Dopo l’uscita di Vesuvia lo scorso 30 settembre, Meg è pronta a portare sul palco tutto l’immaginario del suo ultimo album. Da Asti, dove il Vesuvia in Tour inizia il 4 marzo, a Taranto che sarà l’ultima data l’8 aprile: ci siamo fatti raccontare proprio da Meg cosa dobbiamo aspettarci.
Cosa vuol dire per te portare un album come Vesuvia sul palco? In un certo senso, è una seconda vita per l’intero progetto.
«Portare dal vivo un disco è sempre una sorta di remix di ciò che hai inciso. Provo sempre un mix di sentimenti. Da un lato non vedo l’ora di cantare dal vivo cose che finora ho registrato in studio, dall’altro ho anche un po’ di timore per come risulteranno live. Devo dire che finora la risposta del pubblico di fronte a cose nuove è sempre stata molto gratificante. Per me è sempre un’emozione, come se fosse la prima volta che canto in pubblico cose mie, scritte in privato nella mia intimità».
Cosa ti sorprende di più?
«Sono sempre stupita quando vedo le facce della gente e mi accorgo che cantano i miei pezzi nuovi. Dopo 30 anni, ci sono ancora persone che mi ascoltano, mi seguono e si riconoscono in ciò che scrivo. Sono grata».
Il live come rito collettivo
Di fatto il live diventa alla fine un rito collettivo.
«Sì, è proprio così. Lo capisco quando mi arrivano feedback bellissimi da parte delle persone. Per esempio, Non ti nascondere ha suscitato messaggi commoventi. Mi hanno scritto cose tipo Quando l’ho ascoltato mi ha aiutato tantissimo oppure Ho fatto scelte che mi trascinavo da tanto. Quando scrivo lo faccio per me, non è un atto egoistico ma un atto necessario. Quando ho una serie di pensieri ingarbugliati, mi serve la scrittura per dipanare questa matassa. È una vera e propria forma di terapia o di meditazione, lo dico sempre. Mi aiuta improvvisamente ad avere tutto più chiaro. Mi ha sempre aiutato in realtà, sin da bambina. Quando ho scoperto il potere della musica unita alla scrittura, per me è stata una rivelazione enorme che mi ha aiutato tantissimo come persona. Quando ricevo questi feedback, quindi, per me è sempre una soddisfazione grandissima. Non lo faccio apposta, ma sapere di aver aiutato anche un pochino una persona in un momento difficile è bellissimo. Mission accomplished».
Meg, il tour tra effetti sonori e luci
Vesuvia ha un tappeto sonoro particolarissimo. Un suono potentissimo e compatto. Come hai lavorato a questo aspetto per il live?
«Questo live sarà una specie di flusso magmatico che non si interromperà quasi mai, dall’inizio alla fine del concerto. Tutto l’immaginario di Vesuvia è legato al vulcano e a ciò che di simbolico ci può essere nella fertilità di un’eruzione. Mi piaceva trasportare tutto questo nel live, dando la sensazione di flusso lavico che non finisce mai. I pezzi saranno collegati gli uni agli altri da transizioni speciali. Soprattutto i pezzi nuovi saranno fedeli al disco, anche se ci saranno piccoli remix in ogni pezzo a livello ritmico. I pezzi vecchi, invece, subiscono in ogni tour una vera e propria passata di remix».
Usi molto questa parola.
«Per me è molto familiare. Mi sono formata negli anni ’90 e il remix era una specie di forma sacra della canzone. Una Bibbia in cui ti immergevi e che ti lasciava una sensazione di libertà. Perché un pezzo non è mai finito e puoi sempre reinterpretarlo in base agli anni che passano e al tuo mood».
E oltre ai remix?
«Per questa scaletta, che inizia da un punto A e finisce a un punto Z di Vesuvia, ci sarà anche un supporto visivo. Sarà uno show vero e proprio di luci, che saranno lì a rappresentare il vulcano in qualche modo, ma in chiave elettronica. Le luci saranno parte integrante e fondamentale dell’audio».
L’importanza del concetto di remix
Più che un concerto, insomma, sarà una performance. Ti risulta difficile, in questo senso, dare nuova vita ai brani più anziani o riesci ancora a riconoscerti in essi?
«A volte mi capita di non riconoscermi nei brani più datati. Però devo ammettere che, quando li canto live, le energie e le emozioni del pubblico mi rinfrescano la canzone. Le canzoni sono come le Madeleine di Proust: ti riportano a un periodo storico che hai vissuto senza volerlo. Questo succede a chi le scrive, ma anche a chi le ascolta. Le sigle dei cartoni animati, ad esempio, per me sono una macchina del tempo incredibile».
Tipo?
«Proprio ieri ascoltavo la sigla di Capitan Harlock per ricordare Leiji Matsumoto, appena scomparso».
Sei tornata bambina.
«Ci sono canzoni che mi ricordano il periodo in cui le ho scritte. Ma la Maria di allora non è quella di oggi perché fortunatamente noi esseri umani siamo in continua evoluzione. A volte le canzoni mi ricordano un momento difficile che non voglio rivivere. Nei live lo devi fare, ma il pubblico ha spesso un atteggiamento più innocente del mio. Grazie al pubblico riesco ad eseguire e ricantare i brani in modo fresco. L’arrangiamento mi aiuta, quindi mi piace alla fine riproporre canzoni vecchie con musica diversa».
Info e date tour qui.
Foto: Mattia Guolo