Nel 2003 – per l’etichetta Elektra Records – usciva Get Born, album di debutto dei Jet. Sarà il primo dei tre album in studio della band australiana (l’ultimo, Shaka Rock, è del 2009) che – in occasione del ventesimo anniversario del disco – ha annunciato due date in Italia. Giovedì 26 settembre saranno all’Alcatraz di Milano e venerdì 28 settembre a Roma, presso L’Orion.
Intanto, i Jet hanno anche rilasciato l’inedito Hurry Hurry, disponibile solo su vinile. Il lato b contiene invece Un’avventura, cover di una cover: un’interpretazione rock’n’soul di Wilson Pickett di una canzone eseguita da Lucio Battisti al Festival di Sanremo del 1969. Entrambi i brani sono un assaggio del nuovo disco di inediti che uscirà nel 2025, il loro primo album in studio in oltre 15 anni. Ne abbiamo parlato con Nic Cester.
Come va?
«Bene! Sono stato qui in Italia un paio di mesi con la mia famiglia. Sono stato principalmente in Piemonte, dove ho il mio studio e dove sto scrivendo nuovi pezzi. A parte l’umidità, è stato bellissimo».
State lavorando, immagino, sia all’album che ai live. Che effetto fa? Quanto sono cambiati i Jet e quanto lo spirito della band?
«Da un lato credo che ci sia stata un’evoluzione naturale. La musica di oggi ha il nostro sound, ma è forse una versione più matura. La cosa probabilmente strana è che c’è un buco di circa 10-15 anni, è come se non fosse possibile connettere i vari punti. Se devo essere onesto, ci è voluto un po’ per riunirci e per trovare un terreno comune. Ognuno di noi stava seguendo il proprio cammino negli ultimi 10 anni. È servito del tempo anche solo per avere un riferimento visivo che testimoniasse che facessimo tutti parte della stessa band. Anche solo per il modo di vestire. E, ovviamente, anche da un punto di vista puramente musicale».
Aver trovato un terreno comune, in fondo, testimonia però che questi singoli percorsi non erano poi così distanti.
«È servito solo un po’ di tempo. Ma è ovvio, non lavoriamo insieme da 12 anni. Non ci siamo neanche visti o incontrati. Io vivo in Italia, mio fratello a Los Angeles. Anche geograficamente, siamo distanti migliaia di chilometri».
Avreste mai pensato di ritrovarvi oggi a celebrare Get Born? È un album che ha fatto tantissima strada.
«È interessante perché non ci aspettavamo nulla di tutto ciò. Ero consapevole dei motivi per cui ci siamo fermati e non ero così convinto che stavolta sarebbe stato diverso. E poi ero felice della mia vita. Stavo scrivendo canzoni, stavo bene. Anche se non suonavo davanti allo stesso numero di persone rispetto a prima, è una cosa di cui non mi frega nulla da tantissimo tempo. Ciò che è importante per me è la qualità di ciò che faccio e il fatto di progredire, andare avanti e non indietro. Non essere intrappolati in un loop. Ero preoccupato che i Jet potessero riportarmi a quelle sensazioni che ho già vissuto, che rimanessi fermo in un nuovo loop. Per i problemi della band e cose simili. Quindi sì, ero molto nervoso e all’inizio è stata dura. Ma poi son successe, inaspettatamente, un po’ di cose».
Me le racconti?
«La prima è proprio il 20esimo anniversario di Get Born, che ci dà una vera ragione per rivedere il materiale al di là di ciò che vogliamo noi. Nello stesso tempo, ci ha contattato un produttore di New York. Il produttore di Beyoncé, per capirci, che si è dichiarato un grande fan e interessato a lavorare con la band. È stato interessante. Infine, siamo stati inseriti nella Hall of Fame in Australia. È sembrato un segno dell’universo».
L’universo vi sta costringendo a questa reunion.
«Chi sono io per discutere con l’Universo?».
Giusto. Parliamo allora di Hurry Hurry. Il video è volutamente nostalgico?
«Ti dirò la verità. Per il video di Hurry Hurry non avevamo scelta, perché non abbiamo al momento un’etichetta alle spalle. E non viviamo tutti nello stesso paese. Abbiamo potuto realizzare un video solo usando filmati d’archivio. Mi è venuta questa idea anche perché abbiamo tantissimo materiale inutilizzato da tantissimo tempo. Ho pensato che sarebbe stata una buona opportunità per usare quei filmati. Guardarsi indietro e anche suscitare un po’ di nostalgia non credo sia una cattiva idea, ad ogni modo. Stiamo pur sempre celebrando un anniversario. E poi devo ammettere che è passato tanto tempo e ho dimenticato quanto fossero famosi i Jet. Quindi è anche un reminder di ciò che abbiamo fatto insieme e delle esperienze che abbiamo condiviso, del successo che abbiamo avuto. È divertente».
Sul successo dei Jet, che risposta ti sei dato?
«Credo sia importante capire, da una prospettiva cantautorale, chi dovrebbero essere oggi i Jet. Ma la verità è che i Jet piacevano perché si divertivano. Credo che la strada sia sempre quella, non bisogna diventare troppo seri. Quello posso farlo come artista solista, se voglio. Ma i Jet devono semplicemente celebrare la musica».
Ho pensato che il video fosse intenzionale, anche perché il brano è divertente, ma nasconde un messaggio che – se vuoi – è anche consapevole.
«Non so da dove sia uscito quel testo. Non ci ho pensato molto, non l’ho analizzato. È venuto fuori così. Certo, se ci penso ora, credo che sì… abbia un sottofondo un po’ oscuro. Ma è comunque divertente e gioioso nello stesso tempo, anche un po’ sexy».
Cosa vuol dire, invece, per i Jet far festa – dal vivo – in Italia?
«Per me è un momento speciale per me. Sento sempre di aver vissuto due vite e questo è il primo momento in cui i miei due mondi si incontrano».
Che effetto fa?
«Credo che fosse il momento e che sia terapeutico. È strano avere due vite separate, quindi è salutare che ci sia finalmente un punto di incontro. E per me è anche comodo, in fondo, che la band arrivi nel mio mondo, con i miei tempi. Stiamo facendo le prove nella mia casa in Piemonte, nel mio studio ed è uno spazio che voglio condividere».
Questi due mondi si riuniscono anche nel brano Un’Avventura, non trovi?
«Mio padre è nato in Australia da genitori italiani. Quindi sono cresciuto in Australia senza però mai sentirmi completamente a casa. Non mi sono mai sentito né australiano né italiano. Non sto dicendo che ho una crisi d’identità, ma di essere cresciuto in un mix di culture e con un padre molto simile agli immigrati italiani che vivono all’estero: si aggrappano con molta forza alle loro radici e identità italiane. Forse sono cresciuto con un’idea un po’ troppo romantica, devo essere onesto, dell’Italia. Ogni volta che andavamo in vacanza, mio padre ascoltava Nicola Di Bari e Lucio Battisti in macchina. Sono quindi cresciuto con una grande e ricca consapevolezza di chi fosse Battisti, il preferito da mio padre».
Hai poi imparato ad apprezzare la nostra musica?
«Quando mi sono trasferito in Italia, ho colto l’occasione per esplorare questo mondo e questa musica da solo. Sono partito proprio da Battisti. Quando si è parlato di una nuova uscita dei Jet ho pensato di connettere i miei due mondi. Avevo visto su YouTube il video di Wilson Pickett che cantava Un’Avventura a Sanremo 1969. Ho pensato fosse la rappresentazione musicale della mia storia e del mio passato. L’uscita dei Jet è avvenuta in modo vintage, con un Lato b. il resto è venuto di conseguenza. Sarebbe divertente cantare in italiano, ma l’ho fatto solo una volta con gli Afterhours per Veleno ed è stato tanti anni fa».
La prossima domanda è inevitabilmente sul prossimo album. Queste due canzoni – Hurry Hurry e Un’Avventura – sono due mondi distanti: una giusta anteprima di ciò che verrà?
«Dobbiamo ancora capirlo. Abbiamo scritto tantissime canzoni, ed è una cosa buona. Il suono è maturo e pieno di sentimento. Suona come dovrebbe suonare, come i Jet, ma una versione più matura e avanzata. È comunque divertente e per niente pretenzioso. Direi poi che le radici sono classiche. La cosa buona dei Jet, e lo ricordo bene, è che la band ha il potenziale per andare in direzioni differenti. Ci sono sempre le ballad, le canzoni rock, brani più spavaldi o più soul. È divertente scrivere perché puoi andare dove vuoi. Questi generi condividono lo stesso DNA, sono musica moderna. Se parti dall’r’n’b puoi andare verso il soul, il rock’n’roll o le ballad. Dobbiamo solo dare poi noi ai brani il tipico vestito dei Jet».
Foto di Jason Sheldon