Amy Lee e la ‘nuova vita’ degli Evanescence: “Ora sono più autentica, più donna, più metal”
Il nuovo album si chiama Synthesis e mostra un volto degli Evanescence finora sconosciuto: la tracklist vanta infatti due brani inediti e le loro migliori canzoni d’amore opportunamente rivisitate con l’aiuto di un’intera orchestra unita all’elettronica. Il tour della band mette in mostra proprio questa nuova anima della band, che ci aveva abituato a suoni forti e volumi alti. Qualcosa, tuttavia, è cambiato crescendo, sia umanamente che artisticamente, e questa trasformazione ce la racconta proprio Amy Lee, da sempre voce del gruppo, che abbiamo incontrato nel backstage della data milanese del 19 marzo.
Ciao Amy, come stai? Come sta andando il tour?
Siamo ancora all’inizio, ma sta andando bene, anche se il tempo è un po’ deprimente (ride, ndr). Soprattutto qui in Italia, perché quando arriviamo qui sembra sempre estate. La scorsa estate, quando abbiamo suonato qui, è stato bellissimo. Non avrei mai pensato che a marzo avrei fatto in Italia un winter tour, per cui – lo ammetto – sono un po’ triste. Ma sarà comunque un bellissimo show.
Che tipo di show avete organizzato? Portate sul palco il vostro ultimo album, che è sicuramente diverso da ciò che gli Evanescence ci hanno abituato a sentire finora.
E’ uno show completamente diverso da ciò che abbiamo fatto finora. Sinceramente, negli ultimi 15 anni – non ricordo precisamente da quanto tempo ormai faccio questo lavoro! – si è sempre trattato di perfezionare, più o meno, lo stesso concerto, che aveva un’idea di base sempre uguale, anche se la scaletta cambiava. Stavolta ho buttato fuori dalla finestra tutte le mie regole. Prima era importante che la gente si divertisse e fosse in piedi a fare casino. Ora voglio vederli tutti seduti, in un teatro, ad ammirare uno show di classe. Lo spettacolo, in se stesso, è molto vulnerabile. La gente è abituata ad ascoltarci ad altissimo volume. Stavolta vogliamo solo essere sinceri, autentici e, con l’aiuto dell’orchestra sinfonica, vogliamo far arrivare le emozioni fino al tetto, senza spaccare le chitarre e le batterie. Deve venire fuori la vera acustica degli strumenti, il che è possibile anche grazie ai diversi arrangiamenti. In alcuni momenti, si sente solo la mia voce ed è tutto così calmo. C’è un’immobilità affascinante nell’essere da sola davanti a un microfono. Mi ci sto abituando solo ora, è una sensazione purificante. Sebbene io sia umana e a volte mi capiti di fare casini, spero di dare sempre il meglio di me. E soprattutto non potrete mai vedermi più autentica di così.
Hai sempre avuto questo desiderio di diventare più autentica?
La mia missione artistica, probabilmente, andava sempre verso questa direzione. All’inizio – quando è uscita Fallen avevo appena 21 anni – ero circondata dall’heavy rock, dal metal, e pensavo che fosse importante che io dimostrassi quanto valessi realmente. Dovevo dimostrare di essere abbastanza heavy, abbastanza forte. Un po’ come se tutto dentro di me gridasse: “Ora vi faccio vedere quanto valgo, non sono debole solo perché sono una donna. Questo è il mio posto”. Solo dopo ho realizzato che stavo sprecando le mie energie, perché la vera forza sta nella vulnerabilità e nella voglia di essere femminile, umana. Questo è il modo in cui crei un rapporto con il tuo pubblico, non mettendo una maschera e comportandoti come se fossi la migliore al mondo. Nessuno pensa di esserlo. Devi essere te stesso e il più trasparente possibile. Ora voglio diventare sempre più sincera, andare sempre più a fondo, scoprirmi e rendere i miei testi un posto libero, in cui posso dire ciò che voglio. Ovviamente, la performance diventa poi la rappresentazione massima di questa libertà. Ci vuole coraggio per essere se stessi sul palco e, in questo senso, questo live è al 100% metal (ride, ndr).
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Pensi che questo cambiamento sia dovuto all’età? Sai, tutti noi a vent’anni forse volevamo spaccare il mondo…
Probabilmente sì. Devo essere sincera, ancora mi piace la musica rock. Ma, persino da giovane – se mi chiedevi quale fosse la mia musica preferita – ti avrei risposto i Massive Attack o Bjork. I suoni naive mi sono sempre piaciuti. Ho bisogno forse di entrambi gli elementi. Sono una persona molto emotiva, per cui devo sentire la musica. E la sensazione di aggressività trasmessa da alcuni testi dopo un po’ è sfiancante. Quindi sì, c’è anche un processo umano di crescita nel mio cambiamento artistico.
Sei cambiata anche come donna. Ora hai tantissime attività, tra cui la gestione di un’Associazione che sensibilizza sulla tematica dell’epilessia, Out of the Shadows. Anni fa avevi un’immagine molto forte. Ora forse sono le tue azioni a parlare per te.
Non so da dove iniziare a risponderti. Penso che crescendo sia iniziato un processo che mi ha permesso di guardarmi dall’esterno. Da adolescente ero molto insicura, mi preoccupavo di cosa la gente pensasse o dicesse di me. Solo dopo inizi a pensare che è un problema che si pongono tutti e che, in realtà, nessuno ti osserva. O forse devi iniziare tu a smettere di interessarti agli altri. L’epilessia è una questione che mi sta molto a cuore, perché mio fratello soffre di questa malattia, per cui è una tematica molto importante nella vita mia e di quella della mia famiglia. Tutti noi vogliamo imparare qualcosa di nuovo sul cervello umano, perché c’è ancora troppo mistero. E, in generale, penso sia giusto amare ogni tipo di persona con le sue diversità fisiche e sociali. La vita è dura, i problemi si risolvono solo stando vicini gli uni agli altri.
Torno alla musica. Ci sono due nuovi brani nell’album, puoi raccontarmi qualcosa?
Imperfection è stato il primo singolo. Una canzone che ho faticato tantissimo a scrivere, perché era una grandissima sfida per la mia carriera. Avevo molta pressione addosso. Però ha un significato molto importante per me, su cosa sia la vita e su quanto ci sia bisogno di stare insieme e aiutarsi a vicenda. Musicalmente invece combina le mie due anime, ed è una cosa che mi è molto piaciuta. Hi-Lo invece è una canzone che abbiamo iniziato a scrivere 10 anni fa, la amo da allora, ma non avevo mai trovato il “posto” giusto per questo brano. Appena l’ho ascoltata con l’orchestra ho capito che aveva trovato la sua casa.