Cosa accade quando la musica elettronica si fonde con un apparato orchestrale? La risposta è probabilmente in Symphony of Caos, il progetto di ASCO, primo DJ a dirigere dal vivo un’orchestra. Dopo i live all’Ultra Music Festival di Miami, al Balaton Sounds in Ungheria, in Cina, Giappone, Vietnam, in Thailandia e in molti altri paesi, ASCO – nome d’arte di Alessandro Xiueref – si è esibito anche a Roma e ci racconta le possibili declinazioni future del suo Caos (infinite, ça va sans dire).
Come nasce Simphony of Caos?
«Nasce per caso, durante la pandemia cercavo ci portare un dialogo nuovo. Volevo portare nelle dirette nuove contaminazioni e qualcosa che potesse arricchire il live. Era diventato stantio con i DJ nelle loro cucine che proponevano un’ora di musica con le fidanzate attorno. Ispirato dai DJ olandesi e americani, ho voluto scegliere posti belli e andare lì con telecamere serie. Il primo approccio è stato farlo nella mia città natale, Ascoli Piceno, che ha una piazza bellissima, Piazza del Popolo. L’amministrazione comunale da un po’ voleva fare cose con me, ma io ero in preda a tour e cose varie. Avendo tempo, ho pensato di portare qualcosa nella mia città a cui sono legatissimo. Nello stesso tempo, stava nascendo la mia etichetta, la Caos Label. Si era creato questo brand che mi stava un po’ rappresentando in modo molto trasversale».
Una serie, potremmo dire, di eventi quasi casuali. E poi?
«Con il sindaco di Ascoli Piceno volevamo fare qualcosa di più grande finita la pandemia. Al tavolo di un bar è nato il mio sogno più grande: esibirmi con un’orchestra. Avevo visto da ragazzino Armin van Buuren e altri colossi della musica elettronica usare questo schema: per me è la massima espressione per un DJ. L’interesse quindi c’era, ma è stata una scoperta: abbiamo messo insieme un’orchestra, un coro lirico e altri elementi buttati sul palco. Stavamo creando qualcosa di unico e neanche me ne stavo rendendo conto. Era anche un periodo favorevole perché un mio brano di stampo orchestrale, finito nel dimenticatoio, è stato ripreso da GoPro per uno spot pubblicitario. Si era creata intorno a me una bolla di interesse verso quel mondo che non pensavo di esplorare. Invece mi ci sono ritrovato».
Ti aspettavi tutto questo affetto e apprezzamento?
«In realtà, quando ho realizzato la prima edizione, mi aspettavo una eco social più importante, perché i numeri del live – 3500 paganti su 50mila abitanti – erano importanti. A livello social invece non c’è stato questo riscontro. Il mio errore, ingenuo, è stato riproporre la mia discografia in chiave orchestrale. I miei brani sono conosciuti da una nicchia e, quando le immagini del live sono andate in giro, erano impattanti ma nessuno conosceva le canzoni. La seconda edizione me la sono giocata con le cover e sono andato viralissimo. In base alla mia esperienza, nella musica ho ormai qualche decennio alle spalle di tentativi vari, credevo potesse diventare qualcosa di importante, ma all’inizio non sapevo cosa stessi facendo. Me lo auspicavo, quindi è andata bene».
LEGGI ANCHE: Benji & Fede, l’abbraccio del Forum: «Musica e amicizia ci hanno salvato»
Ci sta però anche costruire il progetto piano piano, fidandosi del feedback del pubblico.
«È la cosa più giusta. La prima edizione è stata bella perché era estremamente nuova, ogni cosa era wow. Per la seconda la sfida era fare meglio, quindi abbiamo proposto un video mapping alle mie spalle e creato la narrazione di una storia. Abbiamo esplorato qualche tassello in più, con Luca Ward che narrava una storia legata al caos e uno spettacolo ancora più forte, con artisti teatrali che accompagnavano le parole di Ward. Mi sono però accorto di aver perso il dialogo musicale. Era tutto bello, ma la gente stava col cellulare anziché guardare il live. Mi son detto Non può essere».
E la terza?
«La terza edizione, in realtà un Capodanno, ho scelto io una versione musicale ed è stata gradita. Bisognava cercare una quadra. Chi gestiva la mia orchestra, un giorno durante le prove, mi disse Perché non dirigi tu?. Risposi che non avevo il percorso o le competenze. Curioso che anche mio padre mi disse la stessa cosa durante la prima edizione. Tra una risata e l’altra ho studiato. Dopo Capodanno ho aperto YouTube e ho scritto Cosa fa un direttore d’orchestra?. Il primo video che è uscito era di Vito Lo Re. L’ho contattato e ho fatto lezione da lui per un anno prima dell’edizione successiva».
Tu, in un certo senso, rompi un tabù. Qual è il segreto nell’avvicinare mondi apparentemente così distanti?
«Sono un DJ e fare mash-up è la prima regola. Per me è il remix di uno show che inserisce elementi orchestrali in un DJ set. È una fusione di cose. Serve un po’ di follia, ma fondamentalmente è l’indole da DJ che mi ha portato a questo mix».
E qual è stato il motore?
«Lo sforzo di ogni artista è trovare una chiave che possa renderlo unico in questo marasma: ci sono i social che a volte ti regalano esposizione immediata se fai qualcosa di buono o non buono, ma l’utente paga il ticket per qualcosa di diverso. Da produttore posso dirti che lo scopo forse è creare un nuovo sound, ma non è così facile. Così come azzeccare una hit, quella che potrebbe darti la svolta nella vita, ma che non prevedi. È il percorso ad avermi portato a fare dei passi avanti: ho cercato di unire i punti che avevo percorso ed è uscito fuori il calderone di Symphony of Caos».
In un mondo he rifugge le etichette ma poi ne abusa, il Caos è l’unica vera risposta? In fondo, come si dice, c’è ordine anche lì.
«Infatti il logo è tutto meno che caos. Paradossalmente credo che la vera spiegazione di Symphony of Caos sia la contrapposizione, che adesso è ancora più forte. Quando sono spalle al pubblico e dirigo, c‘è l’armonia. Quando mi giro verso il pubblico c’è il caos della musica techno e delle fiamme».
Un concerto per te particolarmente speciale?
«Quello che ho più nel cuore è il primissimo. Mi sono trovato a fare questo live nella mia città. Uno spettacolo pazzesco di fronte alla mia famiglia e agli amici di una vita che hanno visto cosa facevo nel mondo. È stata l’emozione più grande di tutte, ho ancora la pelle d’oca. Ogni edizione poi è bella a modo suo, quando senti un’orchestra intonare una melodia che avevi nella testa e ora è suonata da 23 elementi che sono davanti a te è pazzesco. Symphony of Caos vissuto da uno spettatore è il trasporto dei volumi caldi. Lasciare un’emozione oggi è difficile, soprattutto se non sei un artista affermato che non scrive cose popolari. Un artista sconosciuto che però porta emozioni forti è bello».
Il caos è infinito: in futuro quali declinazioni potrà assumere la tua sinfonia?
«La cosa che più mi entusiasma del progetto è che non ha confini. Le idee per gli sviluppi sono talmente dirompenti e ampie che può esserci una continuità che non stancherà mai lo spettatore. La spettacolarità è sempre più importante, ma sto cercando di creare un’identità e un brand che le persone conoscano prima di dare declinazioni diverse. Con la forte riconoscibilità sicuramente avremo la possibilità di dire Il bello deve ancora arrivare».