Serie tv di successo che ha varcato i confini nazionali, torna sul piccolo – e grande – schermo DOC. Nelle tue mani con protagonista Luca Argentero nei panni del dottor Andrea Fanti. Ispirata alla storia di Pierdante Piccioni, medico a cui un incidente ha fatto perdere la memoria, la terza stagione va in onda su Rai 1 in prima serata a partire dall’11 gennaio 2024. Ma nell’attesa, i protagonisti sbarcano nelle sale Uci Cinemas, con la proiezione in anteprima dei primi due episodi il 18 e 19 dicembre (qui l’elenco completo).
E per l’occasione Argentero e gli altri – nel cast, Matilde Gioli, Matilde Gioli – Funweek, Sara Lazzaro, Marco Rossetti, Giacomo Giorgio (new entry), Giovanni Scifoni – salutano il pubblico in alcune sale selezionate.
Luca, come è stato tornare a indossare il camice del dotto Fanti in una serie così amata come DOC. Nelle tue mani?
Quando abbiamo dato il via al lavoro ero molto curioso di capire come gli autori avrebbero potuto ritrovare un tirante così forte per mantenere lo standard della prima stagione. Il primo anno, le vicende di DOC [e la storia di Pierdante Piccioni] sono state naturalmente qualcosa di forte; poi, il secondo anno abbiamo avuto tutti il minimo comune denominatore del Covid che ha stravolto un po’ la vita di tutti. Anzi, DOC ha addirittura anticipato alcune soluzioni che poi sono diventate comuni, inventando una sorta di Green Pass. Perciò quest’anno mi sono detto: come facciamo a tenere alto Il livello della tensione? E niente, ce l’hanno fatta, non so, non so come altro dirlo.
Quando abbiamo dato il via al lavoro ero molto curioso di capire come gli autori avrebbero potuto ritrovare un tirante così forte per mantenere lo standard della prima stagione. Il primo anno, le vicende di DOC [e la storia di Pierdante Piccioni] sono state naturalmente qualcosa di forte; poi, il secondo anno abbiamo avuto tutti il minimo comune denominatore del Covid che ha stravolto un po’ la vita di tutti. Anzi, DOC ha addirittura anticipato alcune soluzioni che poi sono diventate comuni, inventando una sorta di Green Pass. Perciò quest’anno mi sono detto: come facciamo a tenere alto Il livello della tensione? E niente, ce l’hanno fatta, non so, non so come altro dirlo.
E sul set come avete lavorato?
Un po’ colpevolmente, e un po’ all’americana, anche noi abbiamo letto [i copioni] man mano, quindi noi per primi non abbiamo ben chiaro il percorso che fanno i nostri personaggi. Lo viviamo assieme al lavoro degli sceneggiatori. Ribadisco un po’ colpevolmente (sorride, ndr) alla fine è sempre colpa della Rai, perché loro che danno l’ultima approvazione delle sceneggiature! Lavoriamo a volte improvvisando le nostre storie, improvvisando quello che succede ai nostri personaggi, perché capita di ricevere i copioni poche ore prima di girare. Se riesci a trasformare queste novità che ti arrivano all’ultimo nello stupore che i personaggi provano nel viverle, allora diventa tutto emozionante. Un pelino concitato, ma emozionante. Lo sforzo è, quindi, reggere questo tipo di tensione per così tanti mesi, perché ci sono pochi esempi di formati così lunghi.
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Che cosa può anticipare di quello che il pubblico vedrà nella terza stagione?
Già dal trailer si nota che ci sarà un ritorno del passato, con il riemergere dei ricordi e, come il pubblico sa, tutto quello che raccontiamo ha sempre un’ispirazione. In parte, quindi, ci siamo affidati ai racconti di Pierdante che tengo citare perché è più che un padre della serie. È la storia stessa che parla attraverso di noi. E continua a dare un suo supporto creativo, oltre a essere presente nel consueto cameo portafortuna. Per Fanti è difficile avere a che fare con i ricordi, che possono essere falsi quindi c’è sempre qualcun altro che glieli deve certificare. Deve avere la sicurezza che non sia solo uno scherzo del cervello. Questo è il grande tema, il ritorno del passato, insieme alla gestione del camice da primario e, quindi, alla gestione del potere, del denaro in un reparto come quello della medicina interna che deve essere sempre più economicamente sostenibile.
Da questo punto di vista, DOC. Nelle tue mani fornisce davvero uno spaccato del settore sanitario attuale. Come le sembra?
Oggi non basta più essere bravi a fare il proprio lavoro, bisogna anche essere profittevoli. Ed è una cosa che stride completamente con l’approccio alla medicina di doc. È una tendenza molto reale ed è la riflessione che amo di più di questa serie. Come è stato per le prime due stagioni, anche questa volta DOC non ha paura di affrontare temi che toccano un tema così sensibile come la salute del cittadino. È un vero e proprio dito puntato contro la nuova tendenza della medicina, soprattutto quella che arriva da oltreoceano. Un reparto come quello di medicina interna, oggi come oggi, in un ospedale non ha quasi più senso di esistere. Ed è un dramma, perché i reparti sono sempre più specializzati e gli esami sempre più costosi.
Il paziente deve essere una fonte di reddito, da come verrà trattato malato l’ospedale trarrà o meno del profitto. Caspita, è un tema incredibilmente scomodo. Attraverso le parole egli occhi di DOC, scopriremo come in un paese che funziona, in un mondo che funziona, al centro ci deve essere sempre la persona. Secondo me, è il motivo del grande affetto che il pubblico ha nei confronti di doc: è il medico che tutti vorrebbero incontrare, è il paese in cui vorrebbero vivere, il sistema in cui vorrebbero far crescere i loro figli. Lo so, un è un’utopia, ma non è lontana: è a portata di mano, basterebbe semplicemente volerlo.
Prima accennava ai ricordi e ai falsi ricordi: c’è qualcosa che, secondo lei, varrebbe la pena dimenticare?
Credo che ogni ricordo è prezioso, sia quelli positivi sia quelli più dolorosi o negativi. Tutto contribuisce sempre a creare la persona che siamo, quindi secondo me vale la pena di salvaguardarli tutti.
La sua carriera di attore spegne le sue prime venti candeline: come si sente cambiato?
Non mi sento di essere cambiato, anzi sono molto contento di essere rimasto quello di sempre. Almeno è quello che mi dicono gli amici storici, quelli dell’università, che ci tengono sempre a bacchettarmi. Diciamo che mi sento sempre abbastanza uguale a me stesso, per quanto riguarda il carattere, ma ovviamente sono decisamente invecchiato! Siamo tutti cresciuti assieme ai nostri personaggi e, quando affronti un lavoro così lungo su tre stagioni, è inevitabile che passino anni e si invecchi.
Professionalmente, ho sempre reputato DOC un lavoro con un coefficiente di rischio altissimo perché In Italia non c’era nessun esempio di medical di successo. Quindi era un salto triplo carpiato nel buio. La mia fortuna è stata incontrare questo gruppo di lavoro produttivo e poi un regista come Jan con cui all’inizio abbiamo creato un mondo che non esisteva. Dietro la serie c’è una visione di intenti comune che va molto al di là del risultato eccezionale che abbiamo ottenuto.
Con Fanti, invece, che cosa ha in comune?
Recitando per così tanti anni il personaggio alla fine ci siamo fusi su tante cose. Io e doc, per esempio, siamo portati alla naturale empatia verso le persone. Credo di essere una persona che mette poca distanza anche con lo sconosciuto e riesco a creare un buon rapporto con le persone con cui lavoro. Spero di non essere smentito, ma credo di essere in grado di creare dei buoni rapporti personali come fa anche doc. Però, non sono bravo come lui nell’essere così ostinato e sono più egoista, più proiettato verso me stesso.
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Fanti, invece, ha un livello di altruismo sproporzionato, che è proprio di ogni vero dottore. mette il paziente davanti a qualsiasi altra cosa. Io cerco di prendermi cura delle persone che vivono e lavorano con me, e lo faccio quotidianamente. Provo a farle stare bene però non come qualsiasi bravo dottore che mette la propria vita al servizio di qualcun altro. È davvero eroico e mettere in scene categoria di professionisti è una grossa responsabilità. In questi anni ho imparato che è una categoria di eroi, anzi si supereroi veri. Quotidianamente eroi.
Ma da bambino ha mai sognato di fare il medico?
No, anzi ho sempre escluso di fare medicina. Nello scegliere l’università, per esempio, sapevo solo che non avrei mai fatto medicina. E lo confermo: dopo tanti anni con un finto camice addosso, non potrei mai convivere con un così alto tasso di responsabilità. Che poi è il motivo per cui ho scelto il lavoro che ha il tasso più basso, al massimo le persone non si emozionano o non ridono, di certo non muoiono per colpa mia o non guariscono. Per carità, davvero non sopporterei questa responsabilità.
Non teme di rimanere troppo legato al personaggio del dottor Fanti nell’immaginario del pubblico?
Si potrebbe pensare che un personaggio così identitario quasi possa nuocere alla carriera ma io lo reputo davvero un lusso, un grandissimo privilegio. Ci sono poche cose memorabili nella carriera di un attore e tendenzialmente vengono quasi sempre dimenticate. L’idea di poter essere ricordato anche per questo personaggio mi fa pensare che in vent’anni qualcosa di buono l’ho fatto.
DOC ha generato così tanta empatia e affetto nel cuore delle persone che mi riempie di orgoglio. Poi quello con Pierdante è stato un incontro fenomenale: è un cervello raro, unico. Il grande insegnamento della sua storia, che è quello che portiamo sullo schermo, è che dalla peggiore difficoltà, dal più grosso guaio in cui uno si può cacciare, si deve avere la forza di trasformarlo in una possibilità, in qualcosa di positivo. È il più bel messaggio di questo progetto.
Anche il fatto che il suo pubblico, e quello di DOC, copra diverse generazioni è un traguardo.
Scherzando dico sempre che sono 8 – 88, cioè vado bene sia per i ragazzini che per le mamme e per le nonne. Sì, il pubblico è trasversale. Con DOC davvero si siedono insieme sul divano il figlio, il genitore e il nonno. SI solito succede che il papà si guarda la partita sull’iPad, la nonna segue la serie di turno e l’altro figlio sta su TikTok. Invece, con DOC la famiglia si riunisce davanti alla TV e tutti guardano la stessa cosa. È un risultato unico e, secondo me, bellissima, che crea quel senso di famiglia che vogliamo provare portare anche sullo schermo.
Vista la sua identificazione con il dottor Fanti, chi la incontra le chiede consigli? E che cosa ha imparato dalla serie?
Non mi permetterei mai di sostituirmi a un medico, però, inevitabilmente in questi anni ho imparato una quantità di nozioni enorme che sono nozioni da settimana enigmistica. L’applicazione pratica è ben altro però, quando ci capita di dover pronunciare un termine medico particolarmente complesso, andiamo a leggere che cosa significa per dare un senso a quella parola nel recitarla. Quindi, a livello di nozioni abbiamo imparato tantissimo e sicuramente tutti noi sappiamo leggere gli esami del sangue meglio di prima. Ormai sappiamo che cos’è la bilirubina e sappiamo qual è il valore di riferimento giusto.
Rimaniamo su Rai1 ma cambiamo programma. Se dico Sanremo 2025, come si vedrebbe alla conduzione?
Solo se lo faccio con Pierpaolo Spollon. Io, Spollon e Giovanni Scifoni sennò niente (ride, ndr). Scherzo, presentarlo? Ma va, bisognerebbe essere affiancati forse da qualcuno che la televisione la sa fare. Personalmente delle incursioni al festival, come ospite, ho sempre fatte e sarebbe un piacere continuare a farle. L’invito a Sanremo non rifiuta mai e quando ho dovuto, in passato, è stato per per motivi personali molto gravi. E comunque anche da ospite solo Spollon e Scifoni.
Foto di Virginia Bettoja da Ufficio Stampa