Ieri sera a Sanremo non è successo nulla. Ieri sera a Sanremo ha solo fatto freddo. In un piccolo teatro di provincia l’Italia si è rintanata.
Chiusa al sicuro dalle domande difficili che il mondo intero continua a farsi senza trovare risposta, l’Italia di provincia, ha ristretto il suolo patrio a quel piccolo teatro, come a dire: fuori c’è il lupo, chiudiamoci qui dentro e cantiamo finché non passa. Così il gettito corto delle canzoni regala l’illusione che cantando ti passa. Ma non passa.
Mentre l’Italia era in fiamme, a Sanremo ha solo fatto freddo. Un cantante dopo l’altro, in modo disordinato come lo shuffle di Spotify convinto di indovinare i nostri gusti, ha provato a intrattenere l’Italia. Intrattenimento fatto male, confezionato male, su un palco illuminato a giorno, smarmellato come le migliori macchiette non avrebbero saputo fare.
Tutti seduti comodi, nessuno che dica realmente qualcosa. Conduttori e cantanti intimoriti dal dire la parola sbagliata, fuori luogo. Terrorizzati dal tweet pronto dei bulli dei social con milioni di follower falsi. Dov’è l’Italia? È l’unica domanda espressa, ma senza risposta.
Motta ci prova a smuovere la situazione, ma l’ondata di gelo sanremese è più forte e mentre siamo senza sacchetti del vomito, arrivano iniezioni di anabolizzanti emo: papà e figlio Bocelli si abbracciano mentre cantano, stretti insieme agli italiani in uno show di provincia, e tutto il mondo fuori. Mentre la recita va avanti sembra che siamo già morti.
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Poi arriva Achille Lauro. Billy Idol e Sid Vicious duettano nella testa di Achille Idol e con loro tantissimi altri idoli, tutti insieme tipo We Are The World. Non a caso Achille Lauro su Instagram è Achille Idol, non (solo) per magnificarsi, ma per ispirarsi a quelli che hanno spaccato microfoni, chitarre, muri e cliché.
Lauro ieri è stato tutti i cliché, compreso quello che tanta Italia ultimamente ama condannare mentre condanna Sfera Ebbasta: viva i soldi, il sesso e la vita sulle macchine da milionario. Lauro ha spruzzato nichilismo godereccio in faccia alle poltrone vellutate del teatro di provincia, ha messo insieme Amy, Marilyn, Jimi, Elvis, imbracciato il mitra come Sid Vicious e sparato un c’est la vie, urlato nel gelo della serata di Rai1.
Non c’è niente da capire. Per un attimo è sembrato che la musica italiana vibrasse di irrazionale, per i pochi minuti del pezzo di Lauro, lo smarrimento è diventato musica, il caldo ha guidato le parole. La realtà ha aperto il piccolo teatro di provincia come la scatoletta di tonno del cambiamento.
Lauro, accompagnato dal fedele Doms in versione guitar hero, con il pezzo prodotto anche da Frenetik&Orange (che a breve dovranno cambiare lo studio che hanno a Roma per avere altro spazio per appendere i dischi d’oro accumulati negli ultimi anni), ha schiaffeggiato i parrucconi dell’Ariston e tutti gli italiani stipati al sicuro nei televisori. Ha cantato di vita e di morte, di forza e paura. Fiero, con la forza delle non risposte di un ragazzino cresciuto in fretta, che sembrano l’unico modo per andare avanti senza sapere di noi che sarà.
Achille Lauro ha l’unica preghiera giusta per la serata di Rai1: Dio ti prego salvaci da questi giorni, tieni da parte un posto e segnati sti nomi. Achille Idol è entrato, ha spaccato, è uscito. Ciao.