Nell’antichità si credeva che il mondo dei morti fosse in qualche modo legato a quello dei vivi, e che ci fossero delle porte dell’Inferno che ne permettessero l’accesso. Sarebbero sette i punti di accesso, uno dei quali si trova tra Pozzuoli e Bacoli.
Secondo alcuni quello descritto da Virgilio nel sesto libro dell’Eneide è l’antro della Sibilla di Cuma: la porta dell’inferno che Enea varca per andare a trovare il padre Anchise e chiedere lui consiglio. Inferno che lo scrittore pone nel Lago d’Averno.
È da l’un canto
Virgilio, Eneide libro VI
Dell’euboïca rupe un antro immenso
Che nel monte penètra. Avvi d’intorno
Cento vie, cento porte; e cento voci
N’escono insieme allor che la sibilla
Le sue risposte intuona.
Un antro scavato nella roccia e con cento aperture quello descritto nel 19 a.C da Virgilio. Ed in effetti l’antro della Sibilla di Cuma è proprio così. Si tratta di una galleria lunga più di 130 metri scavata interamente nel tufo, con moltissime aperture su un lato da dove filtra la luce. Nei bracci trasversali di questo immenso corridoio, si trovano poi delle cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Secondo la tradizione, qui la Sibilla faceva i suoi oracoli. L’opera è stata realizzata tra il VII e VI secolo a.C. ed è stata scoperta dagli scavi archeologici condotti nel 1932.
Probabilmente questo corridoio era un tunnel militare di difesa, che doveva collegare Cuma con gli altri punti strategici lungo la costa. All’ingresso dell’antro, sono state poste due lapidi dove vi sono incise le parole di Virgilio.
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