La band coreana Jambinai arriva a Bologna: il loro è un rock contaminato dagli strumenti tradizionali coreani. La nostra intervista.
I Jambinai arrivano in Italia. L’appuntamento con la band rock coreana è l’11 maggio all’Estragon Club di Bologna, insieme al duo indie-rock giapponese moja. È un’occasione unica per ammirare dal vivo una delle band più sperimentali della Corea del Sud. I Jambinai combinano infatti chitarra, basso e batteria agli strumenti tipici della tradizione musicale coreana: l’haegeum e il geomungo.
Nel 2009 i tre componenti principali – Lee Il-Woo (chitarra), Shim Eun-Yong (geomungo) e Kim Bo-Mi (haegeum) – si sono conosciuti alla Korea’s National University of Arts studiando musica coreana tradizionale. Terminati gli studi hanno deciso di portare la musica del loro Paese sotto una luce innovativa, sull’onda della crescente popolarità del K-Pop. Dopo un EP autoprodotto del 2010, l’album di debutto Différance è stato pubblicato nel 2012 e ristampato nel 2017, ricevendo elogi per l’intensità delle sue sperimentazioni anche a livello compositivo.
Nel 2016 hanno pubblicato il secondo album A Hermitage seguito da ONDA nel 2019. Nel febbraio 2020 la band ha ricevuto il premio come miglior album rock per ONDA e miglior canzone rock – per la title track – ai Music Awards della Corea del Sud. L’EP apparition (2022) ha catturato la profondità e la gamma di emozioni che i Jambinai hanno provato negli ultimi anni di pandemia, dal lockdown alla ritrovata creatività, fame e speranza.
Jambinai: la nostra intervista
Prima di tutto, cosa potete dirci sul tour europeo? Com’è l’accoglienza del pubblico e che tipo di esperienza è per voi?
«È sempre un’esperienza piena di gioia. Il pubblico ama la nostra musica con espressioni individuali, mostrano reazioni differenti. Qualcuno balla, altri baciano il proprio partner, altri ancora pogano. È bello anche per noi vedere il loro mondo incontrare la nostra musica e darle un nuovo volto».
A Bologna suonerete con i moja. Che tipo di live dobbiamo aspettarci?
«Sui moja abbiamo sentito tantissimi complimenti da parte di musicisti coreani che hanno già suonato con loro. Un po’ di anni fa, abbiamo avuto l’opportunità di vederci tutti a Liverpool, ma non siamo riusciti a suonare insieme. Siamo felici di farlo a Bologna questa volta».
La vostra musica è celebre per la combinazione di rock e strumenti tradizionali coreani. Com’è nata questa contaminazione e in che modo l’avete perfezionata negli anni?
«In realtà non c’era una ragione precisa e gli strumenti che suoniamo e che abbiamo studiato sono il Geomungo, l’Haegeum e il Piri (tra cui Taepyeongso e Saenghwnag). Sono il risultato dei nostri sforzi di creare una musica che rispecchiasse i nostri stili preferiti con gli strumenti con cui possiamo esprimerci al meglio».
Credo che i Jambinai non siano una band facile da etichettare perché sperimentate tantissimo anche con le voci. Cosa ispira e guida ogni volta il vostro sound?
«Pensiamo a come creare armonie con gli elementi che abbiamo a disposizione. Gli strumenti tradizionali sono elementi speciali, ma se rompono l’equilibrio del sound della band non ne esce nulla di buono. Secondo noi, ciò che ci differenzia è il pensiero e la volontà di mantenere un’armonia anche con noi stessi».
Negli ultimi anni si parla molto di Hallyu e di k-pop. Secondo voi in qualche modo questo ha attirato l’attenzione anche verso la scena musicale underground coreana?
«A volte sì. I fan del k-pop che vivono al di fuori della Corea ogni tanto apprezzano anche la nostra musica, oltre a quella di gruppi famosi come i BTS o le BLACKPINK. In quei casi sentiamo di essere positivamente influenzati. E pensiamo che ci sia sempre più gente desiderosa di ascoltare diversi generi di musica coreana. È una vibe positiva».
Credo che l’Europa stia in effetti iniziando ad esplorare anche la scena rock coreana. Come vivete l’attestazione da questo punto di vista? E pensate che possano nascere connessioni culturali e musicali interessanti?
«È evidente che le persone si stiano interessando ad alcuni dei vari elementi culturali tipici della Corea. È chiaro anche che l’interesse si stia espandendo su più piani. Pensiamo però che ci siano tanti bravissimi artisti nascosti non solo in Corea, ma anche in Italia e in ogni paese. Promuoverli, in fondo, significa far ascoltare buona musica e far conoscere ottima arte piuttosto che una nazionalità».
Siete paragonati a band come gli Explosions in the Sky o i Mogwai. Vi hanno ispirato in qualche modo?
«Ci piacciono e ovviamente li rispettiamo molto, ma non ci hanno influenzato. La nostra ispirazione deriva più dalle esperienze di vita di ogni singolo membro. Non è solo musica».
Qual è l’esperienza più bella che vi ha regalato il palco?
«Il pubblico di ArcTanGent che ha urlato Altre dieci canzoni! mentre ci stavamo preparando per l’encore, le standing ovation… ce ne sono tantissime! Siamo felici sempre, in ogni momento, indipendentemente dal numero di persone presenti. Sarà lo stesso in Italia».