Sventura e avventura, fallimento e rinascita, fede e libertà: la regista e protagonista di ‘Marko Polo’ racconta il suo nuovo progetto.

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Da una sventura può nascere un’avventura straordinaria, come un’araba fenice. È questo il cuore del nuovo progetto cinematografico di Elisa Fuksas, Marko Polo (Fandango e Indiana Production). Un film “de generis o sui generis che viene dalle ceneri di un film che non esiste, per cui neanche ne esistono le sue ceneri. – spiega Fuksas – Però, dalle intenzioni, sicuramente c’è un film su Dio e si ritrova a essere un film sul fallimento e sulla fede”. Perché proprio dal fallimento nasce una crisi profonda.

Ma “una sventura può diventare un’avventura se hai qualcuno intorno – ci racconta ancora la regista e protagonista – C’è bisogno del contesto, di relazione, e per questo ci sono quattro protagonisti e non una. Marko Polo ha una serie di storie precedenti sedimentate, dal momento che erano quattro anni che scrivevo con Elisa Casseri. Questo film che ha preso tantissime strade, è stato tantissime cose: commedia, dramma, documentario, a capitoli”.

Marko Polo
Immagine da Ufficio Stampa

“In questo senso, nel risultato, è rimasta una memoria, quindi quello che vedi è una varietà cangiante che non si riesce mai a fermare. – continua Fuksas – Perché, effettivamente, racconta il processo di costruzione di una storia che poi non è mai stato portato a termine. Ma è rimasto, e vive, in questo rigoroso viaggio verso un posto dove non arriveremo mai”.

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Oltre a fallimento e rinascita, c’è almeno un altro binomio che sostanzia la narrazione: fede e libertà. Come possono convivere? “È difficilissimo perché tutto dice il contrario, nel senso che devi capire un po’ la posta in gioco e a cosa ci riferiamo. Se la fede è quello che ti lega al mistero, quello che muove tutto, io credo che ne valga la pena. E credo che ne valga la pena perché, appunto, ti dà la libertà”.

“Come dice la cantante Maria Antonietta all’interno di un suo intervento nel film, Dio è quello che è dentro e quello che è fuori. – conclude Elisa Fuksas – Solo che noi, spesso, ci siamo sbagliati perché spesso ci ha ricordato un principio di obbedienza. Invece era un principio di libertà: Gesù era un grande rivoluzionario”. 

Immagini da Ufficio Stampa