Dal 28 agosto nelle sale cinematografiche torna il cinema di Ti West con MaXXXine, terzo capitolo targato A24 della trilogia horror diventata un cult. Protagonista ancora una volta la straordinaria Mia Goth che torna ad interpretare la sensuale Maxine Minx. A dieci anni di distanza dai sanguinosi avvenimenti del primo episodio, Maxine cerca ancora di inseguire il suo sogno di diventare un’attrice porno nella Hollywood degli anni ’80.
Abbiamo incontrato Ti West in occasione della sua promozione del film a Roma, che lo ha portato ad incontrare il pubblico in diverse sale della capitale. Pubblico come quello del cinema Troisi, in cui tantissimi ragazzi si sono contesi il microfono per riuscire a fare una domanda al regista, che con grande semplicità e disponibilità non si è sottratto a nessuna risposta.
Gentilezza e professionalità che abbiamo riscontrato anche durante la nostra intervista. Scrittore, regista montatore anche in questo nuovo lavoro dalle spettacolari atmosfere anni ’80, West ha lavorato come un artigiano curandone regia, montaggio e scrittura. Non solo, piccolo spoiler. In una delle scene si vede una mano con guanto nero: è la sua e non quella dell’attore.
«Il motivo per cui faccio tutti e tre i lavori è che in questo modo mi sembra di fare cinema. – ci dice – È come avere un’idea per un film, scriverla in modo che la gente possa capire la tua idea e poi dirigerla, perché questo era l’obiettivo iniziale. Poi lo si dirige con l’intenzione di come dovrebbe andare insieme. Infine, con il montaggio, si ricrea quell’intenzione. Quindi tutto nasce dalla stessa idea di quando hai pensato alla scena nella tua testa. Solo che ci sono molti passaggi lungo il percorso per coinvolgere il numero di persone che servono per realizzarla».
Ti West e MaXXXine: la fase di montaggio
In fase di montaggio, quale lato predomina? Quello del regista che magari si è affezionato ad una scena per come è stata girata e per come è stata interpretata, o quello del montatore in grado di analizzare in modo più oggettivo il materiale e valutare se un particolare momento vada tenuto o eliminato?
«Di solito quando sono al montaggio, sono piuttosto duro con il film. – ci risponde – Cerco di guardarlo dalla prospettiva del qui e ora: non importa come ci siamo arrivati, qual è la versione più efficace che possiamo trarne? Ma ci sono ci sono casi in cui sono emotivamente o personalmente legato a qualcosa che mi piace e magari vorrei lasciarla lì dov’è anche se non si adatta al film come potrebbe».
«Sono sicuro che ci sono momenti in cui penso: Sì, ma quella cosa mi piace troppo e voglio che faccia parte di questo film – aggiunge – e so che magari qualcun altro potrebbe dire: Oh, la toglierei perché non ha importanza. E credo che probabilmente ci siano anche momenti in cui tolgo dal film cose che per me non sono state all’altezza di ciò che speravo, ma che qualcun altro potrebbe trovare giuste. Ma ad essere sinceri, sono piuttosto spietato fin dall’inizio!».
La saga
Una grande determinazione e una visione chiara di ciò che vuole creare che lo ha portato alla realizzazione di MaXXXine, terzo capitolo di una saga che non era nata come tale, a partire dal suo primo film: X: A Sexy Horror Story.
«X è stato un film che ho scritto perché erano 10 anni che non facevo un film horror. Sentivo che forse era arrivato il momento di farne uno. Stavo pensando a ciò che mi piaceva dei film horror, o dei film in generale. Perché fare un film a volte è come un trauma lungo due anni, ti prende davvero la vita. Pensavo che i film dell’orrore, sicuramente negli Stati Uniti, erano diventati piuttosto morbidi e nessuno stava facendo qualcosa che fosse come i film slasher, che contenesse sesso e violenza. La gente era molto cauta, se non altro. Allora ho pensato che ci fosse un vuoto e qualcuno lo avrebbe riempito. Così ho iniziato a pensare a quale sarebbe stata l’idea che avrebbe potuto riempire quel vuoto. Poi ho pensato a ciò che mi piaceva dei film».
«Per me – continua – il mestiere del regista è una parte importante ed è nata così l’idea del film nel film, con i personaggi che cercano di realizzarne uno. In questo modo ho potuto mettere all’interno molto del mio mestiere, ma anche far si che il pubblico si relazionasse con i personaggi stessi. Questo processo si è poi trasformato in quello che è diventato X. Siamo andati in Nuova Zelanda per le riprese, c’era il Covid, e ho pensato a quanto eravamo fortunati in quel momento e che avremmo dovuto continuare e non fermarci. Così ho proposto l’idea di Pearl alla A24, a loro è piaciuta e l’abbiamo scritta nelle due settimane di quarantena. I due film sono stati girati uno dietro l’altro. E l’idea era: Se questi film funzionano, un giorno ne faremo un terzo. Ed eccoci qui!».
Ti West e il mestiere di cineasta
Ma qual è stata la scintilla che lo ha portato a diventare un cineasta? «Ho sempre guardato film, ma senza pensare molto alla possibilità di farli. – ci risponde – Era una cosa che faceva la gente di Hollywood. Non avevo la minima idea di come si facessero i film. Negli anni ’90, durante la mia adolescenza, c’è stato un vero e proprio boom del cinema indipendente, soprattutto negli Stati Uniti. Era bello che ci fossero persone che facevano film a basso costo, al di fuori del sistema degli studios. Film più artistici e anti-commerciali che sono diventati una sorta di genere a sé stante. Ed è allora che ho cominciato a vedere il cinema come qualcosa che, in realtà, la gente faceva. Anche se non piaceva all’industria».
La democratizzazione del cinema
«Allo stesso tempo – prosegue – i film horror mi sono sempre piaciuti e, quando mi sono interessato al cinema, ho iniziato a guardarli dal punto di vista della regia. Ho iniziato a pensare a come un film come Evil Dead (di Sam Raimi, ndr) fosse stato realizzato da un diciannovenne nei boschi. A Bad Taste di Peter Jackson realizzato con i suoi amici nei fine settimana. E ho iniziato a pensare: Oh, le persone possono farlo. Non è qualcosa che l’industria fa e che deve permetterti di fare. Si può semplicemente uscire e farlo. E così è diventato un momento di democratizzazione e mi è sembrato realizzabile».
A scuola poi un corso di storia del cinema, in cui i film venivano affrontati da un punto di vista più intellettuale, gli ha fatto scoprire che esitano metafore, simbolismi, ragioni tecniche per cui un film viene girato in man modo piuttosto che in altro. E questo lo ha portato a pensare ai film a qualcosa diverso dal puro intrattenimento e ha messo in moto quella passione che lo ha portato a diventare uno dei registi più apprezzati e amati.