Sanremo 2023: il nostro commento dopo il primo ascolto dei brani in gara

C’è una certa emozione mista a un velo di nostalgia nell’ascoltare i brani di Sanremo venti giorni prima del Festival. In parte, perché sono indissolubilmente legata al rito di ascoltarli live durante le prime serate, dal palco, mentre gli artisti sono alle prese con arrangiamenti orchestrali e scenografie. Un impatto a mio parere insostituibile, in cui anche l’adrenalina diventa una nota in più e aggiunge grinta. Fatta questa (perdonatemi, necessaria) premessa, ecco i miei commenti sui brani del Festival. Senza voti, perché ancora ricordo il mio primo esame di Economia Politica e so che il primo impatto di chi giudica può essere incorretto.

Gianluca Grignani. Quando ti manca il fiato è un brano che parla del padre del cantautore, che nell’analizzare gioie e crepe del rapporto col genitore finisce poi per analizzare, in fondo, se stesso. È un gran ritorno al Festival quello di Gianluca: il brano ricorda il rock nostalgico degli esordi, eppure l’impressione è che Grignani non si sia messo mai così a nudo. Mi è venuta la pelle d’oca.

Colapesce e Dimartino. Dimenticate (in parte) Musica Leggerissima, anche se lo stile del duo è riconoscibile sin da subito. Splash ricorda tuttavia più la nostalgica scanzonatezza de I Mortali (album bellissimo) dei due cantautori. Una canzone uptempo, con un ritornello tutto da cantare e rimandi ad alcuni classici della canzone italiana. Il finale è a sorpresa.

Articolo 31. Una delle attese reunion del Festival non delude, complici anche le rime di J-Ax che qualcuno definirà old style (e per fortuna che c’è chi ci mostra come si fa rap). La penna, senza rivali, di Ax ci regala Un bel viaggio, quasi un inno confezionato per la generazione Millennial. Anche la musica (che porta, tra gli altri, la firma di Daniele Silvestri) contribuisce alla creazione di un brano che parla di J-Ax e Dj Jad ma in fondo anche di tutti noi disagiati della generazione di Piccoli per Sempre. Ecco, questo è il sequel.

gIANMARIA. C’è poco da dire: gIANMARIA ha una bella penna, giovane, che funziona per immagini. Ma che ti sembro un mostro? è una frase che potrebbe tormentare i nostri social, tanto che è orecchiabile il brano. gIANMARIA è un cantautore della Gen Z e si sente, ma nelle sue canzoni ballabilissime c’è sempre una vena nostalgica che ci fa capire quanto mondo ci sia ancora da raccontare dietro un ritornello da ballare.

Anna Oxa. I fan di Anna Oxa non resteranno delusi da Sali (Canto dell’Anima): tra le firme del brano c’è Francesco Bianconi e si sente, ma questa canzone è fuori categoria. La Oxa fa giustamente ciò che vuole e ci presenta un brano che, già senza immagini, si fa veicolo di una spiritualità superiore. E poi che canna, Anna (ho fatto la rima).

Mr. Rain. Mattia è una delle penne migliori del Festival, il palco di Sanremo lo merita tutto. All’Ariston Mr. Rain porterà il suo stile, quello che abbiamo conosciuto con brani come Ipernova che ci mostrano anche il suo lato migliore. In Supereroi anche un coro di bambini e tanti archi. Mr Rain at his finest: e ci piace così.

Rosa Chemical. Ho un sogno: Rosa Chemical all’Eurovision. E voglio crederci. Made in Italy spacca, la sentiremo allo sfinimento, la balleremo, ci faremo i TikTok, i meme. Forse i nostalgici non la capiranno. Del resto, è la quota trasgressione del Festival ma è pur vero che solo a Sanremo Rosa Chemical può essere definito trasgressivo. È il futuro: se non arriva sul podio disconosco la Gen Z.

Giorgia. Ho pensato molto prima di scrivere questo commento perché Giorgia è intoccabile. Ma anche se Parole dette male è nel suo stile, mi aspettavo di più. Vorrei riascoltarla perché l’impressione è che il brano vada inserito in un percorso, distante dagli one shot iconici del passato.

LDA. La quota Amici è rappresentata dal giovane cantautore, che a Sanremo porta un ballad super orecchiabile. I giovani apprezzeranno, perché Se poi domani è un brano che contestualizza una precisa generazione, che potrà renderlo iconico o dimenticarlo. Vedremo.

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Lazza. Ma che canzone pazzesca è Cenere! Dormirò ogni notte sognando ‘sto beat sul palco dell’Ariston e poi romperò le scatole ai miei genitori che ancora mi chiedono Chi è Lazza?. A febbraio potrò dire loro: Ecco chi è, quello che si è mangiato il Festival. Beccatevi ‘sta hit!

Ariete. C’è la firma di Calcutta in Mare di guai e si sente, perché il testo è pazzesco. Segnatevi questa frase: Non so nuotare in una vasca piena di squali, la risentirete più e più volte. Il brano è un gioiello che spero non sparisca nel marasma del festival perché è la prova che Ariete è qui per lasciare un’impronta nella musica italiana.

Sethu. Uno dei miei favoriti dagli esordi, lo ammetto. Seguo Sethu da un po’ con l’ostinata speranza che arrivi il suo momento e il momento è arrivato. Sethu e Jiz (suo fedele producer) hanno creato uno dei miei pezzi preferiti. Se avessi messo i voti, Cause perse sarebbe un 10 e mi rode che io debba aspettare venti giorni per metterlo nella mia playlist. Pezzone, bravi!

Tananai. Ah! Tananai. Potrebbe essere il Festival della rivincita, se Tananai ne avesse bisogno. In fondo, la rivincita l’ha già avuta fuori Sanremo e l’impressione è che Alberto voglia sfruttare questo secondo Festival per dimostrare di non essere solo canzonette. Ma noi questo lo sapevamo già: andatevi a risentire il suo primo EP e capirete forse da dove arriva Tango. Eh sì, a dispetto del titolo, Tango non è un tango, ma una ballad. Surprise!

Levante. Nessuna cantautrice italiana riesce a raccontare le donne come fa Claudia Lagona. Vivo è un ritorno pazzesco: un brano nato durante la depressione post parto. Ma è anche un brano che ci racconta gli infiniti modi in cui una donna può tornare ad amarsi. E, infine, Vivo è una canzone sull’autoerotismo: geniale, bellissima, conturbante. Grazie dell’orgasmo Levante.

Leo Gassmann. C’è la firma di Zanotti in Terzo Cuore e, anche qui, si sente. Il brano è bello, orecchiabile, dignitoso. Leo ha del resto una voce pazzesca, che riesce a dare a ogni brano nuova vita. È anche un artista in costante crescita e ciò che più mi piace di Leo è l’umiltà con cui si sta raccontando nel tempo, senza saltare le tappe. Questa credo possa essere per lui una tappa bellissima.

Modà. Un ritorno che sarà apprezzatissimo dai fan della band, perché lo stile è quello del gruppo e non deluderà. Kekko Silvestre e soci, del resto non si snaturano mai. Anzi, trovano sempre nuove strade per esprimersi senza risultare tuttavia fuori da sé. Occhio al testo di Lasciami però: è un brano che parla di depressione e non di amore. Ed è da questa lettura che va piano piano metabolizzato e vissuto.

Marco Mengoni. Non vorrei tirarla a Marco Mengoni, ma qui sento profumo di podio. Due Vite è un pezzone, un testo profondissimo, una melodia che non si toglie dalla testa. Tutto ciò che vorreste da Marco Mengoni e forse anche di più. Grazie Marco per questo ritorno.

Shari. La musica è in parte scritta da Salmo e infatti Egoista è particolarissimo. Un soul marcato (e credibilissimo grazie alla voce dell’artista) che si spiaggia su note contemporanee: uno dei brani più sorprendenti del Festival e uno dei più originali.

Paola & Chiara. La grande incognita di questo Festival era, per me, proprio il brano di Paola & Chiara: sarà una copia di mille riassunti, una versione 2.0 del duo, una ballad? Nulla di tutto ciò: il duo torna con un brano che sono pronta a ballare al Pride, al Papeete o semplicemente dentro camera mia. Iconico.

Cugini di Campagna. L’inizio di Lettera 22 potrebbe trarvi in inganno, perché sembra arrivare con una macchina del tempo direttamente dagli anni ’60. Eppure, il brano scritto da La Rappresentante di Lista riesce nell’intento, sulla carta quantomeno complicato, di dare modernità al gruppo. Come suonerebbe una canzone dei Cugini di Campagna nel 2023? Lettera 22 è la risposta a questa domanda.

Olly. Un altro dei giovani che tenevo d’occhio da un po’ e infatti Olly non delude. Polvere mette addosso un allegria che non se ne va più, ti rimane attaccata alle costole con tutto l’autotune. E a chi già sta con il dito puntato contro la voce automizzata rispondiamo che siamo nel 2023: move on.

Ultimo. Già dalle prime note di Alba si capisce lo stile inconfondibile di uno dei cantautori più amati del decennio. È un brano di Ultimo, sì, ma con una forma poetica che definirei sorprendente. Un piccolo gioiello in prosa che va ascoltato dall’inizio alla fine. Per intenditori, oserei dire.

Madame. Il ritorno di Madame a Sanremo è un capolavoro dance che non ti fa stare fermo. E sarebbe stato perfetto anche con un arrangiamento meno spinto, che ci fa solo sognare per il momento l’orchestra sanremese. Non diciamo nulla, ma insomma con Il bene nel male Madame se la gioca. Ecco, l’abbiamo detto.

Will. Stupido di Will è una ballad pop confezionata magistralmente e altrettanto bene studiata per essere cantata a squarciagola. Un brano in stile Will, sorprendente anche per l’esecuzione. Anche qui ci troviamo di fronte a un artista molto giovane che però sta crescendo a vista d’occhio (artisticamente, s’intende).

Mara Sattei. Ci sono due firme che pesano in Duemilaminuti e forse è più controproducente che altro. Il testo è di Damiano David e la musica è di Thasup (fratello di Mara). Verrebbe voglia di immaginare Damiano e Thasup sul palco, ma in fondo è la personalità di Mara Sattei a rendere il brano veramente speciale. Una ballad che stupisce per i dettagli, più che altro.

Colla Zio. La band milanese porta sull’Ariston la propria natura da intrattenitori nati. Non mi va potrebbe diventare un tormentone, se il pubblico glielo concederà. La migliore band a Sanremo, senza dubbi.

Elodie. Due è un pezzo super radiofonico, che sembra semplicemente portare avanti il recente percorso spinto pop di Elodie. La sentiremo? Senza dubbi. La performance potrebbe fare la differenza? Ovvio che sì. Vediamo che sorprese ci riserverà Elodie sul palco.

Coma_Cose. L’addio mi piace più di Fiamme negli occhi, ma solo per gusto personale. I Coma_Cose sono se stessi e portano all’Ariston un brano carico di delicatezza e softness. Una virgola rosa tra le parole Festival e Sanremo: la quota che serve per ricordarci che a volte la semplicità ha una potenza disarmante.