Si intitola ‘Ad Astra’ il nuovo album de Il Volo, primo progetto discografico in cui Gianluca, Ignazio e Piero si confrontano solo con brani inediti. Il risultato è un itinerario che, affrontando sasso dopo sasso il percorso per aspera, guarda dentro di sé interrogandosi sul senso dell’esistenza. Ma poi alzare lo sguardo all’insù e ammira un cielo che è mistero. E se non esiste astrum senza asperitas, anche una volta raggiunta la vetta non ci si può fermare. Ogni caduta, ogni scivolone, ogni conquista guarda oltre, inseguendo il dubbio.
Come vivete l’uscita di questo album che è quasi un debutto bis, considerando che si tratta del primo album solo di inediti?
Ignazio: Sì e no, perché è vero che è il nostro primo disco interamente di inediti ma più che una virata è stata una scoperta di noi stessi. Non avevamo mai avuto modo di fare un disco di inediti e forse neanche eravamo pronti. ‘Ad Astra’ arriva adesso perché sentiamo che oggi abbiamo raggiunto una maturità artistica e personale che ci permette di parlare di contenuti importanti nelle nostre canzoni. Di andare oltre le solite canzoni d’amore che si dedicano alla fidanzata ecco… e in questi brani ci sono tanti temi diversi, dalla felicità al desiderio di voler vedere un mondo all’incontrario fino a canzoni che parlano della vita e al perché siamo venuti al mondo, che ci stiamo a fare qua. Abbiamo racchiuso tutto questo arrivando a capire, alla fine, che il dubbio è sempre la risposta. Mettersi in dubbio nella vita è, forse, anche la chiave vincente.
Quando avete incominciato a pensare a un lavoro che allargasse i confini musicali e vi valorizzasse singolarmente come artisti?
Gianluca: L’idea è nata un anno e mezzo, due, fa dopo i vari progetti e i vari tributi su cui avevamo lavorato, che era erano coerenti con quello che è il nostro stile. E anche con quello che il nostro pubblico richiede da tanto tempo, soprattutto all’estero. Però, era arrivata un’esigenza personale proprio perché noi siamo un gruppo unito ma ovviamente abbiamo tre singolarità, come dicevi, totalmente diverse. Se fossimo uguali – vocalmente o come stile – non avremmo avuto nemmeno la necessità di provare a fare questo esperimento.
Ma ci teniamo a voler mostrare chi siamo anche singolarmente, credo che sia una cosa normalissima, considerando che quando sei in un gruppo puoi mostrare il 33% delle tue possibilità. Già con il progetto Tutti per uno abbiamo cominciato a mostrare chi siamo individualmente, senza perdere l’integrità del gruppo che resta importante. Da lì, abbiamo voluto sperimentare a livello sonoro, usando le nostre voci su una scrittura più contemporanea e con una produzione altrettanto contemporanea. Senza, ripeto, perdere la nostra personalità.
Dal palco, dunque, allo studio di registrazione.
G: Sì, è iniziato con Tutti per uno ma forse anche prima, già da una decina d’anni fa. A un certo punto abbiamo sentito l’esigenza di cantare singolarmente, che si è concretizzata nel tempo. È stato importante, poi, il successo televisivo per cui anche all’estero apprezzano tantissimo la dinamicità dello show. Stare sul palco tutti e tre è la nostra grande forza, però in uno spettacolo di 25-30 canzoni differenziare dà un certo movimento che al pubblico piace. Cosa che accadrà anche nel programma che andrà di nuovo in onda dall’Arena di Verona: le tre serate di maggio sono già sold-out e abbiamo aperto la quarta, che sta andando molto bene. Ovviamente canteremo le canzoni del disco andando sempre a evidenziare la nostra diversità perché è la nostra grande forza.
Leggendo i nomi di autori e compositori con cui avete lavorato, il team è molto. Quanto è stato difficile trovare le penne che vestissero al meglio l’abito che indossate oggi? E quanto sono state stimolanti queste collaborazioni?
Piero: Devo dire che c’è stato uno studio dettagliato nella ricerca degli autori. Forse è stata la fase più delicata, ma negli anni abbiamo avuto modo di collaborare con qualcuno e la cernita è arrivata in maniera molto naturale. Ci sono, poi, dei nomi che magari suonano immaginabili: per esempio, nessuno si sarebbe aspettato il nome di Michelangelo associato al repertorio del Volo. Però, noi siamo convinti che la musica ha un grosso potere e il risultato è questo album. Alla fine c’è stata molta più alchimia con persone con cui neanche noi ci immaginavamo una collaborazione. Ed è stato bello anche scoprire noi stessi in questo album, perché è stata una sfida vocale e musicale. Anche vocalmente abbiamo provato a cantare cose che pensavamo non ci appartenessero e, invece, hanno sorpreso noi per primi.
Qual è stata la difficoltà maggiore?
P: Entrare in studio di registrazione senza avere le parti del brano già battezzate, divise. Quindi, tu provi a cantare una frase e, visto che ciascuno di noi sa riconoscere i propri limiti, capiamo immediatamente chi è portato per cosa. E allora, succede che quella stessa frase che magari s’ immaginava cantata da me, poi la canta Gianluca o Ignazio ed esce meglio a loro. In questo senso abbiamo calibrato ed equilibrato i brani.
G: La stessa Capolavoro ha comunque una divisione diversa rispetto a Grande Amore o alle nostre canzoni del passato, così come la cover.
Di questi brani, c’è ne è stato uno che vi ha fatto sudare più degli altri prima di convincervi del tutto?
G: Frammenti di universo forse. Io, ad esempio, canto pochissimi ritornelli e quello è uno dei pochi. Quindi, ecco, non è almeno per me una canzone abitudinaria.
I: Anche canzoni come L’infinito e Succede sono state molto particolari da lavorare per capire le varie parti.
P: Però, il brano che dà sfogo alle nostre individualità musicali e vocali, ma anche di pensiero è Ad Astra che chiude l’album e lo riassume. Si conclude con il dubbio, perché l’ultima frase sottolinea proprio come il dubbio sia la risposta. Ecco, questo rispecchia anche chi siamo grazie agli autori che hanno assistito ai nostri confronti e alle nostre discussioni sul perché della vita.
E a proposito di discussioni, i titoli delle ultime settimane sembravano annunciare il peggio… come l’avete vissuta?
P: Ma è una fake news che ci ha pure divertito devo dire. Anzi, questo ti fa capire la nostra forza e la nostra unione: noi, sì, abbiamo tre individualità e tre personalità però sappiamo – e lo abbiamo sempre dimostrato – che la vera forza è quando cantiamo tutti e tre insieme. È inimmaginabile pensare il Volo divisi. Perché il volo è un’entità con le sue sfumature che, dal vivo e in questo album, evidenziamo. Poi ognuno ha le nostre caratteristiche, e va benissimo, però la forza è quando cantiamo insieme. Di questo ne siamo consapevoli noi in primis e tutti gli altri.
G: E ne siamo fieri.
A fare da collante cromatico e letterario, le tracce — anche già dai titoli — sottendono una fascinazione quasi astronomica. Come è nata quest’ispirazione che diventa un file rouge narrativo?
G: È arrivata in realtà dopo. Perché il brano di punta era Capolavoro e nella nostra immaginazione ha fatto da apripista, come ponte perfetto. Poi, abbiamo avuto modo di lavorare con gli autori sui vari brani con un fil rouge comune. Abbiamo recuperato anche Frammenti di universo che tenevamo nel cassetto da un paio d’anni. E poi l’universo è un capolavoro, sotto quel punto di vista, creato probabilmente da Dio, e questo è uno dei dubbi.
Quindi abbiamo cercato di dare un significato complessivo in un concept album come ne abbiamo sempre fatti anche se erano tributi o progetti dedicati ad altri. Questa volta ci siamo detti ‘dedichiamo un progetto a noi’, ed è nato per aspera ad astra, questo messaggio metafisico da cui sono scaturite le altre canzoni. Da Saturno e venere a Frammenti di universo e L’infinito, che poi hanno dato forma a questo concept tematico.
In questo percorso Ad Astra, che può essere anche molto accidentato, come si mantiene l’equilibrio tra le asperitates?
P: Eh beh, non demordere è la cosa più importante ed è il messaggio che vorremmo arrivasse diretto soprattutto ai nostri coetanei. Non dobbiamo dimostrare nulla alle persone più adulte perché sanno come va la vita. Oggi tutti abbiamo delle grandi passioni, magari non sappiamo per cosa siamo nati però son convinto che se ami davvero fare qualcosa, se riconosci e scopri la tua vocazione devi difenderla fino alla fine. Noi siamo stati fortunati perché qualcuno ci ha fatto scoprire la nostra vocazione a 14-15 anni e abbiamo intrapreso questo percorso. Ma in questi anni anni non abbiamo avuto soltanto momenti di gioia né sono state solo discese. Abbiamo avuto momenti turbolenti che poi ti aiutano a rialzarti, ti fortificano. Il messaggio che vorremo mandare ai nostri coetanei è, appunto, capire che nella vita bisognerà rialzarsi e continuare a lottare per ciò che si vuole.
G: Come nel mito di Sisifo che quando raggiunge la vetta della montagna spingendo il masso, poi ridiscende. Ecco, si deve comunque ritornare su.
A proposito di cieli, siete abituati a viaggiare per il mondo ma qual è la vostra stella polare? Che cosa vi fa sentire a casa?
I: Sicuramente il telefono ci aiuta a sentirci a casa, perché fai una chiamata e senti le persone che ti fanno sentire a casa. E poi condividere questa vita con altre due persone ti fa sentire a casa, perché è come se fossi già una seconda famiglia, ormai sono 15 anni che stiamo insieme. Ci possono essere scontri e discussioni ma alla fine siamo come una famiglia. È una relazione a tutti gli effetti. Certo, non è semplice perché viaggiamo tanto durante l’anno ma alla fine sono sacrifici che tutti fanno. Magari altre persone li fanno in altri modi e per noi è lasciare le nostre famiglie e la nostra vera casa.
P: Permettimi di dire che la bussola più grande è il nostro equilibrio interiore e con le persone che ti circondano che abbiamo coltivato. È importante riconoscere cosa ti fa stare bene e cercare di coltivarlo per mantenerlo; devi perseverare tutti i giorni e alla fine puoi stare bene ovunque. Possono mancare le cose materiali e lo stretto contatto con le persone, ma se stai bene con te stesso puoi stare bene ovunque.
All’orizzonte ci sono concerti a ogni latitudine, ma oggi all’estero che considerazione c’è del nostro Paese sul piano culturale, rispetto anche a certi cliché?
G: Un certo immaginario dell’Italia è più un cliché snobbato dagli italiani stessi più di quanto non lo sia per gli stranieri. Siamo fieri che la musica lirica sia diventata patrimonio dell’umanità perché noi siamo anche quello, e lo siamo soprattutto all’estero perché è quello che vogliono, dal Giappone agli Stati Uniti. In Sud America è diverso perché c’è già uno stile un po’ più pop per cui abbiamo i nostri inediti in spagnolo.
Però, in generale, culturalmente i paesi che subiscono di più l’effetto e l’influenza della grande musica e della cultura italiana sono gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina e l’Australia. E dobbiamo essere fieri perché la musica ha un grande impatto, che va oltre il linguaggio e supera le barriere. Lo vediamo ogni volta che la gente, pur non capendo una parola dei testi, si emoziona per la melodia. All’estero si vive in maniera diversa l’influenza della cultura italiana rispetto agli italiani stessi. Non so se sia un male o un bene ma anche quello che a noi permette di girare il mondo.
Foto di Leandro Manuel Emede da Ufficio Stampa