Mentre il film di Michele Placido continua a intrattenere il pubblico nelle sale, la colonna sonora de L’Ombra di Caravaggio – composta dagli Oragravity (duo formato da Umberto Iervolino e Federica Luna Vincenti) – è uscita il 4 novembre.
Edita da Edizioni Curci e da Goldenart Production), la soundtrack del film è stata realizzata seguendo fedelmente le immagini, ma anche concedendosi qualche funzionale libertà artistica, come ci raccontano gli stessi Oragravity. Tra l’altro, Federica Luna Vincenti è anche produttrice del film. Un duplice ruolo che ha influito molto sul processo di realizzazione dell’intera opera.
«Ora ho capito il motivo per cui ho fatto entrambe le cose. – ci dice Federica – La musica è matematica e io coi conti ci so fare. Penso che questi due mondi in realtà non siano molto differenti. So che sembra poco artistico produrre. Uno immagina sempre che il produttore debba essere legato all’aspetto economico, ma oggi più che mai c’è bisogno di produttori artistici. La colonna sonora è arrivata per caso, perché io e Umberto già lavoravamo insieme per un altro progetto. Michele Placido, ascoltando alcuni brani, ha detto Ci sono strumenti interessanti, perché non fate voi le musiche?. Non era previsto e la non previsione ci ha riempito di responsabilità». « »
Riferimenti classici, ma anche sintesi musicale
La prima domanda ovvia che il duo si è posto è stata come traslare in musica l’apparato visivo e immaginifico della pellicola. «Il film è legato al ‘600 e ha già una connotazione molto forte. – dice infatti Federica – Ci sono molti musicisti dell’epoca, ma noi abbiamo deciso di andare avanti con la nostra personalità».
«La sensazione che ho avuto quando abbiamo visto le prime immagini e letto la sceneggiatura era che avessimo tra le mani materiale incandescente. – dice Iervolino – Dava l’idea di essere complesso, e, in quanto tale, stimolante. Abbiamo scelto di non essere didascalici, evitando lo strumentario barocco. Ci siamo spostati altrove. La difficoltà più grande è stata convincere il regista. Lui prima di tutti e poi il pubblico e chiunque godrà di questo film, che è davvero una bellissima opera».
Da un lato dunque non mancano suggestioni classiche («Gli archi sono gli unici strumenti acustici, il resto è sintesi musicale», dice Umberto), dall’altro – per usare le parole di Federica «ci sono molte ritmiche pulsanti che rendono tutto molto più dinamico».
«Premetto che lo strumentario dell’epoca barocca era poco rumoroso rispetto a quello dei secoli successivi. – continua Umberto – E per sintetico non intendo nel modo oggi abusato di action e tension. Ormai lo senti dappertutto, anche nei programmi televisivi sotto giochi divertenti. Sarebbe stato banale. Volevamo allontanarci da questa cultura. Abbiamo usato tanta sintesi musicale, sia analogica che digitale. Abbiamo fatto molta ricerca».
A questo proposito, Umberto ci rivela che a volte la voce che sentiamo nei brani della soundtrack è proprio quella di Federica. «Abbiamo utilizzato voci sintetiche in alcuni brani – spiega – ma perché avevamo bisogno di quel tipo di sonorità. Altre volte è la voce di Federica filtrata e usata come strumentale. Tra l’altro, ha una bellissima voce ma non lo sottolinea mai».
Oragravity: i suoni di Caravaggio
Interessante è sicuramente l’utilizzo dei suoni fatto per la colonna sonora. «Dovevamo trovare suoni che fossero proprio parte integrante di ciò che guardavamo. – dice infatti Federica – Abbiamo deciso di lavorare con accanto le persone che curavano gli effetti. Il sound designer di un film è una delle figure più importanti ed è il motivo per cui andiamo in sala».
Anche, però, collaborare a stretto contatto con i montatori è fondamentale. Ce lo spiega Umberto.
«Il montaggio è importantissimo nella costruzione di un film, perché è guidato dal regista e detta i ritmi dell’opera. Abbiamo diverse volte visto il montato, anche non definitivo, con Michele che ovviamente ha dato le sue impressioni. È stato gratificante per noi. Queste scene spesso son state modificate per esigenze di regia e ci siamo trovati con musiche che avevano un certa durata. Dovevamo farle durare meno e non svuotarle dell’effetto emotivo, ma il confronto è stato costante».
Il rischio – conclude Umberto – «è sempre quello di essere musicalmente logorroici. Il senso della misura lo abbiamo avuto quando, una volta raggiunto lo scopo e la creazione in sé, abbiamo lavorato sui silenzi. Abbiamo cercato di essere il più obiettivi possibile, lasciando spazio alle cose. La musica in un film fa parte di un insieme. Abbiamo cercato di seguire le emozioni e non è stato molto difficile, è una questione di atteggiamento».
Foto: Azzurra Primavera