‘Il silenzio fa boom’ è il nuovo progetto discografico di Renzo Rubino che con la Sbanda ci porta in un corteo per celebrare la festa della vita. L’intervista.
Renzo Rubino torna a sette anni da ‘Il gelato dopo il mare’ con un nuovo progetto che introduce in un mondo artistico dalle sfaccettature sorprendenti. Dal 19 aprile è, infatti, disponibile ‘Il silenzio fa boom’, dopo un’assenza discografica che per i tempi con cui corre il mercato è praticamente un secolo. Ma in quel tempo, che l’artista ha speso a riflettori spenti e non necessariamente vicino alla musica, è maturato un lavoro che restituisce tutti i chilometri percorsi. Di vita, di terra e di mare.
Ne ‘Il silenzio fa boom’ di silenzioso c’è poco e non solo perché si tratta di canzoni – quindi, evidentemente, di suoni e parole da ascoltare –. Ma perché la deflagrazione diventa la rappresentazione piena di uno stato emotivo e mentale. Sono i momenti che contano e che cambiano un’esistenza, quelli che parlano per noi e ci trasformano. Da soli o in mezzo agli altri. E sono gli stessi che vanno celebrati, come in una festa collettiva in cui la banda risuona potente dando il ritmo al passo.
Quello di Renzo Rubino è un ritorno in corteo da vivere a da cui lasciarsi attraversare per ritrovare quella scintilla che fa boom dentro di noi. E allora, fiato alle trombe.
L’intervista a Renzo Rubino
Nuovo album, che arriva a parecchi anni dal precedente lavoro. Che cosa rappresenta per te questo disco, nel tuo percorso artistico ma anche personalmente?
Questo album è stata la mia cura, in un periodo che a volte è stato oscuro e mi ha portato lontano dalla musica. Mi ha portato a non sapere se voler continuare a fare dischi. E quindi è stata la mia salvezza perché, ad un certo punto, ho capito che non potevo più mettere da parte un amore così grande. Aveva bisogno di essere alimentato. Certo, poi, c’è stata la miccia che mi ha fatto scrivere le canzoni ed è sempre legata a qualcosa di forte che succede… può essere la fine di un amore, qualcosa che capita in famiglia o anche cose positive. Nel mio caso, con la nascita dei miei nipoti sono cambiate tante cose e sono cambiato anch’io.
Nella prefazione al disco, Mario Desiati ti definisce scombinato eroe, ma coerente con le sue idee. Quanto ti ci ritrovi e in che misura ‘Il silenzio fa Boom’ è un lavoro coraggioso?
Diciamo che Mario non poteva scrivere che sono pazzo scatenato nel suo racconto ma mi sento un po’ una sorta di kamikaze delle idee. E questa cosa mi rende libero e forte, quando decido di seguire le mie convinzioni e le mie canzoni, quelle veramente dettate dal profondo.
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Il titolo dell’album sembra essere un ossimoro ma spesso il silenzio sa fa un enorme rumore. Ma quando deflagra, quando fa boom?
Il silenzio probabilmente non esiste, se ci pensi. Anche in questo momento, se noi stiamo zitti sentiremo tutte le persone qui attorno che stanno parlando e lavorando. Tu vivi in una città estremamente poco silenziosa ma il silenzio vero è quel momento in cui il mondo circostante in qualche modo sta parlando per te. E il mio silenzio è stato quando ho preso in braccio mio nipote: è stato esplosivo. Il silenzio ha fatto boom quando sotto una quercia, in un posto meraviglioso della mia Puglia, in un periodo primaverile avevo al mio fianco la persona che a cui ero legato. E c’era la bellezza di quel momento che diventa universale. Il silenzio fa boom quando sentiamo che c’è una musica per noi stessi.
Se dovessi individuare una collocazione temporale per questo album, sarebbe più legato alle radici e quindi al passato, al presente o al futuro? O magari è fuori tempo proprio perché coesistono questi livelli?
C’è un po’ di tutto, devo dire. Di tradizione c’è sicuramente l’utilizzo della banda che non basta e, infatti, non mi sento di dire che è un disco totalmente della tradizione. Ci sono spunti di elettronica e si sono spunti anche elle parole che vanno oltre, perché la tradizione difficilmente parla di profano. Invece, questo disco è pieno di profano e di segnali legati alla benedizioni del corpo, come la vanità e il piacere. Sono temi che non appartengono a un contesto estremamente classico. Io, poi, volevo fare un disco libero ancora una volta perché mi sono detto che se ero riuscito a sopravvivere sette anni senza dischi e facendo altro, allora potevo permettermi di essere così, libero nella musica senza preoccuparmi del risultato. Quindi direi che è un mix di tutto.
Taketo Gohara e Mauro Ottolini ti hanno affiancato nel progetto: come è stato lavorare insieme per dare vita a un racconto che rispecchiasse il mondo musicale avevi in mente?
Quando ho scritto le canzoni già mi immaginavo nella testa gli arrangiamenti per banda. Però io non sono un bandista né sono un direttore di banda. Quindi ho pensato al migliore, ovvero Mauro Ottolini che scrive per banda ed è un grandissimo trombonista. Mi ha aiutato nello scrivere e migliorare gli arrangiamenti che io avevo scritto io inizialmente in maniera brutale e scombinata per dare un’idea. Taketo, invece, è un produttore che dà sfogo alla libertà creativa, questa è proprio la sua proprio la sua caratteristica. Mettere benzina sul fuoco degli artisti e io avevo bisogno di una persona come lui per questo disco, che non mi limitasse nell’esplorazione anche di arrangiamenti diversi.
Patchouli (Resta) è il singolo che accompagna la release, il cui videoclip nasce da un’idea di Donato Carrisi – e siamo alla seconda presenza letteraria –: come è nata la collaborazione?
Donato Carrisi ha avuto l’idea di questo videoclip, che poi è stato girato da Graziano De Pace. Gli ho fatto sentire il brano a casa di un amico comune, una casa molto affine proprio al mondo e al suo modo di scrivere oscuro. Ascoltando il pezzo, ha avuto quest’idea di video e io stesso avevo voglia di collaborazioni che non fossero prettamente canore. Da qui, il coinvolgimento di Mario e di Donato, ma ci saranno anche altre sorprese… altri artisti pugliesi non necessariamente legati alla musica che verranno coinvolti anche più avanti.
E poi c’è l’artwork curato da Vincenzo Milazzo…
Sì, la copertina altro non è che un quadro di Vincenzo Milazzo, pittore naif del mio che ha riprodotto tutti i personaggi che hanno partecipato al disco. Per esempio, c’è mia nonna che ha cantato, c’è Don Martino che ha benedetto tutta la banda, c’è Faco che ha girato i video… Ci sono tutti i personaggi che hanno registrato il disco, compreso Taketo Gohara.
Letteratura, pittura, ispirazioni felliniane, la banda. Come questa convivenza tra cultura alta e popolare rispecchia la tua concezione dell’arte a tutto tondo? E che spazio può trovare oggi?
L’orecchio collettivo ha bisogno di leggerezza, di divertimento e di una serie di cose che bravissimi artisti nel nostro panorama musicale riescono a dare. Poi, ci sono altri artisti che sanno che la propria musica non può essere diffusa a tutti quanti. Ecco, loro devono avere il ruolo di ricercare l’arte in quello che fanno, di donare oggetti preziosi e non sto parlando necessariamente solo delle canzoni, ma di qualsiasi progetto. Nel mio caso è un disco, ma ho avuto modo di collaborare anche con due scrittori italiani importanti. Mario Desiati, per esempio, ha scritto libri ispirati alla mia terra, come Spatriati, che può invogliare ad approfondire e ricercare con attenzione qualcosa che secondo me è alto.
E ancora, attraverso l’opera di Vincenzo Milazzo, si possono scoprire altre opere di questo artista e innamorarsi perdutamente dei suoi dei suoi colori. Lui, tra l’altro, dipinge su vetro e la pittura sul vetro si fa al contrario, quindi io stesso ogni tanto andavo nel suo laboratorio a vederlo dipingere. Anche lì c’è la ricerca di qualcosa di speciale, di un oggetto d’arte e chi avrà a casa la copertina di questo album avrà un oggetto d’arte. Secondo me, il ruolo di alcuni artisti e di chi ha cura attenta dello scrivere è proprio andare a ricercare quelle cose che possono essere universali e rimanere nel tempo.
Presenti ‘Il silenzio fa boom’ a Roma, in un evento già sold out: sarà una sorta di data zero per eventuali altri live futuri?
Il 19 aprile siamo a Roma, all’Officina Pasolini e l’idea iniziale era che dovessi fare soltanto due chiacchiere e raccontare il disco. Poi abbiamo pensato di suonare il disco e di far diventare questo momento una festa. È una piccola festa patronale a Roma. Sono convinto che anche a Roma ci sono le bande, anzi ce ne saranno tantissime! La banda è un’entità italiana presente in tutte le città e in tutti i paesi, che fa parte della tradizione.
Proprio in queste ore, i miei musicisti, artisti e bandisti si stanno preparando per la trasferta e la vivono con grande emozione, maggiore della mia perché quest’anno di impegno e sacrifici sta finalmente vedendo la luce. Abbiamo proprio voglia di festeggiare. Come dicevi tu, quella romana sarà la tappa zero di un tour che sicuramente faremo in estate e sarà libero, nelle piazze, per poi ridimensionarsi nell’invernare con appuntamenti più mirati.
Ma ci sarà spazio anche per Porto Rubino quest’anno?
In tutto questo ci sarà anche Porto Rubino, che dà il titolo all’ultimo pezzo del disco ed è proprio la sigla del mio festival. Gli devo tanto e sto lavorando affinché ci siano anche quest’anno dei bravissimi artisti. E ci siamo quasi.
Foto di Clarissa Ceci da Ufficio Stampa