Scommettere sui giovani, alimentarne la curiosità e difenderli dalla velocità del mondo di oggi: Filippo Sugar ci racconta l’impegno di Sugar.
Nel panorama musicale italiano e internazionale, le etichette indipendenti rappresentano un baluardo di creatività e libertà artistica. Tra queste spicca Sugar, guidata con visione e passione da Filippo Sugar, erede di una tradizione familiare che ha saputo rinnovarsi senza mai tradire le proprie radici. Sugar è molto più di un’etichetta: è un laboratorio di idee, un punto di riferimento per artisti che cercano autenticità e uno spazio dove esprimere al massimo il proprio talento.
Con un catalogo che abbraccia artisti emergenti e nomi di fama consolidata, Sugar sostiene la diversità musicale e lavora per esportare l’arte italiana nel mondo. Proprio per raccontare cosa succede ‘dietro le quinte’ di un progetto musicale, la label ha aperto le porte della sede milanese durante la Milano Music Week 2024. Con l’AD del gruppo Sugar abbiamo parlato di quali sono le sfide dell’indipendenza nell’industria musicale oggi e di come difendere la creatività artistica in tempi che corrono sempre più veloci.
Come nasce la proposta di Sugar Open Doors e che tipo di risposta avete avuto?
Devo dire che è una cosa bellissima, nata dal tema discografico, che facciamo già da qualche anno, proprio all’interno della Music Week. È sempre molto bello vedere i ragazzi curiosi di conoscere quest’industria poter venire nei nostri uffici e parlare con le persone che fanno diversi tipi di lavoro. Per questo abbiamo pensato a una sezione legata alle attività più tecniche, quindi parte amministrativa e legal. E poi una parte più legata al mondo creativo del marketing. Siamo andati sold out in pochissimo tempo, cosa che ci fa molto piacere e sicuramente ci stimola a pensare di fare anche altre cose durante l’anno. C’è un forte interesse, e questo è molto positivo.
Che tipo di preparazione, o impreparazione, avete trovato nei giovani che vogliono lavorare nell’industria musicale e in generale creativa?
Intanto, c’è una grandissima curiosità. Io, che ormai ho qualche anno in più, capisco che è un atteggiamento di questi ultimi anni e mi fa molto piacere. Quindi l’industria è, sicuramente, attraente per i giovani ed è essa stessa un’industria giovane. Per esempio, noi abbiamo una percentuale di ragazzi sotto i 30 anni che lavorano nella parte discografica di editoria musicale che sfiora il 50%. Oltre ad avere una percentuale di donne all’interno dell’azienda Sugar che è di gran lunga maggioritaria rispetto agli uomini.
LEGGI ANCHE: — Sanremo 2025, Carlo Conti svela il cast: ecco i big in gara
La nostra è un’industria, credo, che accoglie i giovani e accoglie la diversità, ed è attraente. Quindi noi dobbiamo raccontarci meglio perché effettivamente non ci sono scuole che insegnano a fare questo lavoro. Certo, ci sono corsi post universitari che aiutano ma non c’è nulla come l’esperienza o il contatto diretto per imparare. Anche per questo, oltre agli open day, durante l’anno abbiamo un programma di stagisti che utilizziamo appieno e spesso gli stagisti diventano poi i nuovi team member della Sugar.
Cosa significa puntare sui giovani dal punto di vista artistico, invece? Che cosa cercate da questo punto di vista?
Non conosco la risposta, la cerchiamo tutti i giorni rimanendo bastanza agganciati a un percorso anche storico. Per esperienza, posso dire che le cose veramente forti sono inequivocabili e sono unanimi, cioè quando arrivano sul tavolo si riconoscono. Poi, la verità è che i grandi successi, se torno indietro con la memoria, sono stati subito abbastanza evidenti. Quindi, secondo me, dobbiamo noi migliorare la nostra capacità di ascolto e non rimanere ancorati soltanto su Milano, cosa che non è facile da fare. E poi, dall’altra parte, credo che gli artisti che emergeranno sono gli artisti che hanno effettivamente qualcosa da dire, che sono diversi e originali. Qualcosa che non c’è già perché il rischio nel nostro mondo è quello di seguire quello che già esiste. Invece noi dobbiamo esplorare quello che non c’è.
Proprio da fuori città, del resto, arrivano alcuni dei giovani talenti più promettenti, da Madame e Sangiovanni fino ai Negramaro.
Io sono convintissimo, lo dico in tante occasioni, che la provincia può essere un grande vantaggio perché, per chi ha una passione molto forte come nel caso degli artisti, consente di approfondire. Concede il tempo per andare in profondità e imparare delle skills in maniera molto dettagliata, le stesse che poi formano anche l’identità e l’originalità degli artisti, temprandoli. Come se ci fosse un periodo di ricerca, gavetta e fatica che diventa molto positivo per la carriera. La città, per assurdo, distrae molto di più: apre molti scenari ma distrae e, quindi, molto spesso i talenti della musica nascono in provincia. Succede da sempre ed è un trend che si mantiene; l’errore che facciamo tutti, noi compresi, è non riuscire ad andare noi ad ascoltare ma partire dal presupposto che tutto deve arrivare qua. Ecco, penso che una cosa che dobbiamo migliorare è questa.
I social hanno cambiato il vostro approccio di ricerca?
Sono appena tornato da Londra, dove ho incontrato alcuni A&R molto giovani, che mi hanno detto chiaramente che non partono mai da mondo social. Loro vanno soltanto a vedere band e artisti suonare dal vivo, e questo mi ha colpito. Penso che sia un segno di evoluzione rispetto a quello che abbiamo avuto negli ultimi anni e penso che sia sempre da conservare un approccio aperto. Dobbiamo essere incuriositi dai social, perché a volte le cose si manifestano lì, e bisogna tenere le antenne attente su quello però non dimenticarsi che quando vedi un artista dal vivo capisci molte più cose.
Giovani e salute mentale, un tema delicato.
Già, è un discorso molto importante che è stato molto sottovalutato e che, in parte, è anche dovuto ai talent come acceleratori. Ma appartiene anche al mondo generale, oggi molto veloce. Consuma tutto in fretta. Non ho una soluzione perché non è facile cambiare il mondo, quello che penso si possa, e si debba, fare è creare sempre un legame empatico, personale e diretto con l’artista. Questo anche per riuscire a cogliere i segnali e accompagnare questi artisti, che spesso sono ragazzi molto piccoli, in un percorso di crescita.
Foto da Ufficio Stampa