‘Spostare l’orizzonte sempre più in là’ accettando anche di non sapere: Francesco Gabbani torna a Sanremo con ‘Viva la vita’.
Tra i Big di Sanremo 2025, Francesco Gabbani porta sul palco del Teatro Ariston un brano intenso che ci interroga tutti, mettendoci di fronte alle domande più profonde che l’uomo possa porsi. Viva la vita – questo il titolo – è, infatti, la testimonianza di una ricerca personale che coinvolge ciascuno di noi proprio perché non si può restarne indifferenti. Frutto di un percorso che si dilata in sempre nuovi approdi senza fornire risposte definitive, il brano ha in sé anche una buona dose di coraggio quantomeno per la capacità di porsele, certe domande.
Con la consapevolezza senza tempo di essere destinati a non sapere e la scoperta che immergersi a pieno nel presente è la via per trovare valore, Gabbani mostra un lato di sé forse inedito per Sanremo. Un intimismo senza tempo che fa della semplicità la sua forza potentissima.
Torni su un palco che ti ha dato molto e a cui hai dato molto. Che racconto porti questa volta?
Porto il racconto di qualcuno – in questo caso io – che ha capito come, nella ricerca del senso della nostra esistenza, una possibile soluzione sia scegliere di semplificare. Semplificare cosa? Le strutture e le sovrastrutture, mentali e materialistiche, che ci troviamo spesso a inseguire nella società in cui viviamo. Porto con me un messaggio, un invito a ritrovare un senso di gratitudine che nasce dall’accettazione della vita per quella che è. Accettare il fatto che ci sono domande, come quella sul senso della nostra esistenza, a cui forse non abbiamo mai saputo rispondere, non sappiamo rispondere ora e probabilmente non lo sapremo fare mai.
Socratico come approccio e, in effetti, per Viva la vita si è parlato di canzone classica.
È un ritorno inevitabile, perché alla fine ci troviamo sempre lì: nel punto in cui tutte le domande si incontrano, senza risposte definitive. Ma forse il senso è proprio questo: accettare il mistero e andare avanti con gratitudine e semplicità. In questo approccio di accettazione devo tanto alle riflessioni di Tiziano Terzani e soprattutto al suo libro Un altro giro di giostra in cui racconta la sua stessa fase di accettazione. È incredibile come Terzani, con una semplicità disarmante e insieme una profondità incredibile, riesca a trasmettere riflessioni che colpiscono nel profondo.
Che cosa ti è rimasto del suo esempio?
Era un uomo che aveva girato il mondo, toccando con mano culture diverse, vivendo guerre e conflitti. La sua intelligenza e apertura mentale lo avevano portato a essere una figura intellettuale di spicco. Eppure, ciò che trovo struggente e straordinario è il modo in cui riesce a trovare il senso della propria esistenza, destrutturando e semplificando tutto fino all’essenziale. Per cui arriva a dire, in sostanza, che il senso della vita è semplicemente essere qui, ora, in questo momento. E Avrò senso finché respirerò, nient’altro. Quest’idea è un po’ quella che ho raccolto nel brano che, in un certo senso, è il mio manifesto attuale: una dichiarazione personale, ma anche un suggerimento agli altri. Perché, alla fine, accettare il mistero e vivere pienamente l’istante è un messaggio che può risuonare dentro ognuno di noi.
Una riflessione molto intima che affidi al pubblico, quindi.
Sono convinto che il significato delle canzoni appartenga a chi le ascolta, questa è l’attitudine con cui scrivo. Più che dare risposte ferme, nei brani è come se mi appuntassi delle domande in un percorso che permette a chi le ascolta di farsele a propria volta. La classicità o semplicità espressiva delle mie canzoni forse, da un certo punto di vista, sembra quasi qualunquista ma per me non è così perché arriva dopo un iter di analisi interiore che nasce dalla domanda suprema, ovvero qual è il senso della nostra esistenza. Chi siamo? Cosa siamo qui a fare? E per quanto facciamo tentativi, la domanda ci lascia un vuoto perché la natura non ci fornisce risposte… Ecco, in questo momento della mia vita mi sembra di aver individuato un senso proprio nella strada dell’accettazione del non sapere.
Ma qual è stato il punto di partenza?
Probabilmente deriva tanto dal fatto che, come molti miei coetanei, ho la percezione di essere nato in un contesto socioculturale molto diverso da quello contemporaneo. Inevitabilmente, sento un grande distacco, quasi un senso di lontananza. Non mi riconosco in molte forme di espressione o nel modus vivendi delle nuove generazioni. Questo non lo dico con spirito critico o polemico, perché ogni espressione è figlia del proprio tempo, ed è giusto che sia così. Tuttavia, personalmente, non riesco a comprenderle appieno perché mi risultano estranee. Penso al ruolo dei social network, che sono certamente complici e parte integrante di questo modo di vivere contemporaneo. Io li uso solo per il minimo indispensabile, ma non mi viene naturale adottarli come fanno tanti altri. Questo crea in me un senso di disagio e mi fa sentire, a tratti, fuori luogo.
In questo percorso interiore la musica e la scrittura come si inseriscono?
Proprio quest’aspetto si riflette nella mia musica. Le mie canzoni finiscono per diventare, quasi inconsapevolmente, un modo per fornirmi delle indicazioni, delle strade per cercare risposte. Perché, sinceramente, non le ho ancora trovate. Mi sento ancora in divenire. La pace dei sensi è qualcosa che inseguo, ma non ho ancora raggiunto. E le canzoni, quindi, servono prima di tutto a me stesso, per ricordarmi quali possano essere i punti di osservazione giusti.
Tuttavia, poi, diventano di chi le ascolta. Questo è il motivo per cui il titolo del disco, ‘Dalla tua parte’, è stato scelto con tanta cura. Non è il titolo di una canzone specifica: è stato pensato proprio per rappresentare quest’idea. Alla fine, questo album, pur essendo nato da me, diventa di chi lo ascolta. E mi auguro che, in qualche modo, possa servire per intraprendere un percorso di autoanalisi per trovare una sorta di salvezza personale. O magari per uscire da un’inquietudine che può accomunarci tutti.
Viva la vita è stata la tua unica scelta per Sanremo o altre canzoni si sono contese il palco?
No, è stata assolutamente la mia prima scelta, anzi, l’unica. Ed è stata proprio la canzone a farmi pensare di provare a partecipare nuovamente al Festival. Dalla mia esperienza precedente, ho capito che andare al Festival significa farlo con un brano che senti davvero, che corrisponde a una tua verità. Inoltre, è fondamentale che la canzone sia adatta, anche dal punto di vista tecnico, per essere eseguita in un contesto unico e atipico come Sanremo.
Pensa alla prima esibizione: esegui dal vivo una canzone che il pubblico non ha mai sentito prima. È una performance one shot, e proprio per questo è importantissimo avere un brano che riesci a controllare bene, per così dire, che sai eseguire in modo impeccabile. Quando questa canzone è nata, mi sono subito reso conto che aveva questa qualità: la sento naturale, mi viene bene eseguirla, e questo mi ha dato fiducia nel portarla sul palco. E poi, ovviamente, c’è il fatto che mi rappresenta appieno. Quindi, sì, non c’è stato bisogno di scegliere tra altre canzoni: è stata lei a guidarmi verso questa decisione.
Oggi, se ci guardiamo attorno, affermare viva la vita richiede coraggio, non pensi?
È una bella domanda e mi spiazza un po’, perché non ho mai pensato a questa frase come un atto di coraggio. Per me è più una piccola illuminazione personale, una consapevolezza che ho raggiunto. È una conquista, senza dubbio. Quindi, forse, il vero coraggio non sta tanto nel pronunciare Viva la vita, ma nel fare il percorso necessario per arrivare a viverla davvero, per sentirla in modo autentico. Detta così, superficialmente, potrebbe sembrare una frase liberatoria o persino banale, ma per me non è affatto così. Dire Viva la vita in modo consapevole significa farlo con profondità, con la piena comprensione di ciò che comporta. E in quel senso, sì, ammetto che c’è dentro anche un po’ di coraggio.
Dopo i primi ascolti del brano, si è scritto molto di tutte le canzoni. Come definiresti la tua?
Mi piace considerare Viva la vita un instant classic, fuori dal tempo e dalle mode sonore. E volutamente è così. Quando dico instant classic, intendo che è un brano che, pur appartenendo al presente, possiede una classicità intrinseca. È un pezzo che, da un certo punto di vista, può risultare slegato dal tempo, lontano dalle tendenze sonore attuali, non solo nella scrittura ma anche nella produzione. Classico, per me, non è da considerare come mancanza di originalità anche perché se una canzone è bella mi piace a prescindere, che sia classica o meno. Questo approccio, ripeto, nasce più che altro dalla ricerca della semplicità e da un modo di essere, magari un po’ fuori dal tempo o dalle mode, che mi ha portato fortuna anche nei miei precedenti Sanremo.
E per la serata cover cosa stai preparando?
Per quanto riguarda la serata dei duetti, ho già un’idea, ma per ora rimane solo un’idea! Quello che posso anticipare è che farò un duetto con un artista che non è in gara. È un cantautore che, a mio avviso, possiede una grande sensibilità. Insieme interpreteremo una sua canzone che è stata una grande hit, un brano di una sensibilità davvero struggente. In un certo senso, portare questa canzone al festival, in una veste rinnovata con un arrangiamento diverso, rappresenta un’occasione di riscatto per il brano. Lo accosto un po’ alla storia di Occidentali’s Karma: parlo di quella percezione parziale che talvolta il pubblico ha dei pezzi. Questo brano, come Occidentali’s Karma, è stato una hit nazionale e popolare, ma credo che alcuni suoi aspetti profondi non siano stati del tutto colti al tempo.
Con quale approccio sali quest’anno sul palco dell’Ariston?
Intano c’è sempre una certa tensione, soprattutto legata al fatto che presenti per la prima volta un brano dal vivo. È una sensazione completamente diversa rispetto a quella che provi prima di un concerto. Nei live, un po’ di tensione c’è sempre, ma è quella sana, perché sai che stai cantando davanti a un pubblico che conosce già i tuoi pezzi, magari li canta insieme a te. A Sanremo, invece, stai proponendo una canzone che nessuno ha mai ascoltato prima, e questo genera inevitabilmente una tensione diversa. Fa parte del gioco, però. Il mio vantaggio è che ho già vissuto questa esperienza, quindi so a cosa vado incontro. Questo mi permette di accettare la situazione con più serenità. È un po’ come nella vita: si tratta di accettare quello che sai già che accadrà, compresa quella tensione che so sarà presente.
Visti i successi del passato senti la responsabilità di dover replicare?
Devo dire che i successi restano sicuramente tra le emozioni più belle della mia vita. Tuttavia, non dipendo più da quel tipo di conferme. Non le cerco più, forse perché, fortunatamente, le ho già vissute. Prendiamo, ad esempio, la vittoria di Sanremo: è una soddisfazione che ho avuto la fortuna di provare, quindi non sento più la necessità di dimostrare qualcosa in quel senso. Ovviamente, non fraintendermi: non mi dispiacerebbe vincere di nuovo, non voglio sembrare ipocrita! Ma torno al Festival con uno spirito diverso, meno competitivo. Per me è più l’opportunità di presentare nuova musica, di condividere con un grande pubblico una nuova tappa del mio percorso artistico e personale. In questo senso, il Festival diventa una vetrina preziosa per esprimere chi sono oggi, più che una gara da vincere.
Il brano fa parte di un album in uscita il 21 febbraio, il pubblico ritroverà anche la tua parte più ironica?
La componente ironica c’è sempre, anche in questo disco, che rappresenta una sorta di fotografia della mia attuale ‘tavolozza’. Non riesco ancora a definirmi con un colore unico: sono un mix di tante sfumature nelle quali convivono diverse parti di me. Oltre alla dimensione più introspettiva, intimista ed emozionale, c’è ancora spazio per l’ironia, la provocazione e anche una certa leggerezza. È davvero un equilibrio tra queste componenti. Anche se, in questo disco, forse la parte ironica è un po’ meno marcata rispetto al passato, rimane comunque presente. Questo è dovuto al fatto che le canzoni hanno toni leggermente più intimisti, ma l’ironia continua a far parte del mio modo di esprimermi.
Come vivi il confronto con il tempo e il movimento?
Il movimento è la possibilità di comprendere qualcosa in più. È la possibilità di vedere ciò che non vedevi prima e di spostare sempre più in là l’orizzonte. Io credo che sia impossibile rimanere fermi. Non per tornare alla filosofia, ma Socrate diceva che il sapere è nel non sapere, e in un certo senso è una riflessione che si lega a quello che Eraclito diceva: tutto scorre, panta rei, come in Occidentali’s Karma. Fa parte della vita, del nostro essere, il concetto di movimento. E quindi, non so…
Chi si muove non si fa domande?
Anche, ma io credo che chi si fa domande si muove. La domanda è quella che ti spinge ad andare avanti, è il motore del movimento. Almeno è così che la vedo in questa fase della mia vita, poi magari più avanti la penserò diversamente.
Per concludere, tornerai soddisfatto da questa esperienza?
Se la canzone che porto arriva al pubblico, a chi piace, e riesce a trasmettere il suo vero significato… Non parlo di un significato intellettuale, ma di un significato profondo, sentito. Se la canzone riesce a fare questo, sarò soddisfatto.
Foto di Chiara Mirelli da Ufficio Stampa