Si intitola ‘Tutti i miei piani’ il nuovo EP di Folcast, caratterizzato da una nuova nascita e nuove consapevolezze.

Si intitola Tutti i miei piani il nuovo EP di Folcast, uscito venerdì 4 ottobre 2024. Un lavoro autobiografico sul conflitto interiore tra solitudine e incontro, caratterizzato dalla nascita di un figlio. Ne abbiamo parlato con il cantautore.

A proposito della genesi di Tutti i miei piani, sembra che essere diventato genitore ti abbia portato a interrogarti su questioni esistenziali. È così?
«Sì, mi ha completamente cambiato dentro. Io ero un pischello abbastanza timido quando ero piccolo. Piano piano questa cosa l’ho gestita, per forza di cose facendo quello che faccio. Ma la nascita di mia figlia mi ha aiutato a sbloccarmi a livello personale, anche nel raccontare cose che magari prima avevo più remore ad affrontare. E comunque poi c’è sempre un po’ lo struggle di dire ma vale la pena condividere e dare tutto se stesso a un’altra persona piuttosto che vedersela da soli e non rischiare?. La solitudine è intesa anche come una cosa semplice che puoi banalmente preferire. Alla fine mi sono reso conto che, almeno per me, è stato bello aver condiviso e essersi lasciati travolgere. Ho accolto le persone nella mia vita. La nascita di Luna è la massima espressione di condivisione».

L’album si apre con la title track e sembra quasi un’introduzione alle riflessioni che vengono in seguito e che si muovono su altri piani. 
«È come quando leggi un libro. Un buon libro riesce a riassumere il suo contenuto già dall’inizio e a dare una parvenza di ciò che sai che verrà. Io questo cerco di farlo nelle canzoni, anche se sono 3 minuti, perché mi piace. Poi possiamo parlare dell’attenzione che oggi si spegne troppo e subito se un brano non è radiofonico, ma sono discorsi successivi. Nella tracklist, Tutti i miei piani potenzialmente poteva essere l’ultima canzone: l’ho scritta quando è nata mia figlia ed era per lei. Se vuoi, è uno spoiler della tracklist». 

Come chiusura, però, credo che 1+1 sia perfetta: una sorta di summa anche per le sue sonorità molto liriche.
«Direi che 1+1 è la somma delle tracce precedenti e delle persone che hanno partecipato alla stesura del disco. Tutte queste persone hanno fatto sì che poi riuscissi a buttare giù queste fasi dell’esistenza. Dal voler stare da soli per non affrontare la realtà, che invece per me necessita proprio di aperture, all’accettazione e al lasciarsi andare. È un preambolo, un quasi spoiler. In Tutti i miei piani c’è la misura del percorso, ma è appena iniziato».

Cambiamo registro e parliamo di Manifesto Egoista. C’è Carlo Amleto.
«È la seconda traccia perché stacca di molto dall’atmosfera di Tutti i miei piani, ma io sono fatto così. Quando ci siamo trovati in studio con Tommaso (Colliva, ndr) ci siamo resi conto, parlandone, che nell’album c’è una parte molto eclettica che a me piace. Non deve essere vista nel senso Fai come ti pare, anzi il rischio è quello. Quella parte deve restare comunque al servizio di qualcosa di coerente, anche se sono due mondi diversi. Spero che si senta il legame che c’è a livello di concetto. Manifesto Egoista è scanzonata, sarcastica e parla della voglia di stare completamente da soli. Con qualche dubbio».

Soli, ma con Carlo Amleto.
«Già mi sono contraddetto perché è l’unico featuring del disco. Carlo per me è veramente un mezzo genio, suona benissimo, canta. Ho sentito brani suoi fighissimi. Ci eravamo conosciuti a Roma per i Calibro 35, quando lavoravano alla serie Blanca. Quando ci siamo visti in studio con Tommy, abbiamo pensato che sarebbe stato bello sentirlo e Carlo è stato super disponibile e preso bene. Ci siamo visti e abbiamo cavalcato l’idea del TG, che è il suo cavallo di battaglia. Fa sgarare. Ha un groove e una ritmica totale, ti fa capire che c’è ciccia sotto e che è molto più di un semplice sketch».

A proposito di varietà sonora, sembra che tu modelli la musica in base al messaggio che vuoi veicolare. Cambiando anche ritmo e suoni.
«Credo sia abbastanza naturale, perché quando parli di un argomento ti viene in mente una sonorità, un ambiente. Le cose sono collegate anche in maniera inconscia. Manifesto Egoista, per esempio, l’ho scritta a Londra. Ero sdraiato a Hyde Park a non fare nulla, ero da solo: erano i primi contatti con colei che poi sarebbe diventata la madre di mia figlia. C’era il dubbio, che faccio mi butto?. Ero veramente perso per lei, lo ero e lo sono. Però c’era il dubbio. Ci sono altre fotografie di quel momento nel disco precedente, come Lifting che era però in chiave romantica. Lì è quando dici Ok, ci sto. Certe cose hanno il loro tempo».

Quindi ti sei tenuto nel cassetto Manifesto Egoista?
«Manifesto Egoista ha preso una forma diversa da quello che era, non era il suo momento. Sono tracce che hanno già una vita e una gestazione lunga. Io mi oppongo in qualche modo a ciò che ci impongono di fare dall’oggi al domani. Va contro il disco che ho fatto perché, per fare una cosa bene, ci vuole tempo. Io ritengo di aver fatto un bell’album, se no non lo avrei fatto».

E poi il cantautore non canta sempre se stesso?
«Ti posso fare un esempio sulla traccia più giovane dell’album, Tutti i miei piani. Ci siamo visti con Federico Baroni in studio a dicembre. Mia figlia aveva due mesi. I genitori sanno cosa si vive in quel momento. Fede riesce sempre a tirarmi fuori cose che da solo non riesco. Abbiamo buttato giù struttura, strofa, ritornelli, ma mancava un pezzo e ci sono tornato dopo un po’ di tempo. Infatti c’è una trasformazione in ciò che dico. C’è un’evoluzione perché, anche se è un pezzo vecchio, cerco di collegare le parti».

Invece 8 di mattina? Ti hanno fatto arrabbiare.
«C’è chi l’ha interpretata in modo ironico. Ma stavo proprio a rosicà. Ho cercato di spiegarlo: fa riferimento a conversazioni con amici, che sono ancora amici, ma che in quel momento avevano detto qualcosa di troppo. A volte non è richiesto. In quella canzone lo dico anche a me stesso: non sai chi hai di fronte, che momento sta vivendo e ogni cosa che dici può essere un macigno. Nel pezzo si capisce che qualcuno lo ha fatto con me. La cosa bella della musica, però, è che ognuno la interpreta come vuole».

Sembra un album ricco di consapevolezze.
«Credo che ci sia una crescita già dall’album precedente e, nel mio caso, ha aiutato essere diventato papà. Tuttavia, non è per forza quello l’evento che ti fa diventare maturo e ti fa sentire più sicuro di te. 8 di mattina si doveva chiamare con una parolaccia, il succo è che, quando provi a metterti a nudo, le persone a volte ti mordono. Non necessariamente con cattiveria. Ti ritrai e dici chi me lo fa fare, ma vince lo sfogarsi. Questo te lo fanno fare le persone belle. C’è sempre un’eccezione».

È un bilancio? Una sorta di taglio dei rami secchi?
«Ci sta. Si dice sempre che bisogna allontanare le persone negative, ma sono solo in parte d’accordo. A volte le persone fanno male per una richiesta, magari provocano un cambiamento che ci fa stare meglio. Se è una persona cancerogena, parliamo di altro. Eppure, crescendo conosciamo i nostri limiti e capiamo anche fin dove spingersi con l’altro. Sempre se c’è intelligenza emotiva ed empatia». 

Foto di Fabrizio Iozzo