È senza dubbio l’album più atteso della stagione dopo i risultati raggiunti nei mesi scorsi. La corsa di Angelina Mango, iniziata con la partecipazione ad Amici, è diventata una maratona in cui ogni tappa regala successi e soddisfazioni. Un raro caso nel quale i numeri si accompagnano a sostanza e qualità. Dal 31 maggio è disponibile il primo album della giovane artista già impegnata sui palchi italiani ed europei e con un’estate live davanti a sé che più ricca non potrebbe essere.
E proprio di ‘ricchezza’ è pieno il nuovo progetto, che non a caso si intitola ‘pokè melodrama’ (LaTarma Records, distribuito da ADA Music), a indicare una congerie di suoni, ispirazioni, affetti e attitudini che raccontano lo spirito camaleontico di Angelina.
Come ti senti in questo momento così denso di impegni?
Sono molto emozionata per questa uscita proprio perché, dopo un anno pieno di cose giganti, mi serviva far uscire un lavoro che comprendesse tutto di me. Quasi una presentazione. Nonostante tutto sono appena arrivata e non volevo lasciare nulla a casa. Da qui il titolo con il termine poké, perché è un album pieno di tante cose diverse che sembrano non c’entrare niente l’una con l’altra. Ma alla fine hanno un senso. È il mio diario segreto di dodici mesi mostrato alle persone che hanno visto quello che succedeva attorno ma non quello che succedeva dentro di me. Ne sono fiera e so di non avere rimpianti rispetto a questo progetto. Ho detto e dato tutto.
In questo ‘poké melodrama’ in effetti hai messo tante cose, sia nei suoni sia nei temi. Da dove nasce questo bisogno di varietà?
Non c’è stato niente di pianificato nella scrittura, è stato tutto molto spontaneo e la cosa che mi piace esca è il fatto che non riesco a incasellarmi in un genere unico. Mi piace sperimentare. Ogni volta che entravo in studio, non avevo idea di cosa ne sarebbe uscito e di cosa avrei fatto. All’inizio non avere una linea mi sembrava fosse un problema ma ho capito che poteva essere la forza di questo album, non rientrare in un sound preciso. Ho avuto possibilità di fare sessioni con artisti, produttori e autori diversi che non conoscevo e credo che questa connessione diversa abbia portato a una condivisione e a uno scambio di idee molto bello.
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C’è qualcosa che per forza di cose è rimasto fuori?
No, in realtà devo dire che tutto quello che ho ancora nel computer magari resterà lì magari no. Ma non ho fatto scelte dolorose.
Nelle tracce c’è tanto autobiografismo, comprese le ferite.
Se non parlo di qualcosa è perché non ne sento l’esigenza, non credo ce ne sia bisogno. Fino ad ora molti argomenti non li avevo toccati non per paura delle ferite ma perché appunto non pensavo servisse. Quest’anno, però, mi sono resa conto che il mio punto di vista poteva essere importante ed era essenziale raccontare il mio passato comprese le esperienze più difficili. E quando racconto di qualcosa, devo farlo completamente, devo dire tutto. Non faccio giri parole, ci vado dritto perché è anche catartico. Ammetto di avere un po’ paura perché sono cose molto intime ma se non sono vera non mi sento a posto con me stessa.
E c’è anche tanta famiglia, a partire da tuo fratello.
Sì, in questo disco ci sono dolcezza e dichiarazioni d’amore. Per mio fratello e in generale per le persone che amo. Credo che ci siano canzoni che resteranno contemporanee a me per il loro messaggio. Tante volte mi chiedono perché la mai generazione parli spesso di traumi e disagi; ecco, io penso che la mia generazione sia molto libera di esprimersi quindi è normale, e giusto, parlare di ferite così come dell’essere innamorati, dell’amore libero, di uguaglianza. Siamo una generazione che non si nasconde, mi piace presentarla così.
A proposito di produttori, come li hai scelti? E come sei riuscita a dare coerenza al progetto?
Alcuni li conoscevo, come Giorgio Pesenti con cui ho già lavorato e Antonio Cirigliano che è anche mio partner di vita. Con lo roro avevo già anche un rapporto lavorativo. Con Andry, invece, ci siamo conosciuti direttamente in studio e c’è stato subito feeling, come con Villabanks. La cosa che unisce tutte queste mani è il fatto che a me piace seguire ogni step: scrittura, registrazione, arrangiamenti e produzione. Quindi, io e Giovanni Pallotti siamo stati la costante di questo viaggio per dare un minimo di omogeneità. E sì, sono una perfezionista.
E la scelta delle collaborazioni, invece, come è nata?
La scelta in realtà non è mai proprio avvenuta cioè non c’è stato un momento in cui l’abbiamo pianificata. Più che altro come, per le sessioni, la maggior parte sono nate spontanee e alcune da semplici messaggi su Instagram. È così, per esempio, che ho conosciuto Dani Faiv. Come dicevo, alla fine è bello quando vai in uno studio e non sai cosa succederà. Con Bresh, per dire, pensavo che sarebbe nato un brano più urban invece ne siamo usciti con una cosa black, è stato un viaggio bellissimo.
E poi c’è Marco Mengoni che mi ha regalato forse la più grande giornata in studio di sempre. Ogni volta che cantava tremavo come una foglia anche perché nel brano condividiamo un messaggio importante. È bellissimo dire siamo esseri umani uguali nelle nostre fragilità. Sono davvero felice di tutte queste collaborazioni e di tutte le cose che mi sono successe. Mi piacciono anche perché sono vere.
Nel duetto con Mengoni, in Uguale a me, dici io cambio idea e non ci riesco / a stare ferma e respirare / dentro convinzioni che a vent’anni fanno solo male. Di quali convinzioni parli?
Tutte le convinzioni a vent’anni fanno male. Un conto è avere una consapevolezza – e io mi sento consapevole di molte cose – però le convinzioni sono cose da cui non si scappa. Non ci fanno cambiare idea e io credo invece che, soprattutto a quest’età, sia lecito sbagliarsi, cambiare idea e non essere troppo testardi.
Sanremo, poi l’Eurovision e i palchi internazionali. Hai sentito pressione o comunque vivi questa pubblicazione con una certa da prestazione?
È più carica, mi viene da dire. Non riesco a sentire la pressione di queste cose belle che accadono. E non avrebbe neanche senso perché non mi farebbe godere a pieno di ciò che sta succedendo. Se arrivano certe risposte significa che le cose arrivano alle persone e se arrivano è perché sono stata sincera. Dopo anno così, ho pensato di fare un album che potesse piacere alle persone che mi stanno supportando. Penso che la musica sia davvero un linguaggio universale, e l’Eurovision lo ha dimostrato. Vediamo cosa succederà da qui in poi.
Proprio a fronte delle grandi esperienze che hai vissuto in così poco tempo c’è qualcosa che ti ha sorpreso di te?
Guarda, se penso agli ultimi tre mesi e a quello che ho fatto non pensavo che sarei riuscita ad affrontare tutto con tanta positività. Me ne sono accorta a Sanremo tanto che mi sembrava un gesto di ingratitudine non vivere tutto con l’entusiasmo necessario. Non mi aspettavo di riuscire a vivermela così bene, rimanendo così tanto nel presente. Il palco di Malmö, per esempio, lo ricordo in ogni secondo perché volevo viverlo al meglio perché non è detto che mi ricapiti più.
Ora inizia l’avventura live, estiva e poi nei club. Come sarà?
La cosa a cui tengo tanto è portare sul palco qualcosa che sprigionasse la stessa energia di brani come La noia e Che t’o dico a fa’ che infiammano i club, anche stando ferma con gli occhi chiusi. Penso che questo disco permetterà a me, alla band e al pubblico e band di sviluppare lo stesso tipo di intensità di una coreografa o show anche su brani molto intimi. E già nel tour estivo stiamo cercando di puntare sull’energia che si sprigiona anche nelle cose più minimaliste. Non vedo l’ora di andare incontro alle persone, tra instore e tour.
Foto da Ufficio Stampa