“Nessuno è profeta in patria” e proprio per questo il sold out messo a segno all’Amnesia di Milano ha un sapore più che speciale per i Meduza. E pensare che il trio di producer italiani più apprezzato al mondo ai grandi, anzi grandissimi, numeri è piuttosto abituato eppure casa è sempre casa. È dove la bolla in cui vivono e lavorano si trasforma in realtà, come a dire “è successo davvero”. Così, è sulla scia di questo ennesimo successo che Mattia Vitale, Simone Giani e Luca De Gregorio hanno annunciato un’altra data milanese. Il prossimo 7 ottobre, infatti, i tre regaleranno un nuovo live show al Fabrique. Di questo appuntamento, della loro nuovaAeterna Records e di tanto altro ci hanno parlato in un lungo incontro.
Partiamo dal vostro ultimo sold out in ordine di tempo, nella vostra Milano.
Abbiamo viaggiato tanto, e sembra che siamo in giro da una vita, ma alla fine con i due anni di Covid questo è il primo anno e mezzo vero di tour. Adesso stiamo iniziando a divertirci. La cosa bella dell’Amnesia, soprattutto per tre ragazzi che provengono da Milano e provincia, è tornare da date in giro per il mondo e fare un sold out in un locale di Milano. Non è scontato, perché non si è mai profeti in patria. Quindi per noi e per la dance è un risultato bellissimo. Siamo contenti e dal sold out abbiamo preso la palla al balzo per spostarci in uno spazio più grande: faremo la prima data del live di quest’anno al Fabrique, il 7 ottobre. E non sarà solo un dj set ma saremo tutti e tre sul palco e suoneremo live con keyboards e strumentazioni elettronica.
“Siamo contenti anzi siamo emozionati perché è importante per noi fare qualcosa di così grande qui”, proseguono i Meduza. “È un è un traguardo grosso per noi. Seriamo che la vendita vada bene e di fare un altro sold out come all’Amnesia”.
Che importanza ha per voi il fatto di portare uno show dal vivo e non solo un dj set?
Da qui in avanti ci saranno tante cose anche perché a noi probabilmente piace più stare dalla parte della creazione, amiamo il lato creativo. E il live show è qualcosa che ci prende particolarmente, è un Meduza completo, un’evoluzione. È quello che ci fa svegliare tutte le mattine per fare qualcosa in più di quello che è stato fatto fino a ieri, è un’opportunità. Questo si collega anche al fatto che, dopo l’annata scorsa, ci siamo trovati con tanta musica in mano, anche di più sperimentale ed elettronico e meno radiofonico. Qualcosa di nuovo e di creativo per cui abbiamo l’idea di aprire la nostra label, per semplificare e avere un contenitore in cui mettere tutto questo, considerando che la release su Spotify o il pezzo per le radio è molto ridotto rispetto alla quantità di musica che si fa e al pubblico non arriva tutto quello che viene fatto.
State già lavorando anche con nuovi talenti?
Sì, Aeterna Records serve anche per dare spazio a tutti i ragazzi che si stanno affacciando ora in questo ambiente. Vuole essere un’opportunità per arrivare alle varie distribuzioni e poi al grande pubblico: è una porta che, quando eravamo più piccolini, noi sognavamo. Ed è bello vedere la voglia e l’entusiasmo che ci sono, ne siamo fieri. Iniziamo con un primo brano di Genesi, un ragazzo italiano veramente talentuoso originario di Pesaro con il quale stiamo lavorando in sordina già da parecchio tempo. Poi usciranno altre nostre tracce, molto elettroniche, che saranno raccolte in un EP club oriented. Seguirà un singolo radiofonico, sperando possa rientrare fra le hit estive.
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Nel mentre, continuerete con le residency a Ibiza e Las Vegas, avete date da Miami all’Europa e metterete piede anche in Asia. Che altri sogni potete coltivare?
Ne abbiamo a migliaia! Questo è solo l’inizio per noi, nel senso che si stiamo davvero affacciando solo ora in questo mondo. Il nostro progetto nasce nel 2018 però dopo i Grammys del 2020, il mondo si è chiuso per la pandemia e stiamo entrando ora in certi circuiti. Uno de sogni, per esempio, è fare uno show sold out da headliner. Sappiamo bene che la strada è lunga, che dovremo fare tanta musica e dovremo lavorare tanto anche per costruire i live, ma ci stiamo impegnando tanto. Stiamo lavorando al live 2.0, la cui prima versione sarà appunto al Fabrique, e per noi è solo l’inizio. Ci sarà una marea di roba da fare da adesso in poi ma non vediamo l’ora sinceramente. Per noi questo, più che un lavoro è il sogno che abbiamo sempre avuto fin da piccoli E lo stiamo ancora vivendo giornalmente. Vogliamo continuare il più possibile
“Da italiani per noi è un orgoglio ottenere risultati nel nostro paese, anche a livello personale”, spiegano i Meduza. “Per dire, essendo cresciuti il mito di Sanremo, essere su quel palco con qualcosa di nostro è stato come realizzerà un sogno. Esibirci in Italia è un’altra cosa. In America, davanti a 80mila persone, ci sembra sempre di essere in una bolla ma quando suoni in Italia capisci che è tutto vero. In fondo, a Milano abbiamo fatto la nostra gavetta, partendo dai locali con 200 persone… È davvero un sogno”.
Tornando alla vostra etichetta, quale esigenza artistica vi porta a compiere questo passo proprio ora?
Questo è prima di tutto una questione di credibilità. Pensavano di aprirla già qualche anno fa ma non eravamo ancora i Meduza. Creare una label oggi riesce a mettere gli artisti sotto certi riflettori e a regalare una platea più grande. Poi, come dicevamo, abbiamo anche musica nostra meno radiofonica e vorremmo creare una corrente che rispecchi i nostri gusti. Vogliamo avere la libertà creare e di far uscire quello che vogliamo, anche in vista dei nostri show, avendo il controllo sulla nostra musica. Noi lavoriamo insieme sulle tracce e quando si tratta di un brano club siamo più liberi esperimentare mescolando diversi generi, trovando una via di mezzo che unisca diversi mondi per portarli nel nostro. Il club è libero e puoi sperimentare. Al centro, c’è sempre una cosa sola: la reazione del pubblico, che sia di esplosione nei club o un ritornello cantato insieme. La reazione di chi ascolta è alla base di tutto.
Qual è, secondo voi, lo stato della musica elettronica in Italia oggi?
È un discoro interessante. Stranamente in Italia c’è un distaccamento dall’elettronica, quando proprio l’Italia ha segnato questo genere. Siamo cresciuti in quegli anni e siamo affezionati a quel mondo, la cosa bella era che tutti si riconoscevano in quel genere. Oggi la situazione è molto cambiata, ogni paese poi ha sfumature proprie e soprattutto all’estero il pubblico è più curioso. Sa ascoltare anche cosa meno conosciute e sa apprezzarle. In Europa invece c’è la tendenza ad ascoltare sono cose che sono già state masticate. Manca un po’ la curiosità e la voglia di sentire che è la cosa più bella della musica ma ci siamo risvegliando.
Dalla console alla cattedra di Harvard, che esperienza è stata?
È successo davvero? Sì, è successo anche questo! (sorridono, ndr) Ammettiamo che in console eravamo molto più a nostro agio. Non ci saremmo mai aspettati, da dj e musicisti di andare a insegnare ad Harvard, però era tutto vero. La cosa bella è vedere questi ragazzi curiosissimi di sapere come siamo riusciti a diventare qualcuno nel mondo della musica elettronica. Ci rivedevamo molto in loro ed è stato come rivivere le nostre storie prima di essere lì in cattedra. È stato è stato un bel momento: avessimo avuto noi, alla loro età, qualcuno che ci potesse spiegare qualche trick! È il discorso che stiamo facendo anche con la label, ci mettiamo a disposizione.
Oltre al talento e alla curiosità, quindi, cosa serve e invece latita nella musica odierna?
Noi cerchiamo delle idee nuove, cosa che sia nel pop che nel club ultimamente manca. Una volta mancava la parte la parte tecnica, oggi siamo pieni di tecnica e ci arrivano che suonano alla perfezione ma manca il fattore umano e non basterà l’intelligenza artificiale per sostituirlo. Quello che abbiamo cercato di portare ad Harvard è la nostra esperienza e il lato umano. Quello che un computer, un plugin o un tutorial non possono dare. Da parte nostra cerchiamo di offrire una possibilità. Diamo un metodo, dei consigli e poi ovviamente ognuno fa la sua strada. Sbaglierà e capirà da solo, come abbiamo fatto noi con tante porte chiuse in faccia e tanti no. È da lì che abbiamo imparato, è il percorso di tutti in qualsiasi lavoro e non solo nel nella musica. Manca l’elemento personale, quel passaggio che nella musica artificiale di oggi scarseggia ma rende un pezzo interessante.
È la differenza tra artigianato industria.
Esattamente, poi ovviamente le catene ci sono e comandano il mercato. Però, poi, quando arriva l’artigiano con il prodotto nuovo, le catene comprano dall’artigiano perché lui ha avuto l’idea geniale. È un cerchio.
Foto da Ufficio Stampa GOIGEST