Difficile definire la proposta musicale di Rokas, a dimostrazione del fatto che troppo spesso le etichette sono una limitazione di cui, in fondo, è bene fare a meno. L’artista torna con un nuovo progetto che si muove fra territori diversi e che fa della contaminazione il proprio linguaggio. Ecco, allora, la cantabilità catchy della melodia dal pop – con sfumature a tratti dance – sporcata di urban fino a sprofondare nell’R&B. Una congerie personalissima di suoni che è frutto di un’evoluzione cominciata sul terreno del rap.
A quattro anni da ‘Mostri contro Fantasmi’, e a sei dall’esordio con ‘Nemico del cuore’, Rokas pubblica il nuovo album ‘In quella casa in fiamme ci sono dei bambini’ (Digitale 2000). Ma il percorso di avvicinamento al disco è cominciato a gennaio 2024 con Scusami a cui è seguito l’EP ‘Ci sono dei bambini’ che ora si completa con ulteriori dieci tracce. Coerente nei temi e nei suoni, l’artista scava ancora più a fondo tra paure individuali e inquietudini collettive di una contemporaneità troppo spesso indifferente. A chi o a cosa, ce lo racconta Rokas.
Parto dal titolo che completa, come in una sorta di prequel, l’EP ‘Ci sono dei bambini’ uscito solo qualche settimana fa. Un titolo che contiene una domanda sottintesa e che ci chiama in causa tutti. Come l’hai pensato?
È la domanda che mi sono posto guardando Profondo rosso di Dario Argento. In una delle scene iniziali c’è un uomo che cammina per strada ed entra in un palazzo per vedere quello che sta succedendo all’interno. Alla fine del film, e nei giorni a venire, ho cominciato a interrogarmi: in quale situazione mi sarei potuto mettere in pericolo per aiutare qualcun altro? Ho pensato a una casa in fiamme e ho immediatamente considerato che molto probabilmente avrei chiamato i pompieri, non mi sarei messo in pericolo in prima persona. Quindi ho pensato alla cosa più pura che in assoluto, ovvero i bambini. È un titolo molto forte e molto evocativo nato ormai circa quattro anni fa, complice anche il Covid. I tempi, poi, si sono dilatati e questo progetto sta vedendo la luce oggi.
Non vuole essere un disco sociale né politico ma semplicemente un insieme di emozioni e sensazioni che ho provato io soprattutto in quel periodo storico. Qualcosa che risulta essere anche molto attuale anche per i giorni che stiamo vivendo, con i vari conflitti che sono scoppiati dal 2020 a oggi e in generale i fatti di cronaca. Ricordo bene quando stavo iniziando a scrivere il disco: era successa di poco anche tutta la faccenda di Black Life Matters ed erano aumentati i femminicidi. Tutte queste cose mi hanno sempre un po’ colpito per l’indifferenza che poi creavano intorno. Ho cercato di creare diversi layer di lettura in questo disco che è principalmente un disco pop.
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A proposito di una situazione di instabilità generalizzata, hai proprio inserito l’audio di una chiamata d’emergenza.
Sì, c’è quest’uomo che cammina per strada e incontra una casa in fiamme, quindi chiama un centralino dei soccorsi. Lì ci sono dentro un po’ tutte le domande che mi sono posto io. Cosa farei? Cosa non farei? L’ho fatto perché, secondo me, non è facile parlare di certe cose senza cadere nell’ipocrisia e non è nemmeno il mio obiettivo perché comunque uso la musica come mezzo di comunicazione e di intrattenimento non didattico. Quindi volevo parlare di qualcosa senza risultare pesante.
Parlavi del Covid, quindi ‘In quella casa in fiamme ci sono dei bambini’ è figlio anche di quel periodo?
In realtà sì ma considera che sono uscito con l’ultimo disco nel 2020 e appena terminato, quindi tra il 2019 e il 2020, ho cominciato a scrivere cose nuove. Poi, appunto, c’è stato il Covid che ha dilatato un po’ il tutto quindi ci sono pezzi che ho registrato nel 2020 ed escono oggi, a quattro anni di distanza. Quindi la gestazione è stata piuttosto lunga.
C’è stata una traccia ‘originaria’ da cui hai sviluppato il concept o ha preso forma a mano a mano?
Un po’ entrambe le cose, nel senso che io tendo sempre a pensare ai progetti a livello di concept. Per esempio ‘Mostri contro Fantasmi’ parlava della paura mentre questo mette al centro l’indifferenza e ho già in mente di cosa vorrei parlare nel prossimo album. Mi piace prendere un macro argomento e poi andare avanti a scrivere in studio in base a quello che vivo. Poi, ovviamente, tante volte hai delle idee che non si materializzano, un po’ come diceva Mike Tyson per cui tutti hanno un piano finché non prendono un pugno in faccia. Puoi farti tutti i piani che voi ma poi succedono altre cose.
Ascoltando questo lavoro, si percepisce che la tracklist racconta un percorso preciso, una storia con un suo sviluppo. In tempi in cui si ragiona più per singoli che per album, che spazio e che impegno di ascolto chiede un disco come il tuo?
Diciamo che idealmente questo disco o richiede 36 minuti di vita. Questa è la sua durata. Ma sono cosciente del fatto che fare un concept album, o semplicemente un album, oggi sia molto sfidante. Quello che ho provato a fare io, come esercizio, è stato cercare di creare una connessione tra tutti i pezzi ma allo stesso tempo di rendere ognuno di essi unico, singolo. Quindi uno può tranquillamente ascoltare solo un pezzo senza che sia strettamente collegato agli altri.
E ho provato a invogliare all’ascolto anche mettendo questa chiamata di emergenza, che è una vera e propria narrazione. Quindi ti capita di finire una canzone e ci sono queste due persone che parlano, così magari ti viene da chiederti cosa succede. Non c’è niente a caso. La seconda parte del disco ha pezzi più introspettivi e cupi che dividono in maniera abbastanza netta le tracce. La prima parte è musicalmente molto ritmata e veloce mentre la seconda parte è più introspettiva.
Ci sono diversi temi che il disco attraversa, ma forse quello che li racchiude tutti è quello dell’indifferenza che poi è il sentimento che il titolo stesso contiene come possibilità. In un mondo come quello che viviamo in cui spesso ci si gira dall’altra parte, è più paura dell’indifferenza altrui o della propria?
Eh,è una gran domanda e non sono mai arrivato a una vera risposta. Credo che sia un po’ un insieme di tutto perché, in generale, c’è molta sfiducia nel prossimo anche perché non abbiamo esempi virtuosi intorno a noi. E, quando li abbiamo, tendono a non essere messi sufficientemente in risalto. Vengo da una famiglia di giornalisti e, senza voler farne un metro di paragone assoluto, sappiamo che l’informazione si muove molto di più sullo scandalo che sulla virtù. Quindi, siamo più abituati a sentire le notizie negative più di quelle positive e questo può anche influenzare il nostro comportamento.
In più, credo che [la diffidenza] sia dovuta anche al fatto che c’è tanta paura, per tanti motivi a partire dall’incertezza verso un futuro e dalla poca solidità dell’oggi. Il disco parla Sì di queste cose e il pezzo forse più didascalico è Casa in fiamme mentre i restanti sono più che altro esperienze di vita traslabili su questo messaggio.
Dal punto di vista delle produzioni, hai sempre avuto chiara la direzione musicale del progetto?
Sono molto fortunato perché lavoro con questi due produttori, Granato, che sono due ragazzi molto giovani e capaci. Avevamo ben chiara la sonorità che cercavamo ed era una sonorità che voleva richiamare un po’ il mondo horror, soprattutto nella parte iniziale del disco. Infatti, abbiamo usato tanto i sintetizzatori Anni Ottanta in stile Goblin e Moroder; e abbiamo suonato con degli strumenti proprio di quegli anni per ridare quell’atmosfera evocativa e cupa. Vicina anche al mondo di Stranger Things.
Ci sono due collaborazioni molto diverse, con Matilde e Ghemon.
Matilde è una ragazza che ho scovato su internet così come era successo con Edonico. Ascolto molta musica e mi piace scoprire chi la fa, perché e come la fa. Sono rimasto colpito dalla sua voce angelica e, attraverso il suo manager, ci siamo conosciuti. Ogni volta che faccio una collaborazione devo almeno conoscere la persona a livello umano per capire se abbiamo qualcosa da dire insieme. Quindi, ci siamo visti un po’ di volte e ho scoperto che è anche molto brava a scrivere. Ne è nato Facile, un pezzo a cui sono molto legato e che mi piace molto perché è un po’ il tormento d’amore.
La seconda collaborazione invece è una collaborazione di cui vado molto fiero perché Ghemon è un grandissimo artista. E lo sta dimostrando molto anche nella sua capacità di essersi reinventato con una Cosetta così, lo spettacolo che sta portando a teatro. Sono suo fan da quando ero piccolo e conosco tutti i suoi dischi a memoria. Abbiamo fatto questo pezzo, che si chiama Compromessi nel cui ritornello dice non vogliamo più scendere a compromessi. Credo, in realtà, di aver scelto la persona che artisticamente ha avuto più compromessi positivi di tutti appunto perché si è sempre diventato. Da rapper a cantante, ha fatto Sanremo ora il teatro. Sono compromessi che magari esternamente possono risultare difficili ma lui li ha sempre portati con eleganza.
Sei ligure e mi citi Sanremo, non posso che chiederti come ti vedresti su quel palco…
Mi piacerebbe molto però mi piace fare le cose con le tempistiche giuste, a volte anche un po’ troppo visto che sono quattro anni che non pubblico un album. Però sì, mi piacerebbe immaginarmi lì sopra ma mi spaventa perché è un palco molto suggestivo, che è calcato dai più grandi della musica italiana. Vedremo. Dopo cinque anni di Amadeus, che ha rivoluzionato il festival, Conti dovrà affrontare le tante critiche che sicuramente ci saranno. Ma fa TV da tantissimi anni e se la Rai l’ha scelto c’è un motivo, ha le spalle larghe.
Intanto, in attesa di Sanremo, ci sono programmi live per l’estate?
Sì, abbiamo un po’ di date che stiamo programmando e che comunicheremo a breve ma abbiamo già annunciata quella del 28 giugno al Valley Festival di Tolentino. È un palco molto suggestivo e sono molto contento di suonarci anche perché sono curioso di misurarmi con la sua caratura per vedere come va… cerco di spronarmi perché un po’ mi agita. O meglio, mi uccide l’attesa perché, poi, nel momento in cui mi esibisco va sempre tutto bene. Quando sono sopra non c’è altro posto al mondo dove vorrei essere. E poi stiamo lavorando anche sul calendario invernale.
Immagini di Leandro Manuel Emede da Ufficio Stampa