Si intitola La strada più breve per tornare a casa (Carosello Records/SuoniVisioni) il nuovo album di Santachiara (nome d’arte di Luigi Picone). Un concept chiaro, che apre tuttavia la strada a una tracklist caleidoscopica e ricca di sfumature. «Mi piace molto spaziare, soprattutto perché mi diverto con la musica quando cambio e faccio cose al di fuori dei miei schemi. – ci dice il cantautore – Provo sempre belle sensazioni, come quando parti per un nuovo viaggio. Il titolo mi è venuto in mente dopo una serata con gli amici. Abbiamo fatto tardi e, tornando a casa, di fronte a due vie dissi Andiamo di qua o di là?. Un mio amico rispose che, dopo una serata così, bisognava fare per forza la strada più breve per tornare a casa. Mi colpì e pensai che fosse un titolo bellissimo per un disco». «Le canzoni – conclude poi Santachiara – vengono senza fare troppa attenzione. A mano a mano che chiudevo i pezzi, mi rendevo conto che c’era un percorso e che si incastrava col titolo».
Cresciuto a Napoli – come sottolinea perfettamente il nome d’arte – ma nato in Puglia, Santachiara ci racconta del resto di percepire molto la sua assenza di radici. «Cerco quindi spesso la sensazione di sentirmi a casa. – commenta – Quella sensazione di sicurezza e abbraccio caldo. Non l’ho mai provata davvero, perché sono nato in Puglia ed è sempre stato un casino, però proprio per questo forse vado a ricercarla. Sembra una banalità, ma alla fine questa casa l’ho trovata nella musica».
Santachiara, le canzoni de La strada più breve per tornare a casa
Il disco non a caso si apre con va bene così (intro). Una breve ma incisiva dichiarazione di intenti, che spiega molto bene cosa sia la musica per Santachiara. «L’intro e l’outro sono nate come dei pezzi. – racconta il cantautore – Ho iniziato a lavorare all’intro, ma mi sono reso conto che sarebbe stata più magica se fosse stata breve e senza una struttura classica. È uno scorcio, quasi uno strappo. Ero con la chitarra e avevo già chiuso l’outro, che doveva essere l’intro. Poi, pensandoci, l’ultima frase dell’outro riprendeva il titolo. Ho scelto quindi di metterla alla fine, ma a quel punto mi mancava un brano apripista. In un periodo in cui tante persone mi dicevano come dovevo essere, ho capito che sono fatto così. Alla fine, l’unicità di una persona è magica, anche nei difetti e nei casini. Vai bene così come sei».
Nell’intro c’è anche tantissima musica. «C’è quel sound un po’ à la Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, che per me sono il top della musica. – continua Santachiara – Ricordo che la prima canzone dell’album, la title track, ha questo senso di festa. Ti dà la spinta per dire iniziamo il viaggio e sarà divertente». Infine, nell’intro c’è un riferimento alle classifiche dominate dal rap. «Sì, se volessi fare un po’ il piacione potrei rappare di più – ci dice il cantautore – ma che senso avrebbe se non sei fedele a te stesso?».
I produttori dell’album
Nell’album spiccano anche tanti produttori, con cui Santachiara ha lavorato spalla a spalla per mettere insieme una tracklist coerente. A partire da Piero Paroletti (aka Golden Years) e Stefano Bruno. Facciamo notare all’artista che, di fatto, grazie a questa varietà nella tracklist spiccano brani come Joker, «nato da un provino fatto tempo fa con la chitarra».
«È una canzone con un senso grunge legato agli accordi. – racconta – Siamo andati dritti, un tempo avrei detto non scrivo con nessuno, la musica è mia. Sono cavolate. Sono cresciuto tantissimo quando ho fatto un passo indietro. Ho capito che alcune persone possono insegnarmi tanto sull’approccio alla musica e sono fiero del prodotto artistico». In Joker esce un sound anni ’90, che per Santachiara rimanda a Fat Boy Slim. Mentre per quanto riguarda Colpa dei no (altro brano scritto tempo fa), «a un certo punto, pulendo il telefono, ho ritrovato il beat. Aveva questo synth à la Sweet Dreams e un ritmo strano. Mi sono messo a scrivere ed è uscito il pezzo più da pogo del disco. Ti gasa. Mi piace anche perché rappresenta il concetto di amore/odio».
Santachiara e la scrittura
Ci sono tanti brani, in effetti, che sembrano spuntati fuori dai cassetti di Santachiara. «Scrivo tanto. Un tempo non era così, ma ora ho preso l’abitudine. – ci confessa il cantautore – Poi metto da parte e, quando è il momento, le canzoni mi chiamano. Non so come spiegarlo. So che posso dare qualcosa a quel pezzo, mentre in altri momenti non sono nel mood giusto. Colpa dei no ad esempio l’ho ricostruita quando avevo qualcosa da dire. Per Joker avevo delle idee e alla fine è stata la canzone che ha fatto gasare subito tutti in studio. Altri brani sono freschi, quando abbiamo iniziato a lavorare al sound avevo già qualcosa da manifestare a livello emotivo».
Il brano più fresco, in questo senso, è proprio l’intro. Il più anziano – per modo di dire – è Nina: «È il primo brano scritto a Milano dopo tre anni di Covid. Ero in studio ed ero anche timidino. Invece subito è nata questa bella sberla, mi ha dato una carica incredibile».
La ballad dell’album e l’influenza di Napoli
Santachiara definisce poi Le porte della notte come la ballad del disco. «Ho lavorato questo pezzo con Golden Years a Roma. – racconta – Ci siamo visti per una session per altri. Nella mia vecchia casa a Santachiara avevo un pianoforte scordato. Aveva una pasta melanconica che mi ha fatto impazzire. Una sera mi sono messo a scrivere e mi è venuto questo flusso di coscienza. Pietro l’ha prodotto e, quando l’ho sentito per la prima volta, ho percepito la particolarità del sound. È una ballad ma non è classica. È il pezzo più intimo e introverso, ci sono molto affezionato. In generale, quando scrivo sto attento tantissimo alle parole e all’immagine ma lì ho preso un foglio, suonavo gli accordi e scrivevo. È una poesia che viene da dentro senza filtri. Così è stato e spero che si senta».
Ma quanta Napoli c’è in questo album che parla di casa? «Napoli ti fa sentire a casa, è una città dove incontri tantissime culture. – ci risponde – Da quando mi sono trasferito qui, mi ha accolto e ispirato. Non mi chiamerei Santachiara e non scriverei ciò che scrivo senza Napoli. C’è qualcosa di magico e, se hai le antenne e sei pronto a sentire e vivere le cose, Napoli ti cambia. Non scrivevo i ritornelli ma qui ho imparato».