersi. È importante stare tutti bene per quanto sembri banale”.
E sul ruolo della creatività, racconta: “L’arte esiste per questo, è una valvola di sfogo, una stanza creativa per chi soffre e capisce che può trarre vantaggio dalle proprie ‘sfortune’. L’arte oggi è l’unico modo che abbiamo per far diventare una pietra preziosa il nostro dolore. Sento che le persone riescono a percepire questo perché lo sono veramente. Un anno e mezzo fa mi sono veramente fermato con il mio team a ragionare su come tornare a fare qualcosa di straordinario, non è facile uscire dalla mediocrità, dalla superficialità e farlo”.
Contro la superficialità nell’arte
“Siamo in un momento in cui c’è tanta superficialità – prosegue Ghali – tante cose che escono sono mediocri e ci si accontenta. Ma accontentarmi non mi fa stare bene e so che per fare qualcosa di straordinario devo tornare puro e me stesso. Il successo ti porta dopo un po’ a toglierti quell’innocenza e io non voglio credere che non si possa rifare due volte. Ho fatto questa cosa ed è stato un esperimento molto forte su me stesso e sulle persone che hanno lavorato con me per tutto questo tempo. Persone che devo ringraziare perché le ho portate al limite, sono uno di quei registi che porta gli attori al limite e non sai se hanno voglia poi di ri-lavorare con te. Ma ci tengo talmente tanto a dare il massimo della mia arte che ho dovuto lavorare molto su me stesso per creare un qualcosa di speciale.”
“I trapper sono i nuovi cantautori di oggi – riflette quindi l’artista – esattamente come facevano i cantautori di una volta che usavano il linguaggio di strada di quel momento, i cantautori di oggi usano il codice di strada. Per questo molti giovani si ritrovano: parliamo di vita vera. Lo sento nei testi di De André che lui parlava come si parlava nelle strade, riesco a percepirlo che era uno slang di quel momento. Io sono stato un ultimo per tanto tempo e lo sono ancora.”
Foto da Ufficio Stampa / Contenuti in streaming su discovery+