Andrà in onda su Rai 1 dall’8 gennaio La Storia, serie tratta dal romanzo omonimo di Elsa Morante (edito in Italia da Giulio Einaudi Editore), diretta da Francesca Archibugi e con protagonista Jasmine Trinca. Il racconto di Elsa Morante è noto: siamo a Roma, alla vigilia della seconda guerra mondiale. Ida Ramundo, maestra elementare rimasta vedova, decide di tenere nascoste le proprie origini ebraiche per paura della deportazione. Un giorno, rientrando a casa, viene violentata da un soldato dell’esercito tedesco. Da quella violenza, nascerà un bambino, prima che la famiglia venga sconvolta dagli eventi della guerra.
Nei panni di Ida troviamo Jasmine Trinca. Un ruolo non semplice per l’attrice, che non nasconde la sua ammirazione per Elsa Morante. «Per me Elsa Morante, più che un nume tutelare, è un nume temibile. Per cui venirvi a raccontare di come ho costruito Ida mi fa aprire il terreno sotto i piedi. – dice Jasmine Trinca in conferenza – La storia era già tutto. Pensate che mia figlia si chiama Elsa e sono di Testaccio dove è ambientata una parte del racconto: da tutte le parti La Storia mi parlava. Quando mi è stato, con grandissima fortuna, proposto questo ruolo lo aspettavo da tutta la vita. Non dico mai questa cosa, ma Ida era mia».
E questo nonostante la «soggezione spaurita»: per la Trinca è stata anzi «una grandissima occasione per provare a raccontare La Storia con una voce femminile, perché spesso è raccontata dagli uomini». «Ida – continua – è una poveraccia, una disgraziata in soggezione che ha paura di stare al mondo: è bello che possa diventare epica. L’epica dei disgraziati e degli ultimi Elsa Morante la guarda con sconfinato amore. Come si faceva a non prendere parte, con molta umiltà, a tutto questo? Sono emozionata perché è un lavoro che ho sentito infinitamente. La strana attrice che sono ha fatto sì che qualcosa diventasse carne».
Sul personaggio di Ida, infine, Jasmine Trinca chiosa: «In qualche modo aveva un modo di sentire che non passava dall’intelletto, ma dal suo corpo. E il mio corpo è diventato quella cosa lì. Il suo racconto non è mai individuale, parla di una collettività e di come la guerra affligge i poveri sempre. Perché la guerra la fanno i potenti: è una banalità, ma non ce lo dobbiamo mai dimenticare».