I Sud Sound System (Nando e Fabio) ci raccontano il nuovo album ‘Intelligenza Naturale’. La nostra intervista.

Si intitola Intelligenza Naturale il nuovo album dei Sud Sound System, la band salentina pioniera del raggamuffin e del dancehall style. Nel disco – che indaga sul rapporto tra natura e tecnologia – troviamo featuring con Alborosie, Negramaro, Guè, Ensi, Puccia e Antonio Castrignanò. Ne abbiamo parlato con Nando Popu e Terron Fabio.

Intelligenza Naturale fa subito pensare a un album molto attuale. Cosa ha ispirato, esattamente, questi brani?
Nando Popu: «Stare sul pezzo, era quello soprattutto l’intento. Anche perché la nostra riflessione è basata solo sulla musica, da musicisti. Oggi si parla molto di far entrare l’intelligenza artificiale nella composizione musicale e in quella del testo. È una cosa che mi fa rabbrividire. Ci insegnano già a scuola che la musica è espressione dell’anima, che ha un livello di astrazione che va oltre la razionalità e che cerca di trovare empatia nelle persone che ti circondano. Pensa a noi che cantiamo in salentino e cerchiamo di farci capire da chi il salentino non lo parla. La musica è questo: sono momenti e sensazioni che, con le parole, creano un’alchimia».

Niente a che vedere con l’Intelligenza Artificiale, insomma.
N.: «La musica è una medicina. Cura la gente, ma anche l’artista. È un’introspezione che espandi fuori di te. Traumi e situazioni attraverso la musica si riparano, le ferite si curano. E se qualcuno ha passato gli stessi momenti tuoi, si riconosce. Se non è così, partecipa alla tua visione. La partecipazione è musica, la musica ci fa incontrare e per questo deve essere vera. Una canzone può essere brutta o bella, ma il gesto è sempre quello di tentare di curarsi. Te lo dico da salentino, perché la pizzica ci ha insegnato questo: il veleno non era mai il ragno, ma la società. Le tarantate erano soprattutto donne perché erano l’ultima ruota del carro. Facevano solo figli e lavoravano in campagna subendo violenze. La pizzica ha salvato persone quando non c’erano Freud e lo Xanax. E la musica deve essere così sempre».

I Sud Sound System e l’Intelligenza Naturale della musica

Credi sia in parte un discorso generazionale?
N.: «No, non parlo da boomer! Ma ai ragazzi vorrei dire che, se vi affidate a questi archetipi di intelligenza artificiale, perdete un appuntamento con la vita. In realtà sono l’industria musicale e i manager a pretenderlo, perché vogliono il tormentone e i featuring. Eppure noi i featuring li abbiamo sempre fatti e continueremo a farli perché proveniamo dalla jam, dove c’era solo un microfono e otto rime. Purtroppo molti danno la colpa ai ragazzi, ma il problema sono i produttori e i manager che fanno filtro. Se parli di rivoluzione, ti dicono che hai rotto e i giovani ripiegano sull’outfit. Che poi, davanti a ragazzini figli di operai e proletari, come fai a mostrarti con un outfit da 10mila euro? Devi avere coscienza. I produttori producono ‘ste robe e a noi facevano problemi per Erba Libera».

Questo album, infatti, in un certo senso è anche un manifesto: è importante anche il percorso di un artista.
N.: «Ci abbiamo messo sette anni a farlo. C’è stato un periodo in cui abbiamo fatto tanti album e i numeri non ci mancavano. Poi, dal 2021, abbiamo fatto tantissimi concerti. Puoi vivere anche di rendita e, a volte, se fai troppe produzioni rischi di sovrapporti a te stesso, di citarti addosso. Questo tempo però ci è servito per capire i nuovi timbri musicali e a stare insieme ai giovani. Non dobbiamo dire che la musica dei giovani d’oggi non serve a niente. Trincerarsi nei luoghi comuni non serve né a noi né ai giovani. Abbiamo studiato i suoni, mentre il linguaggio è sempre quello: un dialetto tranquillo. Anzi, godiamo del fatto che il dialetto viva anche attraverso le nostre canzoni. Entrano addirittura nelle scuole».

Tipo?
N.: «Le radici ca tieni è ormai un Ave Maria e viene cantata in tutti i saggi di fine scuola, dall’asilo alle superiori. È una cosa bellissima perché ai ragazzi parli di identità antirazzista, che è quasi un ossimoro. Parliamo di cultura e ci opponiamo a un mondo che vuole globalizzare e appiattire. Invece la diversità è bio e fa bene, va accettata».

La ricerca sonora dell’album

Com’è andata, infatti, in studio? A proposito di ricerca sonora.
Terron Fabio: «Diciamo che a volte abbiamo toccato sponde nuove, ma altre ci siamo ritrovati in sonorità che hanno rappresentato un’epoca. Per il singolo TQP siamo partiti, ad esempio, da una stesura di chitarra che ci riportava indietro alla Motown e al funk. Da lì è partito il breakbeat che rappresenta poi tutta l’andatura e lo sviluppo del flow dei cantanti presenti. Concepiamo gli strumenti, il tempo e il mood da usare con le note con lo scopo di convincere di più e rendere meno duri concetti forti. Tutto viene di pari passo insieme alle melodie. Va anche detto che ci serviamo di chitarristi del calibro di Gino Semeraro, Garofalo, Papaleo, il bassista Leo Klaus Cannazza: sono intervenuti man mano che cresceva il progetto. Le produzioni sono digitali, ma poi le abbelliamo con suoni più grezzi, originali e acustici in base alle scelte».

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Ad esempio, su Panza Vuota Mente China cosa potete dirmi?
F.: «Abbiamo chiamato Ras Hunza, un nostro amico che suona l’handpan. È uno strumento svizzero che credevo fosse indiano. Fa comunque parte di una sonorità che è nel brano, da cui abbiamo loopato un giro di 8. Da lì sono nati il concetto e la motivazione del testo. Cantiamo dei problemi dei nostri ragazzi che si fanno un mazzo così, soprattutto qui al sud. I problemi cambiano, ma sono sempre gli stessi. L’intento di far migrare la gente è ancora molto forte nei politici. Noi diciamo alla nostra gente che qui si può fare tanto, proprio come noi che siamo partiti da zero».

Il potere del Salento

Vi sentite apripista in questo senso?
N.: «Chi avrebbe scommesso un centesimo sui salentini di strada? Noi ora andiamo anche nelle scuole a dire ai ragazzi che bisogna mettersi in gioco e avere coraggio. Anche perché oggi i lavori sono cambiati, non esistono catene di montaggio e bisogna inventarsi. L’esempio serve e lo devi usare. Oggi anche il web ti aiuta, è una vetrina. Invece di andare ai talent, usate questi strumenti! Noi i computer li usammo perché risolvevano tanti problemi. Oggi i mezzi li hai, serve avere coraggio. Purtroppo tutto il mondo è Sud e, a dirla tutta, mi sento meno terrone di tanti anni fa. Quando vai all’estero incontri siciliani ma anche bergamaschi: dall’Italia stanno fuggendo tutti».

La musica salentina, negli ultimi anni, è comunque in prima linea.
F.: «Negli ultimi anni i top artist sono pugliesi, se non salentini. Molti sono nostri amici e suonano per artisti famosissimi. Aver iniziato questa tradizione musicale in Salento quando non c’era attenzione ha dato sfogo e linfa. Con tutti loro ci ritroviamo insieme nei dischi e ne siamo fieri».
N.: «I Negramaro, Antonio Castrignanò e Puccia rappresentano tre mondi diversi. I Negramaro fanno gli stadi, mentre Castrignanò arriva dalla Notte della Taranta e gira il mondo con un messaggio antico ma rinnovato. Puccia, infine, arriva dai palchi dei club ma parte dalla campagna. Sono tre dimensioni stupende. E poi ci sono Emma, Alessandra Amoroso… Abbiamo aperto una porta da cui è uscita una folla di artisti che ci inorgoglisce. Anche se ci chiamano zii». 

Quale direste che è la vera forza dei Sud Sound System?
N.: «Secondo me essere fedeli alla terra e alla vita. Ci dicevano Trasferitevi a Milano, ma io che canto in dialetto lì sarei un pesce fuor d’acqua. Devo stare qua anche a rompermi i coglioni d’inverno. È la normalità e per me è una missione: rappresentiamo il Sud e dobbiamo cantare questa terra. Ognuno ha i suoi mezzi e deve portare avanti la propria storia».
F.: «Il fatto di aver scelto di fare la nostra musica in Salento, a casa, ci permette di rimanere tra la gente e guardare le loro problematiche da vicino. Tutto ci ispira e cerchiamo di rimanere sempre con i piedi per terra. Cerchiamo ogni giorno di fare cose belle e nuove, che appartengono alla gente. Vogliamo fare del bene attraverso la musica».

Torno ai featuring, perché vorrei chiedervi anche di Gué e Ensi.
N.: «Parte tutto da amicizia ed empatia».
F.: «Per noi è un motivo di orgoglio avere questi artisti nel disco. Con molti di loro avevamo già progetti in passato mai realizzati, ma solo perché non era il momento giusto. Le cose si incontrano con il tempo giusto e con la musica che rappresenta il tempo in cui si fanno».

I vostri album, in un certo senso, mi sembrano sempre senza tempo anche se spesso sono molto politici. È la cifra dei Sud Sound System?
N.: «Noi sapiens siamo sempre uguali a noi stessi. Sostituisci la clava con il telefonino, ma le necessità ci spingono a vivere in questo modo. La musica cambia, ma è sempre quella. I suoni ci arrivano dalla terra, dal mare e dal vento. Ti trovi intorno dei suggerimenti che magari si rinnovano. Oggi esistono suoni virtuali che migliorano semplicemente le macchine degli anni ’80».
F.: «Questa è l’intelligenza naturale per noi. Ciò che diventa artificiale proviene da un senso naturale dell’uomo e natura».
N.: «L’IA usatela per scopi scientifici, va benissimo. Anche per i computer dicevamo sempre che dipende dall’uso che ne fai. Dobbiamo fare in modo che l’IA faccia il suo corso senza sostituirsi alle menti. Cosa che succede già nell’industria musicale».

Un’ultima domanda sulla dimensione live. Cosa rappresenta per voi?
N.: «I live sono la medicina, ti curi insieme alle persone. Noi suoniamo ovunque, ma la provincia è bella e sana. È calda, vuole vivere. Prova tu a riempire una piazza! La gente esce di casa e nelle piazze si conosce. La provincia è l’antidoto verso un mondo che sta diventando un villaggio globale».