Dalla ricerca della sintesi alla divisione delle anime acustica ed elettronica. È stato questo il percorso che Dardust ha deciso di affrontare in ‘Duality’, il nuovo doppio album in cui ogni disco è un emisfero cerebrale differente. Da una parte c’è, infatti, il puro virtuosismo emozionale al pianoforte e dall’altra la razionalità dell’elettronica, il tutto distillato di colori, immagini, evocazioni e fascinazioni che tanto traggono dalla Terra del Sol Levante.
“Il lavoro è iniziato due anni fa, durante la primavera”, ci racconta il compositore e producer. “Non a caso i giapponesi vivono quella stagione in un certo modo, ne hanno tanto filosofeggiato. C’è un corpus di simboli anche filosofico dietro a quello che significa la primavera, a partire dalla fioritura dei ciliegi che rappresenta un momento di meraviglia sul lato estetico ma che porta con sé anche un messaggio di fragilità, di vulnerabilità, di caducità delle cose”.
Ne consegue, dunque, che la sensazione è quella “di un approccio malinconico, bello sul lato emozionale, che un po’ è sempre stato sotto tutte le mie composizioni della trilogia”, prosegue Faini. “C’è sempre questa malinconia collegata a un senso di meraviglia. Credo che questo disco, sul lato del piano solo e dell’emisfero destro, svisceri proprio questa parte. È un disco che è nato con due approcci diversi”.
Due dischi per due anime
Una separazione programmata e programmatica, dunque, ha definito il perimetro musicale in cui Dardust si è mosso consapevole dei margini. “Nel piano solo, lavorando con Taketo Gohara, abbiamo messo dei limiti. Ovvero usare solo il pianoforte senza complicare le composizioni ma lasciarle pure e dirette come sono nate dal cuore, senza sovrastrutture razionali”, prosegue Dario. “Nella parte elettronica, al contrario, non ci siamo dati dei limiti: sono stato libero di lavorare da solo, di mettere la mia visione, tutti i colori dagli Anni Sessanta, Settanta e Ottanta”.
“Ci sono davvero tanti riferimenti e non c’è una geografia esatta, una bussola o una mappa creativa. È un lavoro assolutamente libero di viaggiare nello spazio e nel tempo. La scelta di fare questa divisione?”, aggiunge l’artista. “Beh, per fare qualcosa di nuovo e inedito, per indagare un approccio nuovo per me che fosse curioso e mi desse un po’ di adrenalina. Credo che rendere indipendenti queste due parti di me sia stato abbastanza terapeutico in genere e pionieristico per quella che è la mia visione”.
“Questa separazione è stata un limite che mi sono imposto all’inizio e, in questo limite, sono riuscito a far maturare, per quello che è il mio percorso, entrambe le anime che poi si ritroveranno sicuramente nei prossimi anni, in maniera più matura credo”.
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Ascoltando ‘Duality’, la percezione che se ne ricava è quella di un disegno di ambienti, come di una pittura sonora sinestetica che definisce visivamente le note. Succede così anche in fase creativa? “Sul piano solo si costruisce mano a mano. Cioè quando scrivo al piano non ho un’idea subito di un’immagine, a parte qualche brano come Petali e Dono per un addio. Invece, per l’elettronica mi devo dare un una visione, creare un’immagine o un racconto come fosse una sceneggiatura visionaria che mi accompagni nella creazione del brano sul lato dell’arrangiamento non avendo un testo. Quindi, l’aspetto visionario è fondamentale perché è legato anche al concetto di performance live, da cui questo disco non può prescindere”.
“Lo show sarà diviso in due atti”, anticipa Dardust. “Nel primo ci sarà il piano solo in maniera innovativa, sul lato della scenografia e del racconto teatrale. Nel secondo atto uguale, non sarà un concerto da producer perché la performance da musicista è sempre al centro della scena. Ogni brano sarà un quadro sul lato visivo della messa in scena e ognuno sarà diverso dall’altro, come in un viaggio”.
Dal Giappone alla Notte della Taranta passando per Sanremo
Lo sfondo di ‘Duality’ ha una profonda matrice nipponica, frutto di una fascinazione almeno ventennale. “Mi sono avvicinato vent’anni fa ormai al buddismo giapponese, con il quale non sono stato sempre costante, devo dire. Ci sono, però, dei concetti legati all’immaginario spirituale che mi appartenevano già senza saperlo, come il concetto del nintai, della spada nel cuore, il fatto di perseverare con pazienza nel raggiungimento delle cose anche se hai una spada conficcata dentro. E poi, il concetto del kintsugi, del non coprire le ferite ma di esaltarle mettendoci dell’oro, che può essere la musica, per creare nuova bellezza e una nuove identità di sé”.
“Credo sia stato inevitabile che questo mondo faccia da background, da sfondo alle composizioni”, osserva il compositore. “L’unico peccato è non essere andato in Giappone per la pandemia, ma spero di farlo a breve”.
A scandire il lavoro di Dardust è una routine rigorosa e severa, divisa tra studio e produzioni. E parafrasando una commediola viene da chiedersi come faccia a fare tutto… “La mia giornata parte alle 7 del mattino e poi è cadenzata da tante cose diverse fino ad arrivare alle 9 di sera, prima di quell’ora non riesco a riposarmi”, si risponde sorridendo. “Nell’ultimo anno, poi, il weekend non esiste e questo mi pone delle domande a questo punto del mio tracciato creativo. Vorrei semplificare un po’ e dedicarmi di più solo ad alcuni aspetti e farli maturare di più”.
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“Sono a un punto in cui è una questione di dove voglio andare e di quello che mi fa stare bene”, continua. “Sicuramente al centro di me adesso non c’è più, o forse non c’è mai stata, la voglia di essere presente e non sono più legato ai numeri. Non faccio le cose per compiacere qualcuno o un certo target di pubblico per posizionarmi chissà dove. Lo faccio perché sento che è qualcosa che mi fa stare bene; e questa è l’unica bussola che mi guida adesso. Questa cosa fa sì che tolga dallo scaffale le cose non necessarie, anche se portano denaro o successo certo”.
“Per dire, in questo passaggio ci si potrebbe aspettare che io faccia il disco di featuring mettendo tutti gli artisti e le belle canzoni. Le so fare, ma non è la cosa che voglio perché non è la mia visione principale. Quindi credo ci sarà un cambiamento a fine 2023, dopo aver rispettato tutte le varie tabelle di marcia”. Immancabile un riferimento al Festival di Sanremo: “Di mio ci sarà molto poco, devo dire, quest’anno ho avuto la notte della Taranta, le Olimpiadi, il concerto nel deserto, Eurovision… insomma, troppe cose che mi hanno riempito e dato tanto. Non è detto che non sia presente, perché qualcosa ci può essere però non certo in maniera massiva come negli anni passati”.
Infine, l’ultimo commento è sull’esperienza di maestro concertatore alla Notte della Taranta 2022. “Non posso escludere che il mondo della pizzica possa entra nella mia musica, ci sono dei temi meravigliosi”, risponde. “E ne capisci la visceralità, la potenza emotiva solo fruendoli lì, nella relazione tra il pubblico e i musicisti perché è lì che si accende tutto. Come esperienza è stata totalizzante, perché in ogni cosa che faccio devo fare la differenza se no non la faccio”.
“Ho avuto tanto timore perché avevo un grande rispetto di quel mondo, sapevo che dovevo rispettarlo dando valore a ogni singolo passaggio, dalla scelta dei brani all’arrangiamento, dai cambiamenti di accordi agli orchestrali per fare in modo che fosse un viaggio comune. Tutti eravamo alla pari ed è stato bello per questo. Rifarlo? Nel prossimo anno sicuramente no perché sono in tour e in ogni caso forse avrei declinato. Dopo tanto lavoro così viscerale sui singoli pezzi, devo mettere tutto un po’ nel congelatore prima di potermi riapprocciare in maniera più nuova ai pezzi. Quindi effettivamente un anno di pausa ci sta”.
Foto da Ufficio Stampa MA9PROMOTION