Il 21 ottobre è uscito il nuovo album degli Ex Otago, Marassi (Universal Music), anticipato dai singoli Cinghiali Incazzati, I Giovani d'Oggi e Quando con te.
Frutto di un lungo processo di costruzione – che ha visto anche il passaggio attraverso una fase di crowdfunding – Marassi viene definito dalla band il racconto del presente, "e non c'è niente di più presente di Marassi”, rappresentativo di una Genova post moderna. Abbiamo chiacchierato con gli Ex Otago – Maurizio Carucci, Alberto 'Pernazza' Argentesi e Simone Bertuccini – per capire un po' più a fondo questo progetto discografico, realizzato grazie anche alla produzione di Matteo Cantaluppi.
Ciao ragazzi, inizierei dal principio. Il vostro album si chiama Marassi, ma lo avete definito un album un po’ ‘anti-Genova’. Mi spiegate in che senso?
Va detto che il titolo salta subito agli occhi, perché porta il nome di un quartiere di Genova. È il quartiere dove è nato il progetto di questo disco, che fisicamente è stato scritto in una casetta, Casa Otago appunto. Nello stesso tempo, però, Marassi è un luogo che ne rappresenta tanti altri. È la periferia, come ce ne sono mille in Italia. Nel nostro caso, è la periferia di una città con una forte tradizione cantautorale, soprattutto la Genova dei vicoli. Noi vogliamo però raccontare qualcosa che sta ai margini di questa Genova ormai stra-nota e che, a un certo punto – senza rinnegare il passato o gli altri cantautori – bisogna superare. Bisogna andare oltre questa sicurezza che danno gli antichi cantautori. Ci si sente a casa, però è necessario avere il coraggio di esplorare altre zone. Nel nostro caso si tratta di Marassi, lì la vita scorre semplicemente, senza troppi clamori e senza apparire sulle pagine dei giornali.
Da tifosa, vi devo però chiedere se nel titolo non ci sia anche un riferimento calcistico, perché oltre ad essere un quartiere, Marassi è il nome con cui viene comunemente indicato lo stadio di Genova…
Ovviamente c’è! Marassi è celeberrima soprattutto per due cose, per il carcere e per lo stadio. Vivere a Marassi vuol dire inevitabilmente avere contatti con il tifo. Ricordo che a scuola c’erano professori sia genoani che sampdoriani e, quando si giocava il derby, se ad esempio perdeva la Sampdoria e i professori sampdoriani interrogavano il lunedì, erano ca**i per tutti.
Immagino.
Sì, quella tra Genoa e Sampdoria è una rivalità che si percepisce ad ogni livello. Considera che noi ora proviamo la domenica, abbiamo la nostra sala prove e andiamo a provare a Marassi. Tendenzialmente ci muoviamo nell’ora in cui iniziano e finiscono le partite. Il calcio ci circonda.
A proposito dell’album, so che ha avuto una genesi abbastanza lunga, che comprende anche un’azione di crowdfunding. Mi raccontate un po’ l’evoluzione del progetto?
È stato un processo lungo, ma in realtà guardando indietro sembra passato in un attimo, e in modo molto naturale. Ci sono state effettivamente numerose tappe, da quando abbiamo iniziato a scrivere il disco a quando abbiamo coinvolto Matteo Cantaluppi per la produzione artistica e la registrazione, passando per la fase del crowdfunding, che è stato tra l’altro un successo notevole sulla piattaforma di Musicraiser. Poi c’è stato l’intervento di Universal… Sono accadute tantissime cose ed è stato un processo lungo, ma non lo definirei particolarmente faticoso. Al contrario, è stato molto ricco, molto vario.
A livello sonoro come avete lavorato con Cantaluppi, che avete appena citato?
Fondamentalmente volevamo fare un disco molto radicato nell’oggi, quindi un disco sulla quotidianità. Abbiamo reputato giusto sin da subito, quando sono nati i provini dell’album, usare molto le tastiere e il sintetizzatore. Per come l’avevamo pensato noi, l’album era molto più ‘synth’ di come è diventato poi. Devo dire però che fortunatamente è come lo sentite ora, grazie alla sapiente mano di Cantaluppi alla produzione, che ha dato forma alle nostre visioni e ha compreso i nostri limiti tecnici, guidandoci a livello artistico.
Cambierà qualcosa anche nel live?
Assolutamente, cambierà il settaggio. Sono cambiate molte cose rispetto al disco precedente. È scomparso il charango, non ci sono più né il sax né il flauto e ci saranno invece molta più chitarra elettrica, molto più basso e molte tastiere. Che poi le tastiere ci son sempre state e lo diciamo per quelli che ci accusano di aver fatto una svolta modaiola, perché ora vanno gli anni ’80. È una scempiaggine, nessuno se lo ricorda ma nel primo disco, The Chestnuts Time, c’era una cover di Save A Prayer. Gli anni ’80 li abbiamo rilanciati noi, ma nessuno ci riconosce questo merito (ridono, ndr).
Avete fatto anche qualche remix di musica dance, se non erro…
Esatto, infatti dopo aver rilanciato gli anni ’80, stiamo lavorando per rilanciare gli anni ’90. Riusciremo (ridono, ndr).
Intanto che aspettiamo questo momento, raccontatemi un po’ dei primi singoli di questo album. Come mai li avete scelti?
Sicuramente, se anche adesso ci venisse chiesto quale per noi è il brano più rappresentativo dell’album, continueremmo a rispondere Cinghiali Incazzati, il primo singolo. Raccoglie in sé un po’ tutte le nostre anime e le anime del nostro disco, anche in termini contraddittori. È un brano che parla delle sfaccettature che l’essere umano ha dentro di sé, che sono in conflitto tra loro e che spesso entrano in conflitto anche con altre persone, che a loro volta hanno varie sfumature. È una canzone che snocciola un po’ queste questioni, che si ritrovano approfondite in altri brani del disco.
I Giovani d’oggi invece?
Anche il secondo singolo è molto rappresentativo. È stato definito – secondo noi, a ragione – un pezzo generazionale, che parla di una costante, il lamentarsi continuamente dei ‘giovani d’oggi’. Noi tra l’altro siamo in una posizione privilegiata, quella degli osservatori, perché non siamo né troppo vecchi né troppo giovani, quindi siamo additati come giovani d’oggi che non valgono nulla, ma nello stesso tempo – se ci capita di vedere dei ragazzetti che escono dal liceo e ascoltano musica che noi consideriamo della spazzatura – diciamo anche: ‘Smidollati. Ai miei tempi non era così’. È la storia che si ripete.
Ma è veramente una posizione privilegiata?
Diciamo che siamo osservatori privilegiati, possiamo vedere contemporaneamente più punti di vista. In ogni fase della vita, non c’è mai solo un’età o solo uno schieramento. Se si è onesti con se stessi, si riconosce che si è più cose nello stesso tempo. Il che è una ricchezza.